Cosa c’è (e cosa manca) nell’accordo sulla decarbonizzazione dell’ex Ilva. Svolta concreta o annuncio elettorale buono per tutti?
Da una parte l’entusiasmo politico, dall’altro la perplessità della base sociale e dei sindacati. Un documento è stato sottoscritto, questo è certo. Ma cosa si è firmato e che peso può avere l’intesa tra il ministero e gli enti locali siglata ieri a valle dell’incontro al Mimit? C’entra qualcosa il clima di campagna elettorale?
COSA C’È NELL’INTESA SULLA DECARBONIZZAZIONE DELL’EX ILVA
Andiamo per ordine: innanzitutto i contenuti dell’intesa, che è essenzialmente un accordo di massima sulla decarbonizzazione dell’impianto. Il nucleo più rilevante del documento è l’impegno vincolante “allo spegnimento delle aree a caldo alimentate a carbone”. In termini pratici significa l’abbandono graduale del ciclo integrale a carbone e la transizione verso processi produttivi a basse o nulle emissioni di CO₂.
Il documento sottoscritto obbliga il futuro acquirente a presentare le istanze autorizzative per arrivare a una “progressiva e completa decarbonizzazione”, ma non risolve il nodo più cruciale: i tempi. Nella bozza si è parlato di orizzonti che oscillano tra i 7 e i 12 anni, senza un cronoprogramma definitivo, e questo lascia aperta l’incertezza su quando gli altoforni alimentati a carbone verranno effettivamente spenti.
IL NODO DEI FORNI ELETTRICI E DEL POLO DRI
Sul piano tecnico il testo prevede la realizzazione — fino a tre — di forni elettrici in grado di coprire la capacità produttiva autorizzata (circa 6 milioni di tonnellate all’anno), ma non chiarisce come si garantirà l’energia necessaria per farli funzionare né dove verrà collocato il polo DRI, indispensabile per produrre il preridotto. La decisione sulla localizzazione del polo DRI è stata rimandata a dopo il 15 settembre, data in cui si conosceranno anche gli esiti del bando per l’acquisizione degli asset; rimane inoltre irrisolta la questione della possibile nave rigassificatrice nel porto di Taranto, elemento che potrebbe rendere sostenibile l’approvvigionamento di gas.
IL FRONTE OCCUPAZIONALE E LA QUESTIONE AMBIENTALE
Sul fronte sociale il verbale riafferma la tutela occupazionale e il potenziamento della rete sanitaria, ma per i sindacati queste formule sono troppo generiche: mancano numeri su esuberi, piani concreti di ricollocazione e garanzie per l’indotto. A rendere il quadro ancora più incerto concorrono le iniziative legali delle associazioni ambientaliste contro l’AIA che ancora autorizza il ciclo a carbone per altri 12 anni. In sintesi: il testo ha un peso politico significativo — può segnalare agli investitori la volontà di decarbonizzare — ma finché non sarà tradotto in atti vincolanti, AIA aggiornate e in un piano industriale dettagliato resta più una dichiarazione di intenti che una garanzia operativa.
IL CONTESTO ELETTORALE: GIOCHI DI POTERE E SCENARI REGIONALI
E veniamo alle interpretazioni, con una premessa tanto importante quanto già sentita: gli accordi sull’Ilva sono da sempre uno strumento di campagna elettorale.
Caso vuole che la Regione sia nel bel mezzo di una partita politica in vista delle regionali non da poco. Emiliano non si rassegna a un ruolo da comprimario dopo lo stop al terzo mandato. Nel Pd vuole continuare a contare e ha il problema di blindare un’eredità politica oggi messa in dubbio.
Il braccio di ferro con il successore designato, Antonio Decaro, rimane irrisolto, senza che la segreteria Schlein sia riuscita a scogliere la controversia, con il voto ormai alle porte. E con la promessa della fine dell’epoca dei cacicchi locali – di cui Emiliano, insieme a De Luca, è il volto più emblematico – che sembra sempre più irrealizzabile.
Il governo ha fretta di mettere dentro un accordo con gli enti locali che può giocarsi in chiave elettorale, non solo sul territorio pugliese. In ballo c’è una gara da indire che possa essere attrattiva per gli investitori, dopo il naufragio della trattativa con Baku Steel. Ma la sensazione da più parti è che il gioco sia quello di concludere quale che sia, in modo da poter scaricare sugli enti locali la responsabilità politica nel caso la gara vada poi deserta.
Bitetti ha appena ritirato le dimissioni, dopo il caos delle scorse settimane, e deve dimostrare di poter assicurare le condizioni di “agibilità politica” di una città che sembra ormai ingovernabile.
LE REAZIONI UFFICIALI: DA URSO A EMILIANO, DICHIARAZIONI DI SINTESI
Così il senso dell’accordo siglato ieri è tutto affidato alle dichiarazioni di chi sedeva al tavolo del ministero. “Una svolta che potrà incoraggiare gli investitori” secondo il ministro Adolfo Urso, “un giorno che resterà nella storia della Puglia e dell’Italia intera” dice il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano. Più cauto ma ottimista il presidente della Provincia di Taranto, Gianfranco Palmisano, che parla di “passo concreto”. Per Bitetti si tratta di un semplice “documento, non di un accordo di programma che recepisce le richieste del Comune”.
LO SCETTICISMO SINDACALE
Ma i sindacati riportano la questione su un piano di realtà, con reazioni di tutt’altro segno. Per Rocco Palombella della Uilm “La montagna ha partorito il topolino”. Michele De Palma, segretario della Fiom-Cgil, definisce il testo del documento firmato “senza alcun valore”, poiché “non garantisce gli attuali livelli occupazionali”. Duro anche Ferdinando Iuliano di Fim – Cisl: il documento “non chiarisce i tempi di realizzazione, le risorse necessarie e le modalità di attuazione del piano industriale, permangono inoltre incertezze sul ruolo dello Stato come garante del progetto”.