Nel mazzo dei 26 Volenterosi annunciato ieri da Macron, ci sono carte di tutti i colori. Il punto fermo è l’aiuto a Kiev al cessare della guerra con la Russia, ma è sulle modalità che si consuma la divisione trai partner europei
Al vertice tenutosi ieri a Parigi, Emmanuel Macron ha annunciato che 26 paesi della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” si sono impegnati a garantire la sicurezza dell’Ucraina dopo la guerra.
Al numero dei “sì” corrispondono altrettante sfumature nelle modalità di partecipazione: chi promette truppe, chi solo supporto logistico, chi si limita a iniziative fuori dai confini ucraini.
CHI C’ERA AL VERTICE DI PARIGI
Ma chi sono questi 26? Perché a valutare i piani, nella riunione convocata da Keir Starmer e dallo stesso Macron, c’erano circa 35 Paesi, tra presenti e collegati: oltre ai 27 europei, hanno partecipato anche l’inviato Usa Steve Witkoff, rappresentanti di membri del Commonwealth e di paesi alleati dell’Asia e dell’Oceania che non appartengono alla Nato, come Australia, Giappone e Nuova Zelanda. Coinvolto anche Narendra Modi, di rientro dallo Sco di Shanghai e fresco di strette di mano con Xi Jinping. Al momento non è dato sapere con certezza chi siano gli aderenti al piano dei Volenterosi. Ma ormai è chiaro che l’iniziativa non può essere solo europea: serve un respiro più ampio.
I PIÙ VOLENTEROSI
Nel gruppo ci sono paesi che non hanno esitato a dichiararsi pronti a fare di più. La Francia, ovviamente, che guida la coalizione con Macron nel ruolo di promotore principale, insiste sull’idea di una “forza di rassicurazione” capace di schierarsi anche dentro l’Ucraina, se necessario.
A fianco di Parigi c’è il Regno Unito di Keir Starmer, che non ha escluso l’invio di truppe, purché in coordinamento con gli Stati Uniti. Anche i paesi nordici e baltici spingono su questa linea: vivono da vicino la minaccia russa e vedono nella presenza militare occidentale una garanzia di sicurezza immediata.
C’era anche l’Europa, rappresentata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sponsor del riarmo e decisa a trasformare l’Ucraina in un “porcospino d’acciaio”, cioè in un paese impenetrabile a ogni nuova aggressione.
I MENO VOLENTEROSI
Accanto a questi, però, ci sono altri leader molto più prudenti. L’Italia, per esempio: Giorgia Meloni ha ribadito che truppe italiane in Ucraina non ce ne saranno, ma ha lasciato aperta la strada a missioni di monitoraggio e addestramento al di fuori dei confini ucraini.
La Germania ha scelto una formula interlocutoria: il cancelliere Friedrich Merz ha detto che Berlino deciderà solo dopo aver chiarito le condizioni, e soprattutto dopo aver verificato se davvero gli Stati Uniti intendono impegnarsi.
La Polonia, nonostante il suo ruolo di frontiera orientale, ha chiuso subito la porta: “Nessun soldato polacco in Ucraina, né prima né dopo la fine della guerra”, ha dichiarato il premier Donald Tusk.
IL RUOLO DEGLI USA
La conferenza si è conclusa con una videoconferenza con Donald Trump, da cui è emersa la solita ambiguità americana, a cui l’Europa rimane irrimediablmente appesa.
Da un lato, Washington resta la garanzia necessaria perché gli europei possano impegnarsi davvero; dall’altro, non vi è stata alcuna promessa esplicita di inviare soldati.
La preoccupazione di Washington è tutta per i Paesi europei che continuano ad acquistare petrolio e gas da Mosca (invece che dagli Usa), ossia Slovacchia e Ungheria.
Segno che, lontano da Bruxelles, il ruolo tracciato per l’Europa sia quello del mercato, come del resto dimostrano la telenovela dei dazi e la riconversione dell’economia del Vecchio Continente in vista di un riarmo generalizzato.
VOLENTEROSI MA TROPPO EUROCENTRICI?
Certo, il vertice ha voluto rinnovare la solidarietà europea alla causa ucraina e trasmettere un segnale di fermezza al Cremlino: se la Russia continuerà a rifiutare negoziati concreti, l’Europa — insieme agli Stati Uniti — rafforzerà le sanzioni e la propria postura difensiva.
Ma la via per la pace passa altrove: l’asse decisivo per porre fine alle ostilità, ammesso che i due leader la vogliano, è tra Trump e Putin, oltre al fatto che senza la Cina un vero cessate il fuoco non è possibile. Peraltro il Cremlino ha già bollato il piano dei Volenterosi come “garanzie di pericolo per l’Europa”, definendo inaccettabile qualsiasi presenza militare straniera in Ucraina.
La gestione del dopoguerra è un punto fondamentale di qualsiasi negoziato, e non può essere fatta contro Mosca, tanto più in ordine sparso e con mille distinguo. Per questo i Volenterosi devono guardare ben al di là dei confini del Vecchio Continente. A meno che il reale obiettivo del susseguirsi di annunci non sia trovare una base mediatica per far digerire la riconversione dell’economia europea.