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Khamenei

Khamenei: “Non ci arrenderemo mai”. Chi è, chi potrebbe sostituirlo, quale futuro per l’Iran

La biografia di Khamenei è la cartina di tornasole per comprendere la storia recente dell’Iran, e forse per dare un’indicazione sul suo futuro. Il ritratto della guida suprema iraniana e gli scenari sulla successione

L’orizzonte geopolitico nel quadrante mediorientale si fa sempre più fosco. Dopo l’ultimatum di Trump e le minacce esplicite alla sua incolumità, Khamenei rilancia, allontanando qualsiasi ipotesi di distensione con il governo di Israele e prefigurando uno scenario terribile nel caso di un coinvolgimento diretto degli Usa.

“La nazione iraniana resisterà fermamente a una guerra imposta, così come resisterà fermamente a una pace imposta. Questa nazione non si arrenderà a nessuno di fronte a un’imposizione”, ha annunciato la guida suprema iraniana in un discorso alla tv di Stato.

Si va allo scontro frontale, dunque. Israele intanto non esclude l’ipotesi di eliminare fisicamente Khamenei, dopo aver decimato il suo cerchio ristretto e i vertici militari del Paese. La morte a maggio dell’anno scorso di uno dei pochi esponenti del clero iraniano in grado di raccoglierne l’eredità, Ebrahim Raisi, rende il futuro della Mezzaluna Sciita ancora più incerto.

Al di là del baratro verso cui Iran, Israele e Stati Uniti sembrano voler condurre il mondo intero, quale futuro attende la Repubblica islamica? La risposta, probabilmente, bisogna cercarla proprio nella figura e nell’ascesa di Khamenei, una traiettoria che coincide perfettamente con il consolidamento della teocrazia iraniana e ne incarna le contraddizioni.

L’INFANZIA

Nato il 19 aprile 1939 a Mashhad, nel nord-est dell’Iran, Ali Khamenei proviene da una famiglia di modesta estrazione azera il cui patriarca, Javad, era un religioso sciita. Fin da bambino, Khamenei muove i primi passi nello studio del Corano presso la maktab locale, la tradizionale scuola elementare. Completata l’istruzione di base, si trasferisce a Qom, il principale centro teologico sciita, dove approfondisce giurisprudenza islamica e filosofia sotto la guida di figure di spicco come Hossein Borujerdi e, soprattutto, Ruhollah Khomeini.

KHAMENEI IL RIVOLUZIONARIO

Gli anni Sessanta lo vedono emergere come attivista contro il regime dello Scià Mohammad Reza Pahlavi. Ammesso alle cerchie rivoluzionarie clandestine, viene arrestato ripetutamente (sei volte tra il 1962 e il 1975) per le sue attività di propaganda religiosa e politica. Testimonianze ricordano un giovane Khamenei dal volto gentile, poeta e fumatore.

CAPO DEI PASDARAN

Il 1979 è l’anno della svolta: con il rientro dall’esilio di Khomeini e la caduta dello Scià, Khamenei diventa membro del Consiglio della Rivoluzione e figura chiave nell’organizzazione dei Guardiani della Rivoluzione (pasdaran), la milizia creata per difendere i successi rivoluzionari. L’esperienza nei ranghi dei pasdaran, che in pochi anni diverranno uno dei centri di potere più influenti di Teheran, consolida il suo profilo di leader ferreo e religioso.

DALLA PREGHIERA DEL VENERDÌ ALLA PRESIDENZA

Nell’autunno del 1979 Khomeini lo nomina Imam della preghiera del venerdì nella moschea di Teheran, un incarico di grande prestigio politico e religioso. Nel giugno 1981 sopravvive a un attentato con bomba – un episodio che, pur ferendolo gravemente, ne cementa la fama di “martire vivente”.

Pochi mesi più tardi, nell’ottobre 1981, Khamenei viene eletto presidente della neonata Repubblica islamica: è il primo religioso a ricoprire la carica esecutiva. I suoi due mandati (1981‑1989), segnati dalla sanguinosa guerra contro l’Iraq, rappresentano il trionfo dei conservatori e l’abbandono delle speranze riformiste nate nel 1979. Il potere reale, comunque, resta nelle mani di Khomeini, che controlla tutti i principali centri decisionali.

L’ELEZIONE A GUIDA SUPREMA

Alla morte di Khomeini, il 3 giugno 1989, l’Assemblea degli Esperti opera una forzatura e aggira la barriera costituzionale, modificando i requisiti per eleggere la Guida Suprema in modo da designare Khamenei, all’epoca “solo” ayatollah di medio rango.

Il 4 giugno 1989 egli assume formalmente il titolo di Rahbar (Guida Suprema),  concentrando nelle proprie mani il comando delle forze armate regolari, dei pasdaran e delle milizie paramilitari basij.

Negli anni successivi, Khamenei costruisce una rete personale di fedelissimi: nomina alle cariche chiave esponenti leali, rafforza il potere del Consiglio dei Guardiani e trasforma i pasdaran in un complesso militare‑economico che controlla appalti e business strategici.

LA REPRESSIONE DEL MOVIMENTO VERDE

Sotto il suo sguardo, la teocrazia non fa sconti: dalla stretta sui mass media del 2000 – quando blocca ogni riforma della legge sulla stampa – alla durissima repressione del “Movimento Verde” del 2009, Khamenei non esita a ordinare arresti, torture e perfino esecuzioni di dissidenti. La tragica morte in piazza della giovane Neda Agha Soltan resta il  simbolo di quella repressione, drammaticamente appaiata nell’immaginario a quella di un’altra donna, Mahsa Amini, nel settembre 2022 morta mentre era sotto custodia della “polizia morale”, il braccio del potere patriarcale imposto dal regime a tutti i livelli della società iraniana.

LA SFIDA A ISRAELE E USA

Antagonista dichiarato di Stati Uniti (“Grande Satana”) e Israele (“canaglia sionista”), Khamenei ha fatto del programma nucleare un asse centrale della sua politica estera.

Nonostante la fatwa – mai resa pubblica – contro le armi atomiche, l’Iran era già soggetto, prima che deflagrasse la crisi di questi giorni, a sanzioni internazionali e accuse di doppio gioco, con Teheran che continuava a rivendicare il diritto all’arricchimento dell’uranio.

Oggi, all’età di 86 anni, la salute di Khamenei è fragile: si parlava già di problemi cardiaci e di un tumore alla prostata. Il sostanziale fallimento del tavolo negoziale sul nucleare e le minacce rivoltegli da più parti gettano una pesante ombra sulle possibilità della guida suprema di uscire indenne dall’escalation, con le potenze nemiche e l’opposizione interna che auspicano da tempo un cambio di regime e la fine dell’era degli ayatollah.

CHI POTREBBE SOSTITUIRLO

Completamente isolato dal punto di vista internazionale, né repubblica né dittatura, l’Iran è oggi una teocrazia che mescola elementi di legittimazione popolare a principi religiosi rigidissimi per regolare la vita del suo popolo.

L’equilibrio su cui si regge da più di quarant’anni il potere degli ayatollah si deve in primo luogo alla continuità tra Khomeini e il suo allievo Khamenei, suggellata da una forzatura costituzionale che interruppe il processo di graduale reinserimento nel contesto internazionale che il presidente Rafsanjani voleva intraprendere, archiviata la fase rivoluzionaria.

Già prima della guerra aperta con Israele, la successione di Khamenei costituiva un enorme interrogativo. Nel tempo si sono fatti tanti nomi, figure moderate, ultraconservatori legati ai pasdaran e persino il figlio Mojtaba, capo ombra dei servizi segreti di Teheran: ma nessuno gode di unanime consenso tra gli 88 ayatollah dell’Assemblea degli Esperti.

E veniamo  ai cinici, quanto semplicistici, scenari sul cambio di regime imposto a suon di bombe, che, come ricostruisce Alberto Negri su il manifesto, in una potenza petrolifera mondiale di 90 milioni di abitanti, si tradurrebbero piuttosto nel caos generalizzato e in un assist alle tendenze più autoritarie. La più diffusa tra queste voci prefigura un possibile Pahlavi 2.0, con il ritorno del figlio dello scià cacciato nel ’79 alla guida del Paese, che avrebbe l’appoggio di Netanyahu in persona: un’ipotesi per il momento più mediatica che concreta, sullo sfondo di un’escalation che vira d’ora in ora verso un punto di non ritorno.

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