Oltreconfine, la rassegna stampa internazionale di PolicyMaker
Tbilisi è in bilico tra il sogno europeo della popolazione e il “Sogno Georgiano”: Bidzina Ivanishvili vince le elezioni, contestatissime, e minaccia di spingere spinge il Paese verso la Russia. La Siria prova a darsi una struttura democratica dopo la fine dell’era Assad, ma permangono grosse difficoltà amministrative, alimentate da un sistema elettorale scarsamente rappresentativo. Intanto gli Stati Uniti proseguono sulla strada del ritiro militare dall’Iraq.
PROTESTE E REPRESSIONE DOPO LE ELEZIONI MUNICIPALI IN GEORGIA
Le elezioni municipali in Georgia, tenutesi sabato, hanno segnato un momento critico per il Paese, ma non per i motivi auspicati dalla popolazione. Il partito al governo, Sogno Georgiano, ha dichiarato una vittoria schiacciante, con oltre l’80% dei voti in molti comuni, secondo Reuters. Tuttavia, il voto è stato boicottato dalle principali forze di opposizione pro-Ue, che denunciano brogli nelle elezioni parlamentari dell’ottobre 2024 e una repressione politica sistematica, con leader incarcerati e media indipendenti sotto pressione, come sottolineato da Deutsche Welle. L’affluenza alle urne, inferiore al 30% nella prima parte della giornata riflette la sfiducia verso il processo elettorale, definito una “farsa” alla CNN dall’analista Giorgi Rukhadze. Le elezioni hanno scatenato massicce proteste a Tbilisi, con decine di migliaia di persone in piazza, sventolando bandiere georgiane ed europee, contro le politiche repressive di Sogno Georgiano, accusato di allontanare la Georgia dall’Ue e avvicinarla alla Russia. Le tensioni sono esplose quando manifestanti hanno tentato di entrare nel palazzo presidenziale, con la polizia che ha risposto con idranti, gas lacrimogeni e spray al pepe, causando feriti (21 agenti e 6 manifestanti ricoverati, secondo Reuters). Tra gli arrestati c’è il cantante d’opera Paata Burchuladze, accusato di incitamento alla violenza. Al centro delle proteste c’è l’accusa che Sogno Georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, agisca sotto influenza russa, anche attraverso una legge sugli “agenti stranieri” analoga a normative repressive russe, come ricorda Bloomberg. La sospensione dei negoziati con l’Ue nel novembre 2024 ha alimentato ulteriormente il malcontento, con manifestanti che temono uno scivolamento verso l’autoritarismo. Amnesty International ha denunciato rappresaglie contro oppositori e società civile, con circa 60 persone incarcerate nell’ultimo anno. Le proteste, intensificate dalla repressione, continuano con richieste di liberazione dei prigionieri politici e nuove elezioni. Nonostante le accuse di “radicalismo” del premier Kobakhidze, l’opposizione insiste sulla natura pacifica del movimento. La Georgia è a un bivio: le elezioni del 2025 hanno evidenziato la spaccatura tra un governo accusato di autoritarismo e una società civile determinata a difendere le aspirazioni democratiche ed europee.
ELEZIONI INDIRETTE IN SIRIA
A dieci mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, la Siria ha tenuto le sue prime elezioni, un evento che, come scrive il New York Times, ha generato entusiasmo in un Paese segnato da 14 anni di guerra civile. Tuttavia, non si è trattato di un’elezione diretta: i cittadini non hanno votato, e i 140 membri del Parlamento su 210 sono stati scelti dai consigli locali attraverso un sistema indiretto, mentre i restanti 70 saranno nominati dal presidente Ahmed al-Shara nelle prossime due settimane. Ufficialmente questo meccanismo, come riportato da Al Jazeera, riflette le difficoltà amministrative, come la mancanza di documenti per molti sfollati. I risultati parziali, annunciati lunedì, mostrano una netta predominanza di uomini sunniti, protagonisti della rivoluzione, con sole sei donne e meno di una dozzina di rappresentanti di minoranze etniche e religiose tra i 119 seggi assegnati, secondo il New York Times. Tra i vincitori spiccano figure come un medico di Idlib, che gestiva un ospedale in prima linea, e una scrittrice di romanzi sulla guerra. Nabieh Nabhan, attivista di Tartus, ha criticato il sistema elettorale, che, come scrive Al Jazeera, favorisce la maggioranza sunnita e non garantisce una rappresentanza equa, alimentando timori di un nazionalismo sunnita. Nonostante ciò, l’atmosfera politica è vibrante. Il New York Times sottolinea che la fine dell’autoritarismo ha aperto spazi di dibattito e competizione. Mona Abu Athan, candidata non eletta di Damasco, ha però lamentato la scarsa organizzazione delle donne rispetto agli uomini. Solo un cristiano è stato eletto, e aree come il nord-est curdo e Sweida, a maggioranza drusa, sono state escluse dal voto perché fuori dal controllo governativo. Il presidente al-Shara potrebbe correggere le disparità con le nomine dei 70 seggi, un test per il suo impegno verso un governo inclusivo, come riportato dal New York Times. Al Jazeera evidenzia che l’esclusione dei partiti dell’era Assad e delle opposizioni in esilio, insieme al sistema di candidature individuali, ha spinto gli analisti a studiare le inclinazioni dei vincitori. Abdullah al-Hafi, membro di un gruppo di advocacy, ha dichiarato che il Parlamento riflette la “realtà siriana” senza un blocco dominante.
USA AVVIANO RITIRO MILITARE DALL’IRAQ
Come riportato dall’Associated Press, l’esercito statunitense ha iniziato a ridurre la propria missione in Iraq, in linea con un accordo siglato lo scorso anno con il governo iracheno, che porterà a una diminuzione di circa il 20% delle truppe Usa impegnate nella lotta contro lo Stato Islamico (ISIS). L’accordo, firmato sotto l’amministrazione Biden, prevede la conclusione della missione militare della coalizione guidata dagli Stati Uniti contro l’ISIS entro settembre di quest’anno, con il ritiro delle forze Usa da alcune basi in cui erano presenti da due decenni. Secondo il portavoce del Pentagono, Sean Parnell, questa riduzione riflette il successo nella lotta contro l’ISIS, con un passaggio di responsabilità alle forze irachene, addestrate per circa un decennio da Washington. Il ritiro è iniziato da basi come Baghdad e Ain al-Asad, con le truppe Usa che saranno consolidate principalmente a Irbil, nella regione curda semi-autonoma del nord dell’Iraq. Si prevede che il numero di militari americani scenderà a meno di 2.000, rispetto agli oltre 2.500 attualmente presenti, una cifra già molto inferiore rispetto ai 20.000 soldati schierati un decennio fa. Un alto funzionario iracheno ha confermato che il ritiro è iniziato settimane fa, lasciando solo un numero limitato di consiglieri militari al comando congiunto. Nonostante i progressi, però, l’ISIS continua a condurre attacchi mortali in Iraq e Siria, dove gli Usa hanno recentemente ritirato 600 truppe, lasciando meno di 1.000 militari a collaborare con gli alleati curdi. Le preoccupazioni persistono a causa dell’instabilità in Siria e delle tensioni in Medio Oriente. Il primo ministro iracheno, Mohammed Shia al-Sudani, ha dichiarato che entro fine anno Usa e Iraq discuteranno di un nuovo accordo bilaterale sulla sicurezza. Come dichiarato dai due governi, le forze irachene sono ora considerate capaci di gestire autonomamente la minaccia dell’ISIS, mentre Washington manterrà una stretta coordinazione con Baghdad per garantire una transizione responsabile.