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Sharm el-Sheikh

Tutto sui negoziati Israele-Hamas a Sharm el-Sheikh

Il punto sulle trattative in corso a Sharm el-Sheikh tra Hamas e Israele

A due anni meno un giorno dai fatti del 7 ottobre 2023, la trattativa indiretta tra Hamas e Israele promossa dal governo americano e preceduta dai colloqui tra i leader delle milizie islamiste e i rappresentanti di Qatar ed Egitto, entra nel vivo.

Le delegazioni di ambo le parti sono già a Sharm el-Sheikh, la cittadina egiziana sul Mar Rosso che ospiterà i negoziati.  Sul tavolo diversi nodi da sciogliere, a partire dalle tempistiche sul rilascio degli ostaggi, punto cruciale su cui si misurerà il successo del piano Trump per la pace a Gaza: Hamas non intende privarsi dell’unica leva negoziale di cui dispone senza garanzie da parte degli Stati Uniti, di Tel Aviv e dei Paesi arabi che appoggiano i negoziati, mentre Netanyahu ha già annunciato che senza la liberazione dei prigionieri, vivi e morti, le procedure per l’attuazione del cessate il fuoco non vedranno la luce. Nel frattempo, proseguono gli attacchi sulla Striscia: nelle ultime 24 ore sono 63 le vittime delle bombe israeliane a Gaza.

CHI GUIDA LE TRATTATIVE TRA HAMAS E ISRAELE A SHARM EL-SHEIKH: LE DELEGAZIONI

Per Hamas sarà Khalil al-Hayya a guidare la delegazione: sopravvissuto a diversi attentati dell’Idf, tra cui l’attacco israeliano del 9 settembre a Doha, al-Hayya è vicepresidente dell’Ufficio politico delle milizie islamiste, già stretto collaboratore di Sinwar, prima della sua uccisione nel 2024 a Rafah, e tra gli ideatori del blitz del 7 ottobre.

Per Israele il riferimento sarà il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer, mentre gli Usa saranno presenti con l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff e il genero del presidente Donald Trump Jared Kushner.

IL NODO SUL RILASCIO DEGLI OSTAGGI

Trump ha già minacciato che nel caso in cui Hamas non accetti le condizioni del piano “sarà l’inferno”, ma negli ultimi giorni si è mostrato ottimista sull’esito dei negoziati e ha previsto che le trattative si chiuderanno in un paio di giorni. Il Segretario di Stato Marco Rubio, ha però chiarito che è essenziale che l’offensiva nella Striscia si riduca: “non si possono rilasciare gli ostaggi nel bel mezzo di un attacco”, ha detto nel corso di un’intervista, spiegando che la prima fase dei negoziati a Sharm el-Sheikh avrà come oggetto gli aspetti logistici del rilascio dei 48 ostaggi israeliani (20 ancora in vita), in cambio di 250 ergastolani palestinesi e di 1.700 residenti di Gaza detenuti dopo il 7 ottobre.

LA RICHIESTA DI HAMAS: STOP AI RAID E RILASCIO DI PRIGIONIERI PALESTINESI ECCELLENTI

Su questo primo fondamentale punto, Hamas pone alcune condizioni preliminari: stop ai raid israeliani per almeno mezza giornata e per tutta la durata dei negoziati, ritiro preventivo dell’Idf dalla Striscia e più tempo rispetto alle 72 ore previste dal piano. Chiede inoltre la scarcerazione di alti esponenti dei principali gruppi palestinesi nella Striscia, da Hamas a Fatah, come Marwan Barghouti, Ahmad Sa’adat, Ibrahim Hamed, Hassan Salameh e Abbas Sayyed.

LA POSIZIONE ISRAELIANA E LA FORZA DI STABILIZZAZIONE

D’altro canto Netanyahu ha precisato che senza la liberazione dei sequestrati l’accordo non avrà applicazione e fino a quel momento l’Idf rimarrà in controllo nella Striscia. Il piano Trump prevede però la presenza di una forza di stabilizzazione internazionale, che farebbe arretrare l’esercito israeliano in 3 fasi, anche se di poco rispetto all’attuale posizionamento. La quadra potrebbe essere trovata fissando il ritiro delle forze di Tel Aviv almeno fino alla zona cuscinetto che verrà creata al confine per la Striscia, ma le trattative saranno difficili e serrate.

LA QUESTIONE DEL DISARMO DI HAMAS

Anche perché proprio su questo crinale si gioca il disarmo delle milizie, con il leader delle Brigate Al Qassam, Ezzedin al Haddad, che non intende consegnare le armi in toto. Una possibile intesa può essere raggiunta se Israele si accontenterà della deposizione delle armi pesanti – granate e lanciarazzi – mentre sui fucili in mano ai miliziani non sembrano esserci spiragli, dal momento che il movimento islamista li considera un’arma di difesa.

IL GOVERNO DI TRANSIZIONE E IL RUOLO FUTURO DI HAMAS

Chiaramente la posta in gioco è la sopravvivenza di Hamas come entità politica nella Striscia, un punto su cui Tel Aviv non transige. Secondo il piano Trump, Gaza dovrebbe essere temporaneamente governata da un “Board of Peace” sotto la supervisione, tra gli altri, dello stesso presidente americano e dell’ex premier britannico Tony Blair, fino al subentro dell’Autorità Nazionale palestinese come guida dei gazawi, scenario però che rimane ancorato a un vago “programma di riforme” menzionato al punto 19 del piano Trump. Nel frattempo Hamas rigetta qualsiasi governance di Gaza che non tenga conto di una rappresentanza palestinese e proverà a ritagliarsi un ruolo.

NETANYAHU: “MAI UNO STATO PALESTINESE”

Su tutto pesa il muro del premier israeliano sulla nascita dello Stato palestinese, nonostante il piano Trump faccia esplicito riferimento a una “statualità”, riconosciuta come aspirazione legittima del popolo palestinese.

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