Rispunta il progetto di una “Nato araba” dopo i raid israeliani a Doha, ma le fratture interne e i timori verso Washington ne ostacolano la realizzazione. L’invasione via terra di Gaza potrebbe però rimescolare le carte, mentre in Qatar si attende Rubio per chiarire la posizione Usa.
Poche ore prima che Israele scatenasse la sua offensiva terrestre su Gaza, i leader arabi riuniti a Doha rilanciavano l’idea di una difesa collettiva in stile Nato: una proposta evocativa, già avanzata da al-Sisi dieci anni fa in chiave anti-Iran, e ora tornata d’attualità dopo i raid dell’Idf contro i negoziatori di Hamas nella capitale qatariota.
Il progetto rischia però di rimanere soltanto un’idea suggestiva priva di concretezza: tra i Paesi arabi una vera alleanza militare è ostacolata da divisioni politiche, interessi divergenti e dalla cautela dei Paesi del Golfo per le possibili ripercussioni sulle relazioni con Washington.
UNA NATO ARABA?
La parola “Nato” è stata evocata come metro per pensare una difesa collettiva araba: non tanto per importare pedissequamente la struttura atlantica, quanto per dotarsi di un meccanismo che risponda in maniera vincolante ad aggressioni esterne.
Chi pagherebbe però il prezzo politico e militare di un equilibrio più vincolante fra Paesi con interessi spesso contrastanti al momento non è chiaro: l’operazione richiederebbe risorse militari e interoperabilità tecnica, con un comando unificato, standard comuni, basi logistiche prestabilite, che attualmente i Paesi arabi sono ben lungi dal raggiungere, specie in un’ideale contrapposizione con un alleato dell’Occidente, qual è e rimane certamente Israele.
LE DIVISIONI NEL MONDO ARABO
Più che un segnale di unità, il vertice di Doha ha messo in chiaro diverse fratture interne: gli Stati che negli ultimi anni si sono avvicinati a Israele (come gli emirati del Golfo) non vogliono oggi rompere con decisione i canali diplomatici e gli equilibri costruiti con l’appoggio statunitense; altri, come Turchia ed Egitto, hanno posizioni più dure nei confronti di Israele – da proposte di pressioni economiche a richieste di misure punitive – ma si guardano bene dal rischiare il rapporto con gli Alleati extra-regionali.
LA RISPOSTA AGLI ATTACCHI DI DOHA
Insomma, fin qui dai Paesi arabi e musulmani non è giunta nessuna risposta concreta e unitaria agli attacchi dell’Idf in territorio qatariota. Dopo gli annunci sulla possibilità di un ritiro dagli Accordi di Abramo, la protesta si è limitata a segnali di disapprovazione formale: il Financial Times ha riferito che il Qatar ha interrotto una parte della cooperazione di intelligence con Israele — una misura simbolicamente importante che però non equivale a un blocco militare o a sanzioni economiche di ampia portata – mentre dal summit di Doha si condannava l’attacco israeliano come un’aggressione “sfacciata, infida e codarda”
L’INVASIONE DI GAZA PUÒ CAMBIARE TUTTO
Ma non è da escludere che l’invasione terrestre di Gaza, che si prospetta già feroce, con centinaia di migliaia di persone costrette alla fuga dalle bombe israeliane, e l’eventuale annessione dei territori in Cisgiordania, già minacciata in precedenza dal governo di Tel Aviv, possano rimescolare le carte in tavola e costringere i leader regionali a trovare la quadra per salvare quantomeno le apparenze.
RUBIO ATTESO OGGI A DOHA
Oggi peraltro è atteso a Doha anche il Segretario di Stato Usa Marco Rubio, cui gli emiri chiederanno conto dell’attacco israeliano: gli Stati Uniti erano stati avvertiti? Se sì, come sostengono alcuni funzionari israeliani, perché hanno permesso un’operazione che si svolgeva all’interno dei confini di un importante alleato?