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Perché sono agitate le acque tra Salvini e la procura di Agrigento

Dl Sicurezza Bis

I Graffi di Damato sullo scontro in diretta televisiva tra Matteo Salvini e il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sulla nave Sea Watch 3

Ci mancava, almeno a memoria di un vecchio cronista politico, ed è arrivato anche questo: uno scontro in diretta televisiva, da brividi, fra i poteri dello Stato, in particolare fra l’esecutivo e il giudiziario, fra un ministro e un pubblico ministero, cioè Matteo Salvini e il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio. Che prima ha sequestrato nelle acque di Lampedusa la nave Sea Watch 3 che li aveva soccorsi e poi ha fatto sbarcare i 47 migranti bloccati dal Viminale. Lo denuncerò, ha praticamente annunciato Salvini, collegato da Firenze allo studio televisivo di Massimo Giletti, de la 7, con immediata diagnosi più o meno sanitaria di una giornalista di Repubblica, presente e turbata dallo stato di “agitazione” del ministro, e del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Che in un titolo di prima pagina ha dato  a Salvini dell’uscito di testa.

I VECCHI SCONTRI PUBBLICI TRA I POTERI DELLO STATO

Ci sono stati, per essere onesti, altri due episodi in qualche modo paragonabili a questo, più o meno in diretta televisiva anch’essi, negli anni di “Mani pulite”, ma all’inverso: scontri fra una Procura della Repubblica, quella di Milano, e i governi pro-tempore. Il primo accadde quando Francesco Saverio Borrelli, nel 1993, contestò davanti a una telecamera nel tribunale di Milano il decreto legge appena varato dal governo di Giuliano Amato per la cosiddetta uscita politica da Tangentopoli, ottenendo il clamoroso rifiuto del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di firmarlo e di farlo entrare in vigore. Il secondo episodio si verificò l’anno dopo, nell’estate del 1994 con l’esordiente governo di Silvio Berlusconi, contro un cui decreto legge per limitare il ricorso alle manette durante le indagini preliminari protestarono in blocco i sostituiti procuratori di Milano, a cominciare da Antonio Di Pietro. Essi chiesero per protesta di essere destinati ad altre mansioni perché con le nuove norme non avrebbero potuto continuare le loro inchieste contro la corruzione.

Quel decreto, diversamente dall’altro, era già stato controfirmato da Scalfaro al Quirinale e aveva prodotto i primi effetti, con qualche scarcerazione, ma le proteste dei magistrati raggiunsero lo stesso l’obiettivo desiderato, essendo state condivise all’interno del governo e della maggioranza dai leghisti. Che imposero a Berlusconi la rinuncia alla cosiddetta conversione parlamentare, per cui il provvedimento decadde automaticamente con la scadenza costituzionale dei 60 giorni a disposizione delle Camere per approvarlo.

STESSI PROTAGONISTI DELLA VICENDA DICIOTTI

Ora che ne è passata di acqua sotto i ponti, e i leghisti probabilmente hanno maturato più esperienza di governo sotto la guida di Salvini, è quest’ultimo in veste di vice presidente del Consiglio e di ministro dell’Interno a rivoltarsi contro un procuratore della Repubblica. Che è peraltro lo stesso già occupatosi di lui l’anno scorso per la vicenda della nave “Diciotti” bloccata nel porto di Catania dal Viminale, e conclusasi con l’imputazione di Salvini per sequestro aggravato di persone non tradottasi in un processo per l’autorizzazione negata dal Senato.

Nella dura reazione di Salvini si potrebbe al limite intravvedere anche il sospetto, da parte del ministro, di una partita quasi personale addebitabile al magistrato, che sarebbe ovviamente ancora più inquietante e grave della partita politica e giudiziaria in sé. Certo è che, pur non volendolo, visto che si è occupato prevalentemente di prescrizione e di altro, suona come profetico anche per la partita fra Salvini e Patrinaggio il titolo di un editoriale dell’ex magistrato Carlo Nordio sui giornali del gruppo Caltagirone: “La giustizia deciderà del destino dei giallo-verdi”.

IL DESTINO COMUNE DEI DUE PARTITI DI GOVERNO

Si tratta quindi di un destino comune dei due partiti al governo, pur in continua polemica tra di loro. L’impressione di Nordio è confermata dalla posizione che i grillini hanno tenuto ad assumere quando lo scontro fra Salvini e Patrinaggio è esploso in diretta televisiva. Prima il ministro grillino delle Infrastrutture Danilo Toninelli e poi il portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino per conto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e, più in generale, della delegazione pentastellata al governo hanno tenuto a precisare di non avere avuto alcun ruolo nello sbarco dei 47 migranti a Lampedusa, disposto solo dall’autorità giudiziaria.

Questa precisazione va letta, e interpretata come correttiva rispetto alle tensioni ormai ordinarie nella maggioranza, anche alla luce di una intervista del sottosegretario leghista a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti alla Stampa –assai critico sui rapporti con i grillini, compreso il presidente del Consiglio Conte, troppo condizionato da loro secondo l’esponente del Carroccio-  e di una reazione di Luigi Di Maio a favore praticamente di Salvini sul fronte aperto contro il ministro dell’Interno dall’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani.

LUIGI DI MAIO E IL DECRETO SICUREZZA BIS PREDISPOSTO DAL VIMINALE

Il vice presidente a cinque stelle del Consiglio non muore certamente dalla voglia -tutt’altro- di approvare nella imminente o altre riunioni del governo il nuovo decreto legge su sicurezza e immigrazione predisposto dal Viminale e duramente criticato dall’organismo ginevrino delle Nazioni Unite, molto costoso -ha ricordato Salvini- e composto anche dai rappresentanti di Paesi come la Turchia e la Corea del Nord, non molto apprezzati, diciamo così, per la considerazione che hanno o praticano dei diritti umani. Ebbene, anche Di Maio ha tenuto da ridire sull’intervento del Commissariato dell’Onu, effettuato contro misure ancora in elaborazione, e prima che se ne discuta nella prima e unica sede legittima, che è quella del Consiglio dei Ministri.

IL TERRENO DI SCONTRO CARO E UTILE A SALVINI

Resta comunque un fatto che ad occhio e croce sembra un affare per Salvini. L’ultima settimana della campagna elettorale per il molteplice voto del 26 maggio, di carattere europeo, regionale e amministrativo, sembra ormai destinata a consumarsi sul terreno più caro e utile al “capitano” leghista, per i consensi che ha potuto raccogliere prima e dopo le elezioni politiche del 4 marzo dell’anno scorso: il terreno della sicurezza e dell’immigrazione.  Altro che l’allarme di Repubblica per il “governo a mare” lanciato senza distinzione fra i partiti che lo compongono.

 

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