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Perchè Roberto Fico tuona sulla centralità del Parlamento

commissioni camera

I graffi di Francesco Damato sulla lettera, passata quasi inosservata, del Presidente della Camera Roberto Fico.

Nel frastuono della “guerra” scoppiata fra il Viminale e i sindaci per l’applicazione delle nuove misure di sicurezza sugli immigrati, per non parlare delle perduranti reazioni al messaggio di Capodanno del capo dello Stato, fra poche critiche sincere e molti elogi farisaici, espressi a costo di interpretazioni opportunistiche, è passata ingiustamente inosservata una lettera del presidente grillino della Camera al Sole-24 Ore, Roberto Fico. Che, computer o penna in mano, l’ha scritta con grande coraggio o disinvoltura politica, come preferite,  visto che essa ripropone “la centralità del Parlamento” -anche nel titolo del quotidiano della Confindustria- pur dopo la “grande compressione” dell’esame parlamentare, appunto, del bilancio. Così l’ha definita il capo dello Stato in un passaggio pur fuggevole del discorso televisivo di San Silvestro a reti unificate,  e l’ha  ammessa lo stesso Roberto Fico. Il quale di suo ci ha messo soltanto l’aggettivo “dolorosa”, al posto di “grande”.

Se non è ancora diventato un reato penale il dissenso in questi tempi di “cambiamento” gialloverde, ho qualche difficoltà, da vecchio giornalista parlamentare, ad accontentarmi  del “dolore” del presidente della Camera Roberto Fico. E ne avrei anche per quello eventuale della presidente forzista del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Sarebbe bastato che entrambi, nell’autonomo esercizio delle loro funzioni, si fossero prodigati a sostenere davanti alle preoccupazioni espresse o attribuite all’illustrissimo signor presidente della Repubblica che sarebbe stato meglio ricorrere a qualche settimana di cosiddetto esercizio provvisorio, regolarmente previsto e disciplinato dalla Costituzione, piuttosto che approvare il bilancio in quel modo non chiesto ma imposto dal governo.

Fra le prove indicate da Roberto Fico per sostenere la perdurante “centralità” del Parlamento e contestare la “ingenuità” di chi “vaneggia una centralità perduta”, ci sono 503 emendamenti apportati, fra Camera e Senato, sino al 20 dicembre scorso a provvedimenti del governo: emendamenti dei quali 174 proposti dalle opposizioni. Peccato però che il presidente della Camera si sia fermato al 20 dicembre, risparmiandosi così il dolore -è il caso di dire- di aggiungere all’elenco il maxi-emendamento del governo al testo originario del bilancio. Esso è arrivato nell’aula del Senato saltando praticamente il passaggio per la commissione competente, raccolto in un fascicolo di 270 pagine per chi lo ha letto nella versione a spazio uno, e di 600 pagine per chi lo ha forse letto nella versione a spazio due, come credo sia accaduto al direttore del Foglio Giuliano Ferrara. Che ne ha scritto con quel numero in un editoriale ispiratogli dai “paradossi virtuosi” di un bilancio di cui ora il governo dovrà rispondere da solo al Paese, procurandosi -credo- la delusione e le proteste degli elettori dei due partiti che lo compongono, quando sarà esaurita l’euforia verbale del presidente del Consiglio e dei suoi due vice.

Con queste premesse ho appreso con una certa apprensione dalla lettera al Sole-24 Ore la decisione di  Fico di proporre a giorni o a settimane alla competente giunta della Camera “una serie di possibili interventi di riforma” del regolamento “che incidono su organizzazione dei lavori, procedure, qualità legislativa”. Spero bene.

Resto convinto, dopo quello che è accaduto nella ormai scorsa e cosiddetta sessione di bilancio, che la centralità delParlamento sia destinata ad essere intesa solo in senso fisico, non più politico e istituzionale. Per essere nel centro di Roma, da dove tanti anni fa volevano “decentrarle” all’Eur, le sedi della Camera e del Senato  sicuramente ci sono ancora.  I palazzi, rispettivamente,  di Montecitorio e di Palazzo Madama, fanno sempre la loro bella e imponente figura.

Roberto Fico

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