Condono del debito ai Paesi più poveri: il numero di febbraio de La Civiltà Cattolica dedica un ampio approfondimento all’invito di Papa Francesco espresso nella bolla Spes non confundit a «condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli». Una tesi con una lunga storia alle spalle ed esiti contrastanti, come dimostra il lavoro dell’economista e Nobel Joseph Stiglitz
Secondo il FMI, il debito pubblico mondiale ammonta a circa 100.000 miliardi di dollari, con un terzo detenuto dai paesi emergenti. Tra il 2010 e il 2021, il debito pubblico estero delle nazioni a basso e medio reddito è raddoppiato, raggiungendo i 3.000 miliardi di dollari. Nel 2022, questi paesi hanno destinato oltre 443,5 miliardi di dollari al servizio del debito, una cifra ben superiore agli aiuti ricevuti per lo sviluppo.
L’appello della bolla Spes non confundit, ripreso anche dal Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin alla Cop29 di Baku e dallo stesso Papa in occasione dell’inizio dell’anno giubilare, sottolinea la necessità di una giustizia economica che consenta ai paesi più fragili di investire nella transizione ecologica invece di essere soffocati dal debito.
Secondo il pontefice, infatti, condonare i debiti dei Paesi in via di sviluppo non deve essere visto soltanto come un atto di carità, ma come una strategia economica volta a garantire stabilità e sviluppo. L’alternativa è continuare a imporre misure di austerità a paesi già impoveriti, con conseguenze sociali ed economiche disastrose.
IL MECCANISMO DEL DEBITO SOVRANO
L’articolo a firma di Gaël Giraud, Kako Nubukpo e Hubert Rodarie ricostruisce bene la dinamica dell’indebitamento: quando uno Stato contrae un debito, emette Buoni del Tesoro che vengono acquistati da banche e investitori. In realtà, gran parte di questo denaro viene creato ex nihilo, ovvero attraverso meccanismi di credito bancario.
Dunque, la cancellazione del debito non implica una perdita diretta di capitale per le banche, ma solo la rinuncia ai profitti derivanti dagli interessi. Per i paesi poveri, che mai potrebbero ripagare il debito, questa operazione rappresenterebbe una spinta per lo sviluppo sostenibile.
Peraltro, la maggior parte degli Stati non ripaga mai interamente il proprio debito, ma lo rifinanzia costantemente. Questo significa che i paesi poveri si trovano intrappolati in un circolo vizioso in cui una larga parte delle loro risorse viene impiegata per pagare interessi, a scapito di investimenti in istruzione, sanità e infrastrutture.
LO SWAP DEBITO-CLIMA
I tre autori dell’articolo a questo punto avanzano una proposta forse meno ambiziosa della totale cancellazione del debito, ma pragmatica e in linea con lo spirito del tempo, che scommette forte sul processo di transizione ecologica per rilanciare l’economia mondiale, invece che un dietrofront che rischia di impantanare il sistema, come dimostrano le prima stime dell’Fmi sulle politiche di Trump.
Si tratta dello “swap debito-clima”, ossia un accordo finanziario in cui un paese debitore ottiene la riduzione o l’annullamento di una parte del suo debito estero in cambio dell’impegno a investire risorse equivalenti in progetti di tutela ambientale o di adattamento ai cambiamenti climatici.
IL CONDONO DEL DEBITO
L’idea del condono del debito non è certo nuova. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Germania Ovest ottenne una riduzione del 50% del proprio debito estero grazie agli Accordi di Londra, premessa importantissima alla ricostruzione postbellica. Negli anni ’80, diversi paesi dell’America Latina affrontavano una crisi del debito insostenibile, cui si ovviò attraverso il cosiddetto Piano Brady, promosso dagli Stati Uniti e dal FMI, che permise la ristrutturazione dei debiti di paesi come Messico, Argentina, Brasile e Venezuela, garantendo una riduzione del debito in cambio di riforme economiche.
In Iraq, dopo la caduta di Saddam Hussein, circa 80 miliardi di dollari di debito furono cancellati dal Club di Parigi (un gruppo di creditori internazionali), permettendo all’Iraq di ripartire economicamente dopo anni di guerra e sanzioni. Nel 2005 il G8, sotto la spinta di organizzazioni come Jubilee Debt Campaign e Oxfam, approvò la cancellazione del debito di 18 paesi a basso reddito attraverso l’Iniziativa Multilaterale per la Riduzione del Debito (MDRI). Più di recente, a seguito della crisi del debito sovrano greco, la Troika (FMI, BCE e Commissione Europea) ha approvato un piano di ristrutturazione che comportava una riduzione del debito pubblico detenuto da creditori privati di circa 107 miliardi di euro, attraverso un cosiddetto “haircut” (taglio nominale del valore dei titoli di Stato). Misure simili sono state introdotte ad Haiti, dopo il devastante terremoto del 2010 e in Argentina dopo il default del 2001.
LA LEZIONE DI STIGLITZ SUL CONDONO DEL DEBITO SOVRANO
È importante comunque notare che il condono del debito di per sé non è sempre latore di crescita e riduzione delle disuguaglianze.
L’economista Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, pur essendo uno dei principali sostenitori della cancellazione del debito per i paesi poveri, ha mostrato come molti debiti sovrani contratti da nazioni in via di sviluppo siano il risultato di prestiti irresponsabili concessi da istituzioni finanziarie internazionali e governi stranieri, spesso a regimi corrotti o autoritari e come le condizioni imposte per la ristrutturazione del debito spesso celino accordi capestro, destinati ad aggravare ancora di più la situazione e a esporre i mercati nazionali alle speculazioni globali, come nel caso della Grecia.
La posta in gioco, dunque, non deve essere soltanto solo regolamentare i mercati finanziari, limitare la speculazione sui titoli di Stato e introdurre criteri chiari per la rimodulazione dei debiti. La parte più importante, con reali ricadute sul benessere della popolazione e sull’ambiente, è legare tale rimodulazione agli obiettivi di neutralità climatica, introducendo un sistema di finanziamenti che facendo leva sulla transizione permetta ai Paesi in via di sviluppo di dare finalmente un senso a tale definizione.