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Dazi, carta bianca a Israele e investimenti in Sud America: ecco gli USA di Trump. Parla Di Liddo (CeSI)

Trump

Come saranno gli Stati Uniti di Trump e che relazioni avranno con l’Unione europea e con la Nato? Lo abbiamo chiesto a Marco Di Liddo, Direttore e Analista responsabile del Desk Africa e Russia e Caucaso presso il Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali.

Donald Trump è il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Quello che, nel corso del primo mandato presidenziale, è stato definito “un’anomalia” e che aveva oppositori all’interno del suo stesso partito, è riuscito a riconquistare la Casa Bianca. “Per la prima volta nella storia, gli americani hanno eletto un criminale condannato come presidente – scrive il New York Times -. Hanno consegnato di nuovo il potere a un leader che aveva cercato di ribaltare il risultato di una elezione, chiesto l’abrogazione della costituzione per tornare al potere, che aspira a essere un dittatore dal primo giorno del suo nuovo mandato con la promessa di punire i suoi avversari”.

Se quella del NYT è un’analisi alquanto allarmistica, la cui aderenza alla realtà è tutta da dimostrare, è pur vero che l’elezione di Trump sposta gli equilibri nelle relazioni internazionali, con l’Ue, con la Russia e con la Nato.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con Marco Di Liddo, Direttore e Analista responsabile del Desk Africa e Russia e Caucaso presso il Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali.

L’elezione di Donald Trump avrà un impatto sulle relazioni tra Usa e Unione europea. Partiamo dall’economia. Cosa succederà in materia di commercio?

Si deve distinguere il piano emotivo e quello simbolico da quello reale. Perché il piano simbolico ci fa temere l’elezione di Trump ma è un errore che non possiamo compiere. Dobbiamo valutare la parabola della politica economica ed estera americana al di là delle scelte tattiche dei singoli presidenti. Il piano strategico ci dice che, a cominciare da Trump, ma poi anche con Biden, gli Stati Uniti hanno intrapreso misure di massiccio intervento statale nell’economia, politiche protezionistiche e di guerre commerciali, di dazi, nei confronti di reali o potenziali competitor come la Cina. Quindi, io credo che Trump continuerà, nei limiti del sostenibile, pratiche di tipo protezionistico volte a ridurre la capacità di concorrenza delle imprese straniere rispetto al mercato americano.

Questo ha un impatto anche sull’Italia?

Significa che chi vorrà esportare negli Stati Uniti avrà dei costi più alti. Quindi, paesi con una forte vocazione all’export come l’Italia soffriranno se Trump deciderà di alzare i dazi, come del resto ha fatto Biden, o se Trump deciderà di immettere capitale statale in determinate industrie che ritiene strategiche, come ha fatto Biden. Basti pensare all’Inflation Reduction Act e al Chip Act, due misure volte a favorire le aziende americane e a stroncare sul nascere la spinta europea a creare nuove industrie ad alta tecnologia o per la transizione verde.

Se parliamo di transizione verde non possiamo non pensare alle materie prime critiche. In quest’area che peso avrà l’elezione di Trump?

Io credo che Trump proverà a continuare a riaprire miniere di terre rare, di materie prime critiche sul territorio americano per cercare di accorciare la filiera. Il vero problema è che, se si vuole rilanciare la manifattura americana, come Trump vorrebbe fare, non può basarsi esclusivamente su risorse naturali, in questo caso minerarie, presenti sul suolo americano per due motivi: costano troppo e non sono sufficienti. Quindi, bisognerà rivolgersi all’estero. Non si potrà andare in Cina perché quest’ultima continuerà con la politica di restrizione o di innalzamento dei costi delle materie prime critiche all’estero e quindi bisognerà andare in paesi più vicini come il Sud America. Quindi, immagino che ci saranno negoziati con Cile, Bolivia, per quanto riguarda l’acquisto di litio, rame, torio, gallio, germanio, tutte risorse che la Cina ha posto sotto uno stretto controllo.

Venendo al tema della difesa, secondo ci sarà un impatto sulla costruzione di un’industria europea della difesa?

L’Europa continuerà con il tentativo di costruire una filiera più razionale e che sia quanto più possibile autonoma da quella americana. Ma il problema è: chi comprerà gli equipaggiamenti e le armi prodotte dall’industria della difesa europea? Principalmente i paesi europei. E come facciamo a rilanciare questo settore se tutte le opinioni pubbliche non vedono di buon occhio l’aumento della spesa militare, nonostante le minacce esplicite al confine come quelle della Russia? Diciamo che una spinta ci sarà, ma se non c’è prima una spinta politica da parte dei paesi europei, che dovranno assumersi le proprie responsabilità e decidere di agire, qualora necessario, anche in maniera autonoma dagli Stati Uniti, non si potrà mai avere una difesa unita. Una difesa unita presuppone un’unità di intenti politici, una produzione razionale e un innalzamento dei budget. Ora noi europei dobbiamo farci una domanda.

Quale?

Se gli Stati Uniti decidono che l’Ucraina non è più importante l’Europa da sola deciderà di assumersi il peso politico, militare e finanziario della resistenza ucraina? Io la vedo male. Io non credo che, da sola, l’Europa possa decidere di sostenere Kiev. Noi non abbiamo le risorse finanziarie, non abbiamo quelle industriali. In questi anni di guerra non siamo riusciti a dare all’Ucraina quello di cui ha realmente bisogno per guidare una controffensiva su larga scala. Le armi che abbiamo fornito sono poche, per non dire insufficienti. Sono bastate all’Ucraina a difendersi, ma non a contrattaccare, perché per contrattaccare servono forniture dieci volte superiori.

Di recente è stata sottoscritta una task force tra Ue e Nato. Crede possa essere utile a limitare o ritardare un “disimpegno” statunitense dall’Alleanza atlantica?

Sono protocolli che esistono da tantissimo tempo, cercano di massimizzare la spesa, coordinare gli sforzi verso una direzione comune. Ma la difesa europea e la NATO hanno una differenza fondamentale: gli Stati Uniti pesano per il 75% del budget dell’Alleanza e hanno capacità, da soli, superiori alla somma di tutti gli altri membri. Questo è un condizionamento operativo e politico gigantesco. Trump considera la NATO un’organizzazione che deve sopravvivere in quanto strumento di proiezione dell’influenza americana, come tutti i presidenti prima di lui. Però chiedono agli europei di impegnarsi e di pagare un po’ la protezione americana. Questo potrebbe creare un problema a società, come quella europee, alle prese con una pressione sociale ed economica molto importante, che potrebbero non vedere di buon occhio la devoluzione del 2% del Pil alle spese militari. Certo non siamo tutti uguali, la Polonia, per esempio, con gioia impegna tali risorse perché ritiene che siano una spesa necessaria alla sicurezza nazionale. In Italia le cose sono diverse, questo è un tema da sempre estremamente divisivo.

Dal 7 ottobre 2023 il segretario di stato americano Anthony Blinken ha compiuto 11 viaggi in Israele. Segno di una cura attenta all’alleato israeliano. Cosa possiamo aspettarci ora?

Aspettiamoci carta bianca a Netanyahu, totale, anche più di adesso. Perché Biden, attraverso la diplomazia, le reprimende alle Nazioni Unite, l’interdizione di alcune piccole forniture militari a Israele, aveva cercato di mandare un messaggio. Questo messaggio non c’è più. Con Trump a Netanyahu viene detto: “Fai quello che devi fare, fallo in fretta, cerca di non coinvolgerci”. Anche se Stati Uniti potrebbero essere coinvolti nel caso in cui si decidesse un nuovo attacco all’Iran, non con soldati sul terreno, ma con un significativo supporto logistico, di intelligence e targeting satellitare.

Qualche mese fa l’ex consigliere di Trump George Lombardi ci ha detto che, con la vittoria di Trump, la guerra in Ucraina sarebbe terminata il giorno dopo il suo insediamento. È così?

Ha detto anche come?

Sì, tagliando le risorse militari che arrivano all’Ucraina.

Guardi il problema è come finirà, gli Stati Uniti possono non fornire più le armi. Però dobbiamo trovare un accordo e convincere gli ucraini a restituire Kursk ai Russi, ad accettare che i cinque Oblast sono tutti occupati dalla Russia e che non torneranno mai più indietro, e dovranno accettare che 22.000 bambini ucraini non torneranno più indietro dalle loro famiglie. In cambio poi di cosa? Di garanzie stile Nato sulla sicurezza Ucraina. Cioè, lei crede che gli Stati Uniti una volta che si ritirano e non danno più le armi, poi si impegnano ad intervenire in maniera obbligatoria in caso di violazione del territorio ucraino? Io credo di no. Chi lo farà? lo farà l’Europa? Non siamo credibili. Quindi il rischio qual è? L’Occidente, per l’ennesima volta, dopo i curdi, dopo la Siria, dopo l’Afghanistan, rischia di passare per un soggetto inattendibile, inaffidabile che promette ma poi, quando il gioco si fa duro, si tira indietro. Carburante per chi vuole cambiare l’ordine del mondo, come Cina, India, Russia, i Brics, che sostengono che il mondo costruito dall’Occidente non ha più senso di esistere.

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