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Dazi, Ucraina e difesa: i tre tavoli tra Usa e Ue. Parla l’ambasciatore Benassi

L’Ue deve chiedersi quale posto nel mondo vuole occupare e solo dopo capire in che modo relazionarsi agli Usa di Donald Trump. Intervista all’ambasciatore Pietro Benassi, ex Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea 

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca richiede la composizione di un nuovo quadro di relazioni istituzionali. Il tycoon è stato mandato al Campidoglio dai suoi concittadini con un obiettivo: far tornare grande l’America. Make America Great Again non è solo uno slogan da campagna elettorale ma un programma politico che Trump intende seguire attraverso uno stile politico muscolare che vuole usare la potenza economica e commerciale come armi della politica estera.

Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Pietro Benassi, ex Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea.

In che modo, secondo lei, l’Unione europea costruirà il dialogo con gli Stati Uniti di Donald Trump?

Prima di interrogarsi su quale rapporto con gli Stati Uniti assumere e di interrogarsi su quale sarà l’America di Trump, bisogna interrogarsi su quale sarà l’Europa. Dobbiamo capire se l’Europa difronte a una serie di rapporti e analisi degli ultimi mesi, da ultimo quello di Draghi, dove si indicano chiaramente le necessità per fare quel salto di qualità in termini di innovazione tecnologica, transizione digitale, transizione verde e quant’altro, avrà o vuole avere la forza politica per assumere le decisioni che tali spese comportano.

Perché questi progressi tecnologici, digitali e la richiesta e l’esigenza di aumentare le spese per la difesa, comportano spese per centinaia e centinaia di miliardi l’anno. Ora il bilancio dell’Unione Europea è all’1% e non è certo questa la cifra che possa consentire salti di qualità. Dunque, l’Europa deve decidere se vuole assumere delle scelte politiche che vadano a determinare, e che siano supportate, da scelte finanziarie importanti.

Sono prevedibili dei temi “critici” nelle relazioni con gli USA?

Credo che emergeranno due o tre temi sui quali, come ha detto la stessa Ursula von der Leyen, bisognerà negoziare, sedersi al tavolo per vedere se ci sono margini, e probabilmente ci saranno, per trovare un compromesso. Il primo tema è di ordine commerciale. Quindi, bisogna verificare l’idea del Presidente Trump di introdurre dazi generalizzati. Bisogna capire come va a colpire l’Europa, su quali settori può impattare di più. E poi, aggiungo, che a sua volta l’Europa deve capire cosa può fare. Perché i dazi si ricevono ma si possono anche mettere. E questo è un tema che terrà impegnata, nelle prossime settimane, la dimensione economico-commerciale del rapporto fra Europa e Stati Uniti.

E il secondo elemento?

È legato al conflitto in Ucraina. C’è l’auspicio che possano cessare le armi quanto prima. Per farlo, anche attraverso un cessate il fuoco, si deve intravedere un’intesa con Putin nella quale sia le esigenze dell’Ucraina, in primo luogo, ma anche la determinazione dell’Europa a prendere parte a questo negoziato, debbono trovare spazio. L’Europa ha offerto sostegno in termini militari, macroeconomici, di accoglienza di rifugiati all’Ucraina. Se dopo tutto questo è chiamata a contribuire alla ricostruzione del paese è chiaro che deve avere voce in capitolo in ambito negoziale. Anche qui si verificherà se c’è un’unità europea, se l’Europa avrà la forza di far presente questa esigenza sia al Presidente americano che al presidente della Federazione russa.

Il terzo elemento riguarda le spese per la difesa?

Sì, lo dicevo prima. Sulle spese della difesa bisognerà operare un salto di qualità. Non credo che sia raggiungibile, neanche lontanamente il 5% di cui qualcuno parla, ma intanto occorre garantire il 2% su base unitaria. Bisognerà vedere con quale strumento farlo, il bilancio dell’Unione europea non lo consente, bisognerà pensare a nuovi strumenti come risorse proprie dell’Unione europea, fondi sovrani, oppure esperienze finanziarie tipo quelle che furono a suo tempo per il post Covid del Next Generation Europe.

In tema di politiche energetiche, gli USA di Trump sembra che vogliano agevolare, e non limitare, l’impiego di fonti energetiche fossili anche permettendo nuove trivellazioni. L’UE, con il Green Deal, vorrebbe andare da un’altra parte. Questo potrebbe essere un altro terreno di scontro?

Intanto, quando si negozia si cercano terreni di incontro e non di scontro. C’è una questione energetica in Europa, a partire dalla diversificazione delle fonti e poi nella progressiva riduzione del fossile proprio in virtù della transizione ecologica. Ciononostante, la necessità di fossile per l’Europa rimane alta nei prossimi anni ed è stata in parte coperta con l’importazione di gas liquido dagli Stati Uniti.

Dal punto di vista dell’indipendenza energetica, l’Unione Europea ha fatto dei passi avanti, dal punto di vista dei costi dell’energia invece l’Unione Europea è in grave difficoltà. Le imprese europee spendono mediamente 2, 3, 4 volte di più di quanto spendono le imprese americane in energia e questo impatta in maniera decisiva sulla competitività dei prodotti. Quindi, insomma, quello può essere un punto di negoziato, visto che il Presidente Trump ha già detto che un modo per compensare lo squilibrio commerciale fra Europa e Stati Uniti sarebbe quello di aumentare l’importazione di gas liquido dagli Stati Uniti. Il punto è in che modo e a qualche prezzo. Quindi, speriamo che non ci siano terreni di scontro ma terreni d’incontro.

Le relazioni personali che la Premier Giorgia Meloni può vantare con il Presidente Trump sono un vantaggio per il nostro paese?

Dipende da a che cosa mirano. Se avremo la forza di essere una cinghia di trasmissione fra Europa e Stati Uniti, non vedo che aspetti positivi. Ma dobbiamo essere la cinghia di trasmissione fra Europa e Stati Uniti. Se pensiamo di acquisire, con le relazioni personali, qualche micro vantaggio bilaterale nel breve termine, auto-isolandoci dall’Europa, certamente il mio giudizio, è molto, ma molto, molto meno positivo.

Leggi anche: Trump e l’Europa: le sfide su difesa, commercio, geopolitca. Il rapporto Ispi

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