Il presidente Emmanuel Macron apre a una nuova era in cui gli europei hanno terminato di usufruire dei “dividendi della pace” e pone la Francia alla testa della nuova Europa della difesa. La Germania si prepara, il Regno Unito è un alleato paritario e l’Italia non viene nemmeno nominata. Intervista al prof. Michele Marchi, esperto di politica francese e docente dell’Università di Bologna
Una “nuova era” nella quale “la nostra prosperità e sicurezza sono diventate più incerte”. Il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron non usa mezzi termini per descrivere la fase storica che il nostro continente si trova a vivere. Una fase che non può essere guardata con le lenti del passato ma per la quale vanno trovate soluzioni inedite e innovative.
Il discorso alla nazione (ma anche agli alleati europei e americani) punta il dito contro la Russia, descritta come una minaccia alla sopravvivenza europea a prescindere da come finirà la guerra contro l’Ucraina, ed esorta l’Unione europea all’azione. Anche militare. Una difesa alla testa della quale Macron pone la Francia, forte della sua deterrenza nucleare. Nel suo conciso discorso alla nazione il presidente Macron cita gli alleati europei come la Germania o, addirittura, il Regno Unito, ma mai il nostro Paese.
Del discorso del presidente Macron e di quali sono gli scenari che si aprono ne abbiamo parlato con il prof. Michele Marchi, docente esperto di politica francese dell’Università di Bologna.
Chi erano gli interlocutori del discorso del presidente Macron? I francesi, gli Usa, la Russia, i partner europei?
Sicuramente parlava agli altri paesi europei, rivendicando un primato franco-britannico che ha radici abbastanza profonde. E poi rivendica un suo ruolo “personale”, Macron nell’attuale Consiglio europeo è il leader più longevo, vi siede dal 2017 e, soprattutto, dal 2017, dal discorso della Sorbona, parla di autonomia strategica dell’Europa. Quindi, per tornare a ieri, possiamo dire che lui parlava sicuramente agli europei, all’alleato dall’altra parte dell’Atlantico, più volte vi ha fatto riferimento e poi, naturalmente, l’intento era parlare ai francesi di sacrifici. E ha fatto molta attenzione a sottolineare che l’ingresso in questa nuova era potrebbe avere ripercussioni sulle finanze pubbliche e implicare ristrettezze economiche, quindi un occhio anche alla politica interna.
Proviamo a fare un salto nel futuro. Se uno studioso tra alcuni decenni dovesse scrivere una pagina di un libro di storia sul discorso del Presidente Macron di ieri sera, su quali aspetti dovrebbe soffermarsi?
Io faccio lo storico e, se provo a immedesimarmi in uno storico che andrà a studiare questo discorso tra 25 anni, credo che dovrebbe fare attenzione a due passaggi molto rilevanti. Il primo riguarda il fatto che Macron ha tenuto un discorso generazionale, ha detto che per la generazione dei 45-50enni “sono finiti i dividendi della pace”. La guerra e la crisi ad essa associata sono state, sinora, solo un racconto dei nonni e dei bisnonni. Poi c’è stato un altro passaggio a mio parere molto interessante, quello in cui ha detto che servono soluzioni innovative, proposte inedite, “le soluzioni di domani non possono essere le abitudini di ieri”. Quindi per il futuro non possiamo usare gli schemi utilizzati sino ad oggi. Ecco questi due punti li inserirei nell’ordine dei possibili tornanti della storia.
Quando Macron fa capire che il futuro non si può leggere con le lenti che abbiamo usato sinora a chi si sta rivolgendo? All’alleato atlantico?
Il mondo del post ’45 era entrato nella sua fase conclusiva già dalla metà degli anni ’70, poi questo mondo si è trascinato fino alla fine dei due blocchi. A seguire abbiamo vissuto nell’illusione di vivere in un indistinto Occidente euroatlantico, dove non c’era quasi più differenza tra le due sponde, con un primato militare da parte di Washington ma, tutto sommato, vigeva una sorta di liberalismo consensuale che avrebbe, più o meno, risolto tutti i problemi del mondo. Io credo che il turning point sia stato l’11 settembre 2001. Uno schiaffo che ci ha fatto rendere conto che il decennio unipolare era stato fatto più di illusioni che di realtà e siamo tornati agli anni ‘70, quando la divaricazione c’era e la relazione euroatlantica era entrata profondamente in crisi. I cicli storici sono sempre molto più lunghi di quello che noi pensiamo. Oggi, a cinquant’anni da quella prima crisi euro atlantica, i nodi sono definitivamente giunti al pettine. E poi aggiungo un altro passaggio significativo.
Provo a indovinare: l’offerta di “ombrello nucleare continentale”.
Esatto, una posizione che va in controtendenza rispetto alla dottrina nucleare francese che vige sin dalla metà degli anni ’60. Ecco questa può essere una di quelle soluzioni innovative che non guardano a ieri ma guardano a domani. E questo non per sopravvalutare la capacità di dissuasione nucleare francese, che esiste nel momento in cui si ha una capacità di colpo. La capacità di dissuasione fino ad oggi è stata sempre gelosamente presentata dalla Francia come un elemento che la distingueva da tutti gli altri paesi europei, eccetto, naturalmente, il Regno Unito, e che la poneva in una posizione di confronto con le grandi potenze e di gelosa autonomia. Tra l’altro è un passaggio complicato per Macron da gestire anche a livello di politica interna. La destra radicale e la sinistra radicale, ma non solo, sono pronti ad attaccarlo perché questo significherebbe perdere quel primato che la Francia ha rispetto agli altri paesi europei.
Però, allo stesso tempo, metterebbe la Francia alla testa di questo nuovo grande capitolo della storia europea.
Certamente. E in questo vedo anche una certa abilità in Emmanuel Macron che sa benissimo che, da un punto di vista economico, difficilmente nei prossimi anni la Francia potrà rilanciare la spesa per la difesa. E quindi cosa fa? Mette sul tavolo il tema del nucleare che lo può aiutare a porsi su una posizione di primo piano dal punto di vista politico.
Abbiamo parlato di un asse franco – britannico. Manca la Germania. Tra l’altro il Presidente Macron, quando ha introdotto il tema del nucleare, ha riportato la richiesta del cancelliere Merz di condividere l’ombrello nucleare francese.
Ma senza sostituire l’ombrello statunitense. La Germania sta arrivando, sembra proprio che stia ritornando e sembra che riparta l’asse franco-tedesco. Dobbiamo ricordarci che Macron per quattro anni non ha potuto contare sul motore franco – tedesco. Da un lato perché il rapporto con Scholz non è mai decollato ma soprattutto Macron aveva dei problemi di politica interna. Sappiamo che la maggioranza semaforo di Scholz sui temi della politica estera e di difesa aveva grosse problematiche. È una Germania che sta arrivando, però, anche qui, teniamo il piede sul freno perché al momento Merz è Cancelliere potenziale.
Arriviamo al nostro paese. Quanto è difficile la posizione della Premier Meloni, divista tra la lealtà nei confronti dell’alleato atlantico e l’appartenenza all’Unione europea.
Situazione complicata, in queto momento non vorrei essere nei panni della nostra Presidente del Consiglio. Da un lato dovrebbero esserci affinità, anche di natura ideologica con il trumpismo, però diciamo la deriva che ha preso il trumpismo in azione la mette in difficoltà. Dall’altra parte c’è una continuità di legame euro-atlantico tra l’Italia e gli Stati Uniti che è indubbia. Quindi, Giorgia Meloni diventa una risorsa per gli altri paesi europei nel momento in cui è l’amica, anche personale di Trump, però, se questa amicizia personale si concretizza in una deriva negativa per quello che riguarda i dazi o la collaborazione con l’Europa, è evidente che la Presidente del Consiglio resta un po’ con il cerino in mano. Non a caso ieri sera Macron ha citato diversi alleati europei ma non ha mai citato l’Italia. Eppure, non dimentichiamo il Trattato del Quirinale, il grande rapporto tra Macron e Mattarella, ma sappiamo bene che tra Macron e Meloni non è mai scoccata la scintilla. Se le relazioni sono diventate così insostenibili tra le due sponde dell’Atlantico, è evidente che se tu vieni percepita come grande amica di chi queste relazioni le vuole rompere, sei in una posizione di difficoltà.
E poi ci sono i problemi interni alla maggioranza.
Giorgia Meloni ha un problema all’interno della sua coalizione perché il secondo alleato non fa altro che osannare l’atteggiamento trumpiano. Ecco, da un lato lo deve contrastare, dall’altro sa che non lo può far crescere a livello di opinione pubblica e potenzialmente di voti. Poi altra cosa sarà come si si ritroverà Salvini nel momento in cui dovrà spiegare a parte del suo elettorato del Nord come impatteranno i dazi sulle produzioni italiane. Però adesso che siamo ancora nella fase della demagogia Meloni ha anche quest’ulteriore problema.
La prossima settimana ospiterà a Parigi un incontro fra i capi di stato maggiore dell’esercito dei paesi che intendono collaborare a una difesa europea dell’Ucraina. Le cose si stanno facendo serie?
È stato interessante che Macron vi abbia fatto un riferimento un po’ tangenziale, quasi a mezza voce e in realtà è una notizia di grande rilevanza. Se vogliamo leggerla con le lenti della storia quando cominciano a parlarsi i capi di Stato maggiore, i vertici degli eserciti molto spesso si fa sul serio. Non voglio arrivare troppo indietro, ma quando i vertici militari, francese, britannico aprirono anche ai russi, prima della I Guerra mondiale, lì capimmo che stavano facendo sul serio. Anche oggi, a mio parere, facciamo sul serio. E aggiungo che è una direzione nella quale Macron aveva già insistito in vari passaggi precedenti. È da almeno un anno che Macron parla della necessità di un dispiegamento di truppe europee sul territorio ucraino. Oggi mi sembra che potrebbe concretizzarsi. Non dimentichiamo anche che Macron ha detto che la minaccia russa proseguirà, indipendentemente da come si concluderà il conflitto russo ucraino. Ecco queste parole hanno più credibilità perché arrivano da colui che, tra i leader europei, è stato quello che ha cercato di interloquire di più con Putin. E anche questo, all’epoca, era stato descritto come un segno di debolezza. Tra l’altro, Macron ha anche l’autorevolezza del tempo, al Consiglio europeo può dire di aver lavorato anche con il Trump 1.