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Divide et impera, Macron seduce i socialisti e si riprende la Francia. Parla il prof. Marchi (Unibo)

Francia

Il Presidente Emmanuel Macron non ha annunciato un nuovo Premier ma ha mandato un messaggio a tutti i suoi avversari: resterò qui fino al 2027, fino al termine del mio mandato. Non arrivano le dimissioni dell’inquilino dell’Eliseo e non sembrano essere all’orizzonte. Quello che arriverà, entro la prossima settimana, è un nuovo Governo. Ne abbiamo parlato con il prof. Michele Marchi, docente esperto di politica francese dell’Università di Bologna. 

Chi si aspettava il nome del prossimo premier francese è rimasto deluso. Il presidente Emmanuel Macron, nel suo discorso alla nazione, ha detto molte cose ma non il nome del futuro premier. Prima di tutto si è “assunto la responsabilità di alcuni errori sottolineando di non aver fatto capire cosa avrebbe voluto fare con lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. Una sorta di ammissione di colpa a denti stretti”. Macron ha annunciato anche che non ha alcuna intenzione di andare via. “finirà il mandato, su questo punto è stato categorico”. E poi la questione più rilevante: l’idea di creare un governo di ‘interesse generale’ con un patto di non censura.

Per capire cos’è successo e cosa succederà ci siamo fatti aiutare dal prof. Michele Marchi, docente dell’Università di Bologna e autore del volume “Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana” ed Il Mulino.

Il governo di “unità nazionale” che ha in mente il presidente Macron sembra voler perseguire la strada del dividi et impera.

Oggi riceverà i socialisti all’Eliseo. L’idea è di spaccare il Nuovo Fronte Popolare portando i socialisti dentro ad un’area di governo, staccandosi da Mélenchon. Una soluzione per tagliare fuori le due estreme. Di sicuro il pallino in questa situazione è tornato nelle sue mani. È vero che è un Presidente debole, è vero che c’è l’opinione pubblica non lo ama, è vero che è ritenuto il primo responsabile di tutto questo. Però si deve ripassare da lui.

Macron non ha fatto il nome del suo prossimo Premier. Secondo lei tra quanto tempo la Francia avrà un nuovo Governo?

Non possiamo saperlo ma presumibilmente non saranno i tempi lunghi di Barnier. Secondo me la prossima settimana la Francia avrà un Primo Ministro e un Governo. Anche perché c’è una questione di credibilità sui mercati finanziari. La borsa ieri è andata molto bene, non ci sono state fibrillazioni. Tra l’altro Macron ha rassicurato sul fatto che sarà confermata la finanziaria del 2024, ma sarà una specie di legge ponte; quindi, il nuovo Governo poi dovrà fare una nuova legge finanziaria. Insomma, i tempi sono stretti.

Quando nasce la crisi, che ha portato alla caduta di Barnier? Con le ultime legislative che hanno restituito un’Assemblea nazionale spaccata oppure anche prima?

La crisi ha radici, a mio parere, più profonde delle legislative sebbene siano un passaggio fondamentale. La rielezione di Macron nel 2022 gli aveva consegnato solo una maggioranza relativa all’Assemblea Nazionale; quindi, il governo di Élisabeth Borne era un governo di maggioranza solo relativa. Da qui in poi sono stati numerosi gli scogli e i passi falsi: la riforma delle pensioni, la decisione di far nascere ad inizio 2024 il governo Attal che ha tolto a Macron la possibilità di cambiare Primo Ministro subito dopo i risultati delle europee, perché l’aveva fatto solo cinque mesi prima.

I risultati delle europee sono stati un nodo centrale.

La maggioranza presidenziale avrebbe dovuto almeno a perderle in maniera onorevole. Invece sono state clamorosamente perse. Oggi molti ritengono che sciogliere l’Assemblea nazionale sia stato l’inizio dei problemi. Però a parer mio parere lo scioglimento di giugno è solo l’apice di una serie di problemi che hanno radici ben più profonde e che ben si riflettono in un’Assemblea nazionale non solo divisa in tre blocchi, ma tre blocchi al loro interno per nulla coesi.

E poi c’è la questione dell’impossibilità, per il Presidente Macron, di sciogliere l’Assemblea nazionale per un anno dall’ultimo scioglimento. Una sorta di “anno bianco”. 

Esatto. Questa censura è arrivata ora perché il Presidente non può sciogliere l’Assemblea nazionale. Vedremo se più avanti i parlamentari saranno ancora disposti a censurare continuamente qualsiasi tipo di governo. Macron, tra le righe, l’ha detto quando ha sottolineato che durerà ancora 30 mesi. Paradossalmente il tempo potrebbe giocare a favore di Emmanuel Macron e della durata di un futuro governo.

A prescindere dalla scelta del presidente Macron per un nuovo premier l’Assemblea nazionale resta divisa senza maggioranze solide. Quanto è plausibile una nuova tornata di legislative nel 2025?

L’evoluzione più lineare prevede che si vada verso la scelta di un Primo Ministro che riesca a portare a termine la legge di bilancio e a portare il paese fino all’estate, quando si andrà a nuove elezioni. L’orizzonte massimo per chiunque andrà a Palais Matignon è quello di rimanervi per sei, sette mesi. Davvero è complicato pensare che si riesca a trovare una personalità politica che con quei numeri all’Assemblea nazionale, e con le regole della Quinta Repubblica, che conferiscono al Presidente la possibilità di sciogliere la Camera ogni anno, possa superare indenne il 2025.

Marine Le Pen rischia una condanna all’ineleggibilità per cinque anni. Secondo la procuratrice Louise Neython, Le Pen usava fondi europei per finanziare il Rassemblement national. Secondo lei quanto pesa questa spada di Damocre sulla scelta di proporre e votare una mozione di sfiducia a Barnier?

Non abbiamo la conferma perché non abbiamo i documenti e non siamo nella mente di Marine Le Pen però è in dubbio che da quando il 13 di novembre è uscita la notizia che annunciava la sentenza entro il 31 di marzo qualcosa sia cambiato. In più Jordan Bardella aveva sottolineato la necessità che un eventuale candidato alle presidenziali di RN non avesse lati oscuri, non avesse condanne, avesse un profilo intonso. Ecco all’interno del RN è iniziata una dinamica, un percorso dialettico che porta Bardella a diventare un possibile competitor interno a Marine Le Pen. A questo aggiungo che la base dei militanti del Rassemblement National chiedeva da un lato la mozione di censura per Barnier, dall’altro, però, i primi riscontri fanno vedere che non sia stata apprezzata la scelta di votare una mozione di censure di France Insoumise che aveva al suo interno una denuncia piuttosto esplicita del RN. Ecco diciamo che una parte dell’elettorato moderato di centrodestra che si è avvicinato alle ultime tornate elettorali al RN può essere disorientato da questo voto.

I toni della dichiarazione di voto di Marine Le Pen sono stati molto istituzionali.

Sì, ha sottolineato che la mozione di censura era praticamente obbligata e legata al fatto che Barnier li aveva trascurati, non fosse andato a negoziare con loro. Ha cercato di minimizzare molto, di avere una postura non eccessivamente protestataria, ad esempio ha chiesto al gruppo parlamentare di non applaudire al termine, quando la Presidente dell’Assemblea nazionale ha dato per approvata la mozione di censura.

Secondo lei questo tentativo di istituzionalizzazione del RN può portare nel 2027 alle elezioni presidenziali ad un ballottaggio tra Mélenchon e Bardella?

Sulla presenza di Mélenchon ho qualche dubbio. Sulla presenza del Rassemblement National al ballottaggio alle prossime presidenziali credo ci siano pochi dubbi, a prescindere dal candidato. Ci sono, poi, una serie di possibili potenziali candidati centristi, rimasti un po’ in disparte, come Édouard Philippe, ex Primo ministro di Macron, che per certi aspetti ha annunciato di poter essere un presidenziabile. Mélanchon può essere un candidato a meno che a sinistra, tra socialisti ecologisti, non emerga un candidato che porti la sinistra di governo più verso il centro. E poi non dimentichiamo Gabriel Attal, che in un’epoca di fine macronismo si sta muovendo con l’obiettivo del 2027, quando ci saranno le presidenziali. Quindi, sono molte le incognite in campo.

C’è un collegamento tra la crisi istituzionale che sta accedendo oggi in Francia e quella che c’è stata e c’è ancora in Germania?

Vediamo una crisi dell’asse franco-tedesco che si presenta in due leadership molto deboli come quelle del Cancelliere Scholz e del Presidente Macron. Se volessimo allargare un po’ il discorso al contesto europeo e vedere l’emergere di movimenti di contestazione delle forze politiche tradizionali potremmo dire che la Francia è a uno stadio più avanzato rispetto a quello della Germania. I sondaggi rilevano la crescita della CDU mentre Alternative Für Deutschland, che pure viene dato in salita, non va oltre il terzo posto. È chiaro che sarà complicato anche in quel frangente, creare un’alleanza di governo anche perché i liberali sono dati in caduta libera e quindi l’ipotesi all’orizzonte potrebbe essere quella di una grande coalizione di governo. Sulla Francia dico un’ultima cosa.

Prego.

In fondo, Marine Le Pen ed Emmanuel Macron sono un po’ le due facce della stessa medaglia, entrambi outsider. Forse dell’uscita di scena della stella Macron comporterà l’arrivo all’Eliseo di Marine Le Pen. L’alternativa è che il sistema si dislochi e torni verso una direzione classica.

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