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Gaza non è dalla parte di Hamas. Colloquio con il generale Camporini
Nuova fase della guerra tra Israele e Palestina, l’obiettivo di Israele ora è distruggere Hamas. Colloquio con il generale Vincenzo Camporini
Sono oltre 900 i morti israeliani e circa 700 quelli palestinesi. I feriti sono più di 6mila, circa 2500 israeliani e 3700 palestinesi. Questo è il bollettino, drammatico, fino alla scorsa notte della guerra in atto tra Israele e Palestina nella Striscia di Gaza dopo l’attacco terroristico di Hamas dello scorso sabato.
“Abbiamo solo cominciato a colpire Hamas e non ci fermeremo”. Il Premier israeliano Benyamin Netanyahu non usa mezzi termini per parlare dei drammatici giorni che sta vivendo il suo paese:”è una guerra per la nostra esistenza, come abbiamo sconfitto l’Isis sconfiggeremo anche Hamas. Ci aspettano giorni duri ma siamo determinati a vincere questa guerra per il nostro popolo”. Israele non sta combattendo questa nuova guerra contro Hamas solo con le armi militari. “Faccio appello ai partiti dell’opposizione per un governo di emergenza nazionale ma senza precondizioni. Il popolo è unito, lo dev’essere anche la leadership”.
Di questa nuova fase del conflitto arabo israeliano ne abbiamo parlato con il generale Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Come farà l’esercito regolare israeliano a combattere una guerra contro un gruppo di terroristi come Hamas?
L’esercito non combatte i terroristi perché non ha gli strumenti per farlo. Servono altri strumenti, non è certo l’esercito che lo può fare. Ci sono degli strumenti di intelligence, di “contro terrorismo” che ovviamente deve essere riorganizzato. In questa situazione è molto difficile perché stiamo parlando di Gaza, stiamo parlando di un territorio densamente popolato e densamente abitato, nel quale andare a pescare i terroristi non è facile. Il rischio è quello di coinvolgere tutta la popolazione, cosa che gli israeliani non vogliono fare, non l’hanno mai fatto di proposito e non vogliono certo farlo in questa circostanza.
Israele come può superare queste criticità?
Vi sono alcune ipotesi in campo. Gli organi di stampa parlano di una limitata operazione via terra. Comunque, è un’operazione molto rischiosa, prima di tutto perché è difficile identificare gli obiettivi, poi perché il combattimento all’interno di un centro abitato è veramente un incubo perché ogni portone, ogni angolo, può diventare il luogo di un’imboscata. Quindi l’esercito israeliano non ha davanti a sé un compito agevole.
Hamas, insieme gli organi di comunicazione vicini, ha provato a far passare l’idea che quello palestinese sia un popolo in armi. Quanto è distante dal vero questa affermazione?
Io credo che non sia un’affermazione vera al 100%. Certo, c’è una buona percentuale di abitanti di Gaza che simpatizza per Hamas. Questo però non vuol dire che ci sia un sostegno totale. C’è sicuramente un sostegno, ma la popolazione di Gaza sa benissimo, e lo sta provando sulla sua pelle in questo momento, che senza Israele manca l’acqua, manca la corrente, manca il gas. Perché tutti questi rifornimenti arrivano da Israele, sono sempre arrivati da Israele anche nei momenti più drammatici del passato. Quindi credo che la popolarità di Hamas non sia al 100% all’interno della popolazione di Gaza.
Il Mossad è uno dei servizi d’intelligence più sviluppati al mondo. Secondo lei com’è stato possibile che proprio al Mossad sia sfuggita la preparazione un attacco di questa portata?
Io mi sono posto la stessa domanda e non ho una risposta. Devo osservare, però, che negli ultimi periodi la lotta politica interna in Israele ha assunto toni molto elevati, siamo arrivati al calor bianco. Forse questo può avere distratto l’attenzione da quello che accadeva in altri ambiti, nell’ipotesi, rivelatasi poi errata, che non ci fossero delle minacce reali, e che la sorveglianza normale potesse essere sufficiente. Io, peraltro, mi ricordo nel novembre del 2019 ero in Israele, andai a vedere il confine di Gaza e rimasi impressionato dallo schieramento delle forze israeliane alla sorveglianza di questa frontiera. Evidentemente questa sorveglianza poi si è ridotta e abbiamo visto cos’è accaduto l’altro giorno. Una frontiera non presidiata ha permesso a questo gruppo molto bene organizzato, molto ben preparato e molto ben equipaggiato di portare il terrore.
Secondo lei quali sono gli appoggi internazionali dei quali ha potuto godere Hamas?
A parte l’Iran non credo abbia avuto altri appoggi internazionali. Certo, c’è il supporto di movimenti politici come la Fratellanza musulmana ma non credo ci siano governi a supportare Hamas. C’è l’Iran, sicuramente, forse il Qatar ma questa è solo una mia ipotesi, non ho nessun elemento che poterlo affermare. Il coinvolgimento dell’Iran, nonostante le smentite, credo che sia invece abbastanza evidente e per certi versi rappresenta un po’una sorpresa, nel senso che l’Iran sappiamo essere un paese sciita che ha supportato e supporta, in modo assolutamente totalizzante, Hezbollah in territorio libanese al confine con in Israele, ma che a questo punto, superando le remore religiose, supporta anche un movimento sunnita come quello di Hamas.
Restando sull’Iran lei qualche tempo fa ha detto che l’impiego di caccia F 35 da parte di Israele per colpire gli obiettivi iraniani in Siria lanciava un messaggio politico e militare a Teheran. L’ingaggio dell’Iran con Hamas può avere qualche relazione con questo?
No, non credo che ci sia una relazione. Il problema tattico strategico degli iraniani nei confronti degli F 35 risiede nel fatto che si tratta di macchine che hanno delle capacità operative che con ogni evidenza l’Iran non è in grado di contrastare e quindi costituiscono una minaccia seria per il potenziale militare nucleare, potenziale ripeto, iraniano. Non vedo relazioni tra questo e gli eventi di Gaza.
Quello di sabato è stato l’attacco nel quale, dal 1973, ci sono state più vittime israeliane. Cosa ci dobbiamo aspettare?
Ci dobbiamo aspettare una stretta su Gaza, il primo esempio è stato il taglio dei rifornimenti di acqua, gas e luce. Ci possiamo aspettare delle conseguenze politiche interne in Israele. Si sta parlando di un governo di coalizione che, in qualche modo, coinvolga l’attuale opposizione, escludendo le frange più estreme dei fondamentalisti ebrei. Se questo avviene, può essere un segnale molto positivo, anche se la cosa non è così scontata.