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Gli americani vogliono Draghi a guida della Nato?

Draghi Conferenza

Gli americani stanno corteggiando Mario Draghi per un futuro ruolo alla Nato? I Graffi di Damato

Il caso -un altro, direi, dei tanti che ne hanno contrassegnato la lunga e fortunata, oltre che meritata carriera pubblica- ha voluto che l’ennesima sfida di Putin nella guerra all’Ucraina, con l’annuncio dei referendum per l’annessione alla Russia delle terre occupate militarmente, coincidesse con l’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Dove Mario Draghi ha potuto aggiornare il suo già robusto intervento preparato all’arrivo per denunciare “un’ulteriore violazione del diritto internazionale che condanniamo con fermezza”. Un intervento, quello del presidente del Consiglio, su cui l’inviata del Corriere della Sera al seguito, Monica Guerzoni, ha riferito scrivendo di un Draghi che “scolpisce con forza la posizione geopolitica dell’Italia e allontana da sé l’ombra di un governo populista o sovranista che guardasse con indulgenza in direzione del Cremlino”. Ma forse -aggiungerei a tanta distanza dagli Stati Uniti- per allontanare quell’ombra non solo “da sé”, ma anche dal suo uditorio internazionale, in linea con la rappresentazione ottimistica delle prospettive elettorali italiane da lui avviata in estate a Rimini. Dove, ospite del raduno annuale dei ciellini, disse che l’Italia ce l’avrebbe fatta a superare le sue difficoltà, anche di politica estera, con “qualsiasi governo” grazie all’eredità che egli stesso stava lasciando con il suo.

Probabilmente il presidente del Consiglio avrà convinto di questo ottimistica previsione persino il vecchio e sempre autorevole Henri Kissinger. Che proprio a New York, partecipando alla premiazione dell’ospite come migliore statista dell’anno a livello mondiale, ne ha pubblicamente sottolineato ”una straordinaria capacità di analisi intellettuale che si è concentrata sul migliorare le cose, non solo su un punto particolare”. Ed ha previsto – sempre Kissinger- che Draghi “rimarrà a lungo con noi”, cioè sulla scena internazionale: un’allusione forse non tanto alla speranza, in Italia, ribadita da Carlo Calenda al Foglio di un suo bis a Palazzo Chigi in caso di un’altra emergenza politica, quanto alla corte che neppure tanto dietro le quinte gli americani stanno facendo al  nostro presidente uscente del Consiglio per la guida della Nato. E pazienza per il sarcasmo del Fatto Quotidiano e dintorni politici e mediatici, con quel fotomontaggio caricaturale in prima pagina di Draghi commediante col turbante a stelle (e strisce).

Per quanti sforzi faccia ogni tanto lo stesso Draghi di defilarsi  -dicendo, per esempio, proprio a  New York a un gruppo di studenti veneti che avrà a breve “molto tempo libero” da poter dedicare all’invito rivoltogli a visitare la loro scuola-  egli ha conservato intatta autorevolezza e agibilità pubblica dopo gli sgambetti tesigli dai partiti in Italia. E’ forse prematuro, sotto questo aspetto, anche lo sfogo odierno di Mattia Feltri sulla Stampa con il suo buongiorno quotidiano, in cui ha scritto: “Sarò un’inconsolabile vedova, ma le mie vesti si sono tinte di lutto alle immagini di ieri, di Mario Draghi premiato a New York da Henry Kissinger come statista dell’anno”, e dei recenti apprezzamenti del presidente Biden forse scambiabili per “un elogio funebre a elogiato vivo”. “Mezzi morti -ha osservato Mattia Feltri- siamo noi, fenomeni che di quest’uomo non sappiamo che farcene, né a Palazzo Chigi né al Quirinale”. E giù botte di stampa meritatissime a Matteo Salvini e Giuseppe Conte, ritrovatisi insieme dopo l’esperienza, rispettivamente, di presidente del Consiglio e vice presidente e ministro dell’Interno, nell’attaccare, dileggiare e quant’altro Draghi in questa campagna elettorale fortunatamente arrivata a soli quattro giorni dal voto e tre dal silenzio.

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO. 

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