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Il ritorno di Draghi, ecco cosa farà l’ex premier sul futuro dell’industria europea

Mario Draghi

Dopo l’intervento sull’Economist arriva per Mario Draghi un nuovo incarico affidatogli dalla presidente della Commissione Ue, von der Leyen. Analisi e pensieri dell’ex governatore della Bce

Super Mario is back! L’ex premier ed ex governatore della Bce, Mario Draghi, scende di nuovo in campo o, meglio, torna “in cattedra”. E’ stato ‘richiamato’ dalla presidente della Commissione europea, von der Leyen, che ha deciso di affidare a “una delle più grandi menti economiche europee” un nuovo incarico, quello di delineare una strategia sul futuro della competitività dell’industria Ue.
L’annuncio è arrivato nel corso dell’annuale discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento di Strasburgo. Una mossa a sorpresa, sulla quale si sta già scrivendo tanto, sul significato politico e sui contorni effettivi di questo ruolo.

L’INCARICO DI VON DER LEYEN A MARIO DRAGHI

La presidente della Commissione Ue, durante il suo intervento al Parlamento europeo, ha definito in parte il perimetro del lavoro affidato a Draghi, individuando tre sfide: carenza di manodopera e competenze, inflazione e facilitazione degli affari. “La commissione – ha detto von der Leyen – sta avviando un’indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina” che – come ricorda Verderami sul Corriere – sta inondando i mercati globali di auto verdi a basso costo (i brand cinesi rappresentano l’8% delle auto vendute nell’Ue e si stima che arriveranno al 15% nel 2025). Una richiesta venuta dalla Francia e contrastata dalla Germania per timori di ritorsioni.
“Dobbiamo difenderci dalle pratiche sleali” ha detto la presidente, ma questo non vuol dire chiudere alla Cina perché “ci sono anche temi in cui possiamo e dobbiamo collaborare”. Il mantenimento della competitività resta cruciale per l’industria europea. Da qui la richiesta a Mario Draghi di preparare un report sul futuro della competitività europea “perché l’Europa farà whatever it takes per mantenere il suo vantaggio competitivo”.
Un report che, a leggere le cronache, con molta probabilità l’ex premier consegnerà dopo il voto europeo di giugno 2024, per evitare di essere risucchiato nella contesa elettorale ma che, allo stesso tempo, potrà rappresentare per von der Leyen quel boost in più per consolidare le ambizioni di una riconferma alla guida della Commissione.

DRAGHI E IL PERCORSO VERSO L’UNIONE FISCALE NELL’EUROZONA

Sembra che la presidente Ue abbia contattato Draghi dopo la lettura del suo intervento sull’Economist della scorsa settimana, “on the path to fiscal union in the euro zone”. L’ex premier, in quell’occasione, ha rimarcato che serve un’Europa a sovranità condivisa e che sarebbe sbagliato tornare alle vecchie regole fiscali, sospese durante la pandemia. In particolare, la ricetta per l’ex presidente della Bce è superare quelle regole di bilancio e sugli aiuti di Stato che limitano la capacità dei singoli Paesi di agire in maniera indipendente.

Per Draghi la riforma delle Istituzioni europee è inevitabile, ma a pochi mesi dalle elezioni europee “appare irrealistica”. In troppi “sono contrari alla perdita di sovranità che comporterebbe”, però – osserva l’ex premier – “le strategie che hanno garantito in passato la prosperità e la sicurezza in Europa sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili” poiché fin qui abbiamo fatto affidamento “sull’America per la sicurezza, sulla Cina per le esportazioni, sulla Russia per l’energia”.
Quest’ultimo è uno dei passaggi chiave (in cui si intrecciano geopolitica, rapporti commerciali ed energetici, protezionismo) che daranno una definizione più precisa al percorso che porterà avanti Draghi. L’obiettivo è ridare fiato e muscoli all’Unione europea, per poter stare in piedi da sola in mezzo ai due colossi Cina e Usa e sullo sfondo la minaccia russa, senza correre il rischio di esserne schiacciati o diventare irrilevanti.

IL DISCORSO DELL’EX PREMIER A CAMBRIDGE

Ed è interessante ciò che diceva Draghi soltanto due mesi fa al National Bureau of Economic Research di Cambridge, di cui riportiamo alcuni estratti:
“L’Europa non ha mai affrontato – fino a oggi – così tanti obiettivi sovranazionali condivisi –intendo obiettivi che non possono essere gestiti da paesi che agiscono da soli. Stiamo attraversando una serie di grandi transizioni che richiederanno ingenti investimenti comuni”
(…)
“Stiamo anche affrontando una transizione geopolitica, guidata dal disaccoppiamento America-Cina, in cui non possiamo più fare affidamento su paesi ostili per forniture critiche. Ciò richiederà un sostanziale riorientamento degli investimenti verso un rafforzamento delle disponibilità, in patria o con i partner. E mai nella storia dell’Ue i suoi valori fondanti di pace, democrazia e libertà sono stati me ssi in discussione tanto quanto dalla guerra in Ucraina”
(…)
“Ma allo stato attuale, il costrutto istituzionale dell’Europa non è adatto a realizzare queste transizioni, come rivela un confronto con gli Stati Uniti. Stiamo assistendo a una nuova attenzione sulla cosiddetta “statecraft”, in cui la spesa federale, i cambiamenti normativi e gli incentivi fiscali si allineano per perseguire gli obiettivi strategici degli Stati Uniti. L’Inflation Reduction Act, per esempio, accelererà contemporaneamente la spesa per il green, attirerà investimenti stranieri e ristrutturerà le catene di approvvigionamento a favore dell’America. Ma l’Europa non dispone di una strategia equivalente per integrare la spesa a livello dell’Ue, le norme sugli aiuti di stato e i piani fiscali nazionali, come dimostra l’esempio del cambiamento climatico. Una volta scaduto il NextGenerationEU, non vi è alcuna proposta di uno strumento federale che lo sostituisca per effettuare la necessaria spesa legata al clima. Le norme dell’Ue in materia di aiuti di stato limitano la capacità delle autorità nazionali di perseguire attivamente una politica industriale green. E non abbiamo spazi nelle nostre regole fiscali per consentire sufficienti investimenti a lungo termine. Senza azione, c’è un serio rischio che non si raggiungano i nostri obiettivi climatici e che si perda la nostra base industriale a favore invece di regioni che si impongono meno vincoli”.
(…)
“Questo ci lascia due opzioni. In primo luogo, possiamo alleggerire le norme sugli aiuti di stato e allentare le norme fiscali, consentendo agli stati membri di assumersi integralmente l’onere della spesa per gli investimenti. Ma nel processo si creerebbe una frammentazione dato che, anche con il maggiore margine di manovra che i mercati stanno concedendo oggi all’Eurozona i paesi con più spazio fiscale avranno molto più spazio per spendere rispetto ad altri. 
(…)
“Quindi questo significa che l’unica opzione che ci consente di raggiungere i nostri obiettivi è la seconda: cogliere questa opportunità per ridefinire l’Ue, il suo quadro fiscale e – con l’ulteriore allargamento sul tavolo –  il suo processo decisionale, e renderlo commisurato alle sfide che dobbiamo affrontare.
E si dà il caso che le regole fiscali siano attualmente in discussione. La sfida principale per l’Eurozona è che ci affidiamo alle regole di bilancio a livello nazionale per raggiungere molteplici obiettivi diversi. Dato il ruolo cruciale di stabilizzazione dei bilanci nazionali, abbiamo bisogno di regole che consentano alla politica anti ciclica di rispondere agli choc locali. Abbiamo anche bisogno di regole che facilitino le massicce esigenze di investimento di cui abbiamo bisogno. E dobbiamo garantire la credibilità a medio termine delle politiche fiscali nazionali in un contesto di livelli di debito post pandemia molto elevati”. 
(…)
“Ma esiste un compromesso intrinseco tra questi obiettivi. Per garantire la credibilità fiscale è necessario che le regole siano più automatiche e contengano meno discrezionalità. Ma poiché nessuna regola può essere adattata a tutte le contingenze future, una maggiore automaticità limiterà sempre la capacità dei governi di reagire a choc imprevisti. Allo stesso modo, regole credibili richiedono aggiustamenti su orizzonti temporali non troppo lunghi. Ma il tipo di investimenti di cui abbiamo bisogno oggi implica impegni di spesa a lungo termine, molti dei quali si estenderanno oltre la vita dei governi che li stanno facendo”.

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