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“In Francia l’ipotesi più accreditata è lo stallo istituzionale”. Parla il prof. Marchi

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Domenica 30 giugno si terranno le elezioni legislative in Francia. Se il Rassemblement National e il Nouveau Front Populaire dovessero ottenere la maggioranza si aprirebbe una fase di coabitazione con il Presidente Macron. Intervista al prof. Michele Marchi dell’Unibo 

La Francia si avvia a cambiare il volto della sua Assemblea Nazionale. Il risultato delle elezioni europee, con il travolgente riconoscimento conferito dagli elettori al Rassemblement National, ha portato il Presidente Macron a decidere per lo scioglimento del Parlamento. Stando agli ultimi sondaggi di “Elabe” per Bfm tv e La Tribune Dimanche, la forza guidata da Jordan Bardella dovrebbe raccogliere il 36 per cento dei voti mentre gli alleati del Nouveau Front Populaire arrivare al 27,5 per cento, con i macroniani fermi al 20 per cento. I giochi si completeranno la settimana successiva, il 7 luglio, con il secondo turno, il cui esito non è affatto scontato.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con il prof. Michele Marchi dell’Università di Bologna e autore del volume “Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana” ed Il Mulino.

Quella di sciogliere l’Assemblea nazionale era una scelta obbligata per il presidente Macron?

Di obbligato non vi era nulla, però diciamo che la scelta di sciogliere l’Assemblea nazionale è stata in parte determinata dal voto europeo e in parte da quanto successo nei due anni precedenti. Macron è stato rieletto nell’aprile del 2022, poi alle legislative del giugno 2022 all’Assemblea nazionale la coalizione di partiti che hanno supportato il presidente ha ottenuto solo una maggioranza relativa. Quindi sono due anni che Macron sta governando il paese con una grande difficoltà. A questi due fattori si aggiunge un livello di gradimento nei suoi confronti non alto. Tutto questo ha portato alla decisione di sciogliere il Parlamento.

Quali sono le fratture sulle quali si giocherà la partita delle elezioni in Francia?

Il Rassemblement National e il Nouveau Front Populaire hanno spinto sull’anti-macronismo. D’altra parte, Macron ha cercato di sottolineare che il blocco centrale doveva opporsi alle due estreme. Gli altri temi della campagna elettorale sono emersi solo parzialmente, ricordiamo che stiamo parlando di una campagna elettorale di sole due settimane. Però diciamo che il tema numero uno, tra le preoccupazioni dei cittadini, è il drammatico calo del potere d’acquisto, poi c’è il tema della sicurezza e, infine, l’impossibilità della Francia di gestire nuovi flussi migratori per le difficoltà di integrare le persone immigrate già all’interno del paese. Tra l’altro, questi sono gli unici punti sui quali il Rassemblement National ha impostato la sua campagna elettorale.

A questo è dovuta l’avanzata della destra in Francia? Il Rassemblement National è dato in testa ai sondaggi.

Le ragioni dell’avanzata del Rassemblement National sono ragioni di medio lungo periodo, che sono legati in parte ai temi che ho appena elencato ma sono anche dovute a un’indubbia crisi o sentimento di crisi che prova la classe media nel contesto francese e che è una caratteristica comune a tutte le liberaldemocrazie dell’inizio del ventunesimo secolo. Quindi c’è l’idea di una perdita di prospettiva per le classi medie, un sentimento diffuso di declassamento sociale che spesso si concretizza poi in una generalizzata critica nei confronti delle cosiddette élites. Sempre in tale contesto occorre aggiungere la critica all’evoluzione del processo di integrazione europea, oggi la Francia è il paese più euroscettico dell’Europa a 27. Per esempio, tra le proposte, del tutto economicamente irrealizzabili del Rassemblement National, c’è quella di abbassare drasticamente il livello dell’IVA. Jordan Bardella, il giovane leader del Rassemblement National ha proposto di trovare le risorse trattenendo una parte del contributo di Parigi al bilancio comunitario. Un elemento del tutto dirompente, difficilmente realizzabile, e che comunque metterebbe a rischio il futuro del processo di integrazione europea.

Come funziona il complesso istituzionale francese con un presidente di centro e liberale come Macron e un parlamento di colore politico molto diverso?

Allora qui dobbiamo fare diverse ipotesi. Iniziamo con la prima. Se il Rassemblement National arrivasse alla maggioranza assoluta di 289 seggi si aprirebbe la quarta coabitazione della storia della quinta Repubblica, cioè il caso nel quale il Primo Ministro è di una forza politica contraria rispetto al Presidente. Il Presidente Mitterrand ha sperimentato due coabitazioni, prima con Chirac dall’’86 all’’88 e poi con Balladur dal ’93 al ’95. Poi è successo per 5 anni, dal 97 al 2002 con Jospin come Primo ministro e il Presidente Chirac. Il sistema fornisce le possibilità di governo, è chiaro che, a quel punto, il primato è sul Primo Ministro mentre il Presidente dovrebbe dare continuità soprattutto sui temi della politica estera e di difesa. Il problema è che il Rassemblement National è un partito che, fino a oggi, non ha avuto esperienze di governo; quindi, si creerebbe una coabitazione davvero complicata.

E se, invece, dalle urne dovesse uscire un risultato che consegna solo una maggioranza relativa al Rassemblement National?

Allora il Rassemblement National e il Nouveau Front Populaire hanno detto che, in caso di maggioranza relativa, non vogliono l’incarico, perché sanno che nel giro di poche settimane l’Assemblea Nazionale voterebbe una mozione di censura contro di loro. Se, invece la coalizione di Macron dovesse ottenere la maggioranza relativa (evento secondo i sondaggi piuttosto improbabile), si potrebbe però costituire un governo di minoranza perché il sistema francese non prevede l’obbligo del voto di fiducia al Primo Ministro. E poi c’è un’ultima ipotesi, anche questa però molto teorica.

Quale?

Quella di un governo che vada dai socialisti sino al centro-destra di Les Républicains, passando per i centristi e per le forze della maggioranza presidenziale, queste ultime in molti casi anche piuttosto polemiche nei confronti dello stesso presidente Macron, come il primo ministro uscente Attal, l’ex primo ministro Edouard Philippe e il centrista François Bayrou. Un governo di questo tipo dovrebbe condurre la politica perlomeno per l’anno successivo, perché sappiamo che per il dettato costituzionale il Presidente della Repubblica non può più sciogliere l’Assemblea nazionale per i 12 mesi successivi. E, infine c’è l’ipotesi, avanzata anche da qualche autorevole costituzionalista, di dimissioni del Presidente della Repubblica, cosa successa solo una volta nel 1969, con le dimissioni di de Gaulle dopo la sconfitta ad un referendum da lui fortemente voluto. Io questa ultima ipotesi la vedo, al momento, remota. In definitiva lo stallo politico-istituzionale, dopo il 7 luglio, è forse l’ipotesi più accreditata, quasi certa se non ci sarà alcuna maggioranza assoluta.

È finita l’era della conventio ad excludendum nei confronti del Rassemblement National?

Tutte le proiezioni di voto non tengono conto di una partecipazione al voto davvero molto elevata, circa 15/20 punti in più rispetto alle europee. Questa mobilitazione è letta come una mobilitazione in funzione anti Rassemblement National. Bisogna capire se tutto ciò costituirà quello che in Francia si chiama “barrage republicain”, cioè non portare il Rassemblement National alla maggioranza assoluta, perché è già molto probabile che il Rassemblement National raddoppierà i suoi parlamentari rispetto agli 88 al 2022. Poi non dimentichiamo che il sistema elettorale per le legislative francesi è un sistema elettorale maggioritario a doppio turno, con una soglia di sbarramento molto alta per accedere al secondo turno, del 12,5% calcolata sugli aventi diritto, questo significa che noi non abbiamo un’unica elezione legislativa, abbiamo 577 differenti elezioni legislative, come il numero delle circoscrizioni e il numero dei parlamentari eletti.

Cosa significa questo?

Significa che noi il 30 giugno alle 21 sapremo quanti deputati sono già stati eletti perché hanno ottenuto la maggioranza assoluta nella circoscrizione. Poi inizierà una settimana decisiva, perché bisognerà capire in tutte le circoscrizioni contendibili come andrà a finire, come funzionerà il gioco delle desistenze.

Le elezioni francesi che impatto avranno sulla posizione della Francia in Europa?

Se dovesse verificarsi la coabitazione con Primo ministro Bardella il quadro a livello europeo potrebbe essere particolarmente destabilizzato. Perché su questioni fondamentali di politica estera e di politica economica, le posizioni del Rassemblement National sono agli antipodi non solo rispetto a quelle della Francia macroniana, ma anche a quelle della tradizione più complessiva della Francia repubblicana. Le precedenti coabitazioni portavano esponenti di forze piuttosto omogenee. Mi chiedo cosa potrebbe succedere nel prossimo semestre, che tra l’altro sarà a guida ungherese, in un Consiglio europeo dove ci saranno un azzoppato Emmanuel Macron e il Primo ministro Jordan Bardella. Oppure sulla questione della difesa europea, Marine Le Pen durante la campagna elettorale ha sottolineato che la sovranità della Francia si esprime innanzitutto attraverso la propria autonomia strategica, attraverso l’autonomia dell’arma atomica e che assolutamente la Francia non vuole mettere a rischio questa autonomia di fronte a qualsivoglia costruzione di un’Europa della difesa. Anche questo è un tema sul tavolo dei prossimi mesi.

Perché nel sottotitolo del suo libro (“Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana” ed Il Mulino) scrive di una passione italiana per il modello di semipresidenzialismo alla francese?

Perché è emerso ed emerge ancora oggi nel nostro paese, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra, un interesse per il modello francese. Nell’introduzione ricordo l’interesse intellettuale degli scienziati politici ascrivibili al fronte progressista, come Gianfranco Pasquino o Stefano Ceccanti. Era stata anche una delle tesi dell’Ulivo nel 1996 e, ancora prima, era finita all’interno della cosiddetta ‘grande riforma’ proposta da Craxi, in quel caso fu soprattutto Giuliano Amato ad aver introdotto questa tematica.

Nel corso della cosiddetta seconda Repubblica ha affascinato anche il centrodestra e la destra dell’ex MSI, poi AN di Gianfranco Fini. In ambito intellettuale ricordo Domenico Fisichella, che su questi temi ha scritto pagine molto interessanti. Il modello semipresidenziale da un lato affascina perché è una sorta di ibrido tra il presidenzialismo e il parlamentarismo razionalizzato, ma dall’altro spaventa per l’elezione diretta a suffragio universale del Presidente della Repubblica che, nel contesto francese, cessa di essere un equilibratore ed elemento di garanzia (come il Presidente della Repubblica italiano) ed è, come la storia della V Repubblica insegna, un attore di primo piano della contesa politica.

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