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“In Niger situazione più complessa di un golpe”. Parla Domenico Quirico
Il Niger è nelle mani dei militari golpisti. Il vertice Ecowas è fallito e l’ultimatum è scaduto. Conversazione con il giornalista esperto di esteri Domenico Quirico
È scaduto l’ultimatum imposto al Niger dai paesi di Ecowas, la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale, per il reinsediamento del presidente deposto Mohamed Bazoum alla guida del paese africano. I paesi occidentali, a iniziare dalla Francia, escludono un intervento militare nell’area del Niger. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il governo russo che, attraverso il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto di essere preoccupato per le emergenti tensioni regionali. Il Segretario di Stato USA Antony Blinken ha annunciato la sospensione del programma di aiuti finanziari al Niger ma non la consegna degli aiuti umanitari. Sulla vicenda sono intervenuti anche la Guinea, Mali e Burkina Faso, tutti paesi in cui hanno preso il potere i regimi militari e che hanno dichiarato che considereranno un’aggressione al Niger una dichiarazione di guerra nei loro confronti.
Su tutti questi argomenti e i possibili sviluppi abbiamo sentito il giornalista Domenico Quirico, reporter esperto di esteri de “La Stampa”.
Perché è fallito il vertice Ecowas?
I paesi che aderiscono a Ecowas hanno dato un ultimatum di sette giorni, minacciando un’invasione. Non mi sembra che sia il modo migliore per arrivare a una trattativa diplomatica. Questi sono i paesi più vicini, più obbedienti alla Francia, che hanno aiutato la Francia nelle operazioni militari totalmente fallite. La giunta golpista nel Niger e gli altri due governi militari in Mali e in Burkina Faso hanno risposto che sono pronti alla guerra se qualcuno invade il Niger. La situazione mi sembra ben al di là di una possibilità diplomatica.
Forse approcciarsi con un ultimatum non è stata la scelta migliore.
Il paese guida dell’Ecowas è la Nigeria, un paese nel quale ci sono state le elezioni che hanno eletto un Presidente ma la validità delle elezioni è fortemente contestata da quelli che hanno perso. La Nigeria è un paese che ha un indice di violenza interna che ha pochi eguali in tutta l’Africa, il nord del paese è nelle mani dei Boko Haram, i talebani dell’Africa settentrionale, ha un numero di migranti molto elevato, esporta mafie internazionali che non hanno nulla da invidiare a quelle di altri di altri paesi, è una cleptocrazia, probabilmente la più radicata e la più funzionante del mondo, non solo dell’Africa. Ecco, che la Nigeria si permetta di insistere, di dire ad altri paesi di scegliere la democrazia, minacciandola con le armi, francamente un po’ un paradosso.
I paesi occidentali coinvolti hanno detto che il canale diplomatico resta il primo e l’unico percorribile. Secondo lei, invece, è possibile un’escalation armata?
Quello che sta avvenendo nell’Africa saheliana qualcosa che va molto al di là dell’episodio del golpe, dell’ammutinamento della guardia presidenziale, sono cose comuni in questi paesi, nello stesso Niger ci sono già state tre o quattro volte prima di questo. Il problema è che il controllo francese di questa parte del suo ex impero si è progressivamente allentato fino a diventare quasi inesistente o comunque molto più problematico di una volta. In questo vuoto sono entrati tante realtà, la Wagner, i cinesi, sono entrati, i militari locali che erano stufi di andare a farsi ammazzare dai jihadisti senza ricevere lo stipendio o delle armi moderne e che vedevano i francesi fare le loro guerre ricche.
La situazione economica e sociale di questi paesi è drammatica, sono tra gli ultimi posti delle statistiche della miseria e della povertà. Tra l’altro in Niger ci sono ricchezze minerarie che vengono vendute alla Francia, alla Cina, al Canada e di questo nulla finisce nelle tasche della popolazione. Allora tutto questo è molto più complicato di un golpe di quattro colonnelli insoddisfatti del loro. Ecco è di questo che bisognerebbe ragionare prima di capire se un intervento militare occidentale non possa provocare delle conseguenze più gravi del golpe. Tenendo conto che in Nigeria, il Mali, in Burkina Faso e in altri paesi dell’area operano i jihadisti e per loro l’arrivo di occidentali armati che vengono a portare ordine è l’argomento propagandistico numero uno.
Prigozin, il comandante della Wagner, si è detto pronto a intervenire in favore dei golpisti. Cosa succederebbe se si dovesse passare dalle parole ai fatti?
Facciamo una precisazione: in Niger la Wagner non c’è e con il golpe non c’entra nulla. Che poi possa arrivare a seguito di questi eventi è molto possibile o che Prigozin, ammesso che sia ancora lui che gestisce la l’affare Africa, abbia tutto l’interesse ad andare in Niger. La Wagner ha occupato dei vuoti, dei posti che noi abbiamo perso o abbandonato. La Russia è sempre stata in Africa, anche ai tempi dell’Unione Sovietica, semplicemente è un ritorno, non più sulla dell’ideologia ma con delle ragioni di tipo diverso.
Quali sono gli strumenti che ha usato la Wagner per entrare in Africa?
La Warner offre sicurezza ai governi e regimi africani al posto di quella che veniva offerta dalla Francia o dalle potenze europee. La Wagner in Africa fa contratti di estrazioni minerarie. A questo si aggiunge un sistema soft power costituito da giornali, radio, catene televisive che operano in paesi africani dove intende andare, organizza Festiva, elezioni di miss, gare sportive. Insomma, a poco a poco si è presentata come una realtà, sfruttando le magagne della presenza occidentale in questi luoghi, della Francia in modo particolare. Questa è la Wagner, non sono solo mercenari forzuti e tatuati è tutto un sistema di penetrazione in un continente molto interessante per la Russia, come lo è per noi, perché ci sono le materie prime, per la posizione geografica e per altro.
Lei ha scritto che la Francia esce indebolita da queste vicende che hanno interessato il Niger, il Mali. Chi prenderà il posto lasciato vacante dalla Francia?
Ci sono due candidati molto già molto avanti nel lavoro che sono la Russia e Cina. La Cina per ora solo dal punto di vista economico, come acquirente di materie prime e fornitrice di infrastrutture, di strade, ponti e stadi. Però, progressivamente, passerà anche a un tentativo di controllo politico e militare. Poi però c’è sempre la possibilità che siano gli stessi africani che si sono stufati di dipendere da qualcuno e decidano di prendere in mano il loro destino e di liberarsi veramente da tutte le catene, i nodi prima del colonialismo, poi del post colonialismo, poi del colonialismo russo o cinese, e diventare attori in prima persona.
Quale può essere il ruolo dei militari?
In Africa i militari svolgono un ruolo diverso rispetto agli altri paesi. Sono spesso una parte della società civile che viene dalla parte più debole e più povera della popolazione e che svolgere un ruolo rivoluzionario o reazionario. Cioè può sostenere l’ordine di esistente attraverso la forza, oppure può espellere e distruggere l’ordine esistente, quello che noi occidentali abbiamo sostenuto finora intendo e costruire qualcosa di nuovo. Tutto questo è una è uno scenario molto aperto, in cui si può andare in una direzione piuttosto che nell’altra. Questo dipende da una serie di elementi interni alla situazione di questi paesi che hanno delle società civili molto deboli e una struttura politica molto fragile, e quindi sono costretti a operare le trasformazioni attraverso metodi violenti, come appunto i golpe. Però dipende anche da come noi occidentali reagiremo a questi eventi.
Quale sarebbe una reazione sbagliata?
Secondo me la reazione sbagliata è quella di imporre le nostre regole, questo potrebbe non portare a una trasformazione in senso democratico e partecipativo in questi paesi. Al contrario, potrebbe favorire il totalitarismo jihadista, pronto approfittarne, peraltro.
Se lei dovesse fare una previsione qual è l’evoluzione più facile?
Credo che la Francia e i suoi alleati locali abbiano ancora i mezzi per riprendere il controllo della situazione, ma quanto gli costerà successivamente è molto difficile da dire. Io vedo l’avanzare del jihadismo. I jihadisti sono molto abili nell’approfittare delle situazioni di disperazione di gruppi umani, della miseria, delle lotte etniche, degli interventi stranieri. L’abbiamo visto anche in altre realtà. In Africa stanno avanzando verso sud, sono già in Mozambico, in Congo, avanzano verso il Golfo di Guinea. Di questo non si parla in questi giorni perché sembra che il problema siano i golpisti. I problemi sono molto più vasti dei golpisti.