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“La riviera di Gaza? È l’immaginario della speranza”. Parla George Lombardi (ex consigliere di Trump)

“Meloni e Trump? Simili, hanno combattuto per essere lì. Io e Donald abbiamo invitato due volte Berlusconi a Mar – a Lago ma non ci è mai venuto”. Analisi, ricordi e indiscrezioni di George Lombardi, ex consigliere, vicino di casa e amico del presidente Usa Donald Trump

Interessi convergenti: passione per la libertà di parola di Elon Musk e la preoccupazione per il benessere degli americani di Trump. Queste sono le basi sulle quali poggia il solido rapporto di amicizia tra il Presidente Usa e il suo DOGE (Musk è a capo del Dipartimento per l’efficienza governativa).

L’attentato di Meridian come punto di svolta, la politica estera, da Kiev a Gaza, che diventa priorità, il mancato incontro con Silvio Berlusconi, la relazione, vera, con la Premier Meloni. Di tutto questo ne abbiamo parlato con George Guido Lombardi, imprenditore nel settore immobiliare, ex consigliere del Presidente Donald Trump, e suo amico di lunga data.

Dopo aver incassato la tregua a Gaza e il rilascio di parte degli ostaggi israeliani il Presidente Trump potrebbe far presentare, nel corso della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, un piano per far terminare la guerra tra Russia e Ucraina. Lei ne sa qualcosa?

Il Presidente Trump di solito mantiene il riserbo su queste cose però sappiamo, perché l’ha detto ai giornalisti, che intende parlare con Putin e che ha già parlato con Zelensky. Ha detto ufficialmente che non solo bloccherà tutti i fondi per l’Ucraina già approvati da Biden ma che vuole chiedere indietro soldi che non sono stati spesi. Ecco, Zelensky ha detto che una parte di questi soldi lui non sa che fine abbiano fatto, quindi bisognerà scoprire dove sono finiti. Putin, invece, ha rilasciato due interviste nelle quali ha espresso il desiderio di incontrare il presidente Usa e ha ripetuto quello che lui stesso aveva detto in campagna elettorale: che con Donald Trump alla Casa Bianca la guerra in Ucraina non ci sarebbe mai stata. Più chiaro di così?

Perché, secondo lei, c’è questa sintonia tra Trump e Putin?

I problemi sono stati tra i burocrati non eletti di Bruxelles e quella parte del Partito democratico americano che alcuni descrivono come “i globalisti di sinistra”, tra cui sicuramente c’è George Soros, che ha cercato in ogni modo di distruggere la relazione tra gli Usa e la Russia. Io la leggo così: forze dell’estrema sinistra americana e dei globalisti europei non hanno accettato il sovranismo nazionale di Putin e hanno forzato la mano per indebolire la Russia di Putin.

Le forze alle quali fa riferimento sono ancora attive?

Sì, soprattutto in quei regimi, come in quello di Macron, che vogliono andare avanti con questa guerra fratricida. Perché Ucraina e Russia sono parenti stretti e lo sono stati per tanti anni.

Spostiamoci in Medioriente. La tregua e il rilascio di una parte degli ostaggi sono arrivate tra la fine dell’incarico di Biden e l’inizio di quello di Trump. Di chi è il merito?

È stata una reazione a quello che Trump ha detto durante tutta la campagna elettorale, cioè che se non ci fosse stato il rilascio di ostaggi entro la mezzanotte del primo giorno del suo insediamento ci sarebbe stata una reazione molto seria. Parole prese molto sul serio sia da Hamas che dall’Iran. Israele, chiaramente, era d’accordo.

Il presidente Trump ha detto che vorrebbe trasformare la Striscia di Gaza nella “Riviera del Medioriente”. Quanto dobbiamo prenderlo sul serio?

Le boutade o, come si dice a Roma, le “sparate” di Donald molto spesso hanno un risvolto sui media e sui social. Io ho curato, soprattutto all’inizio, la prima campagna elettorale di Trump tra il 2015 e il 2016, e abbiamo visto che questi brevissimi messaggi, molto forti nel contenuto, hanno un impatto sui social molto importante, molto di più di quello che possono essere le televisioni o i giornali. L’impatto principale della proposta di ricostruire la Striscia di Gaza è offrire a israeliani e palestinesi che vogliono la pace un’alternativa allo scontro permanente. L’immagine della Striscia di Gaza con i grattacieli, le spiagge, i turisti serve a questo: a creare una suggestione nei media, tra i politici ma soprattutto nelle popolazioni.

È la strategia di Hollywood?

È proporre una visione costruttiva. Non è propaganda di Hollywood o fantascienza. È l’immaginario della speranza che vuole muovere emozioni positive.

Il presidente Trump sta avendo un approccio abbastanza interventista in politica estera utilizzando le minacce dei dazi come armi della politica estera. Se lo aspettava?

Allora diciamo che Trump sta negoziando. La minaccia dazi al 25% nei confronti delle merci che arrivano dal Canada e dal Messico rientra nelle fasi di una negoziazione. Ma quella che sta combattendo il presidente Trump non è una guerra dei dazi ma una guerra alla droga, soprattutto al fentanyl che arriva quasi tutto dalla Cina e uccide 200 persone al giorno. I risultati ci sono già stati, in Messico la polizia ha arrestato uno dei più grossi narcotrafficanti messicani, tale El Ricky. In Canada Trudeau ha annunciato che investirà circa un miliardo di dollari e impiegherà 10.000 agenti in più al confine con gli Stati Uniti per bloccare i movimenti dei narcotrafficanti. Anche i dazi nei confronti della Cina servono a costringerla a sedersi al tavolo e discutere delle politiche che danneggiano gli Usa.

Un’altra “boutade” del Presidente Trump ha riguardato la strategicità della Groenlandia per gli interessi Usa. La Groenlandia è ricca di materie prime critiche. La Premier Meloni, in conferenza stampa, ha detto che quelle dichiarazioni erano parte di un dialogo a distanza tra le superpotenze Usa e Cina. È così?

Il Primo ministro, Giorgia Meloni è una persona estremamente attenta e ha una grande intesa con Trump. Quando è andata a trovarlo a Mar – a – Lago c’ero anche io. Come lui, e forse più di lui, ha dovuto abbattere ostacoli enormi per arrivare dov’è ora. Sulle truppe americane in Groenlandia posso dire solo che già ci sono due basi abbastanza importanti americane in Groenlandia ma il punto della questione non è di carattere militare. Come ha detto Meloni il presidente Trump parla alla Cina che cerca di infiltrarsi in Groenlandia, un po’ troppo vicino alla frontiera degli Stati Uniti. È chiaro che gli Stati Uniti vogliono aiutare la Groenlandia dal punto di vista economico e Trump l’ha detto molto chiaramente.

Lei ha avuto un ruolo nella costruzione dell’amicizia tra la premier Meloni e il Presidente degli Stati Uniti?

Io sono sempre stato fautore di amicizia tra gli Stati Uniti e l’Italia, ma soprattutto tra Trump e i leader italiani. Nel 1994 Roberto Maroni, da ministro degli interni, è venuto a Trump Tower a casa mia e poi ci ha raggiunti anche Donald. C’è anche una foto sui social. Già all’epoca Trump sapeva benissimo che io avevo rapporti con Maroni, con Bossi e Silvio Berlusconi.

Abbiamo invitato Berlusconi due volte, a Natale e Capodanno, alle feste a Mar – a Lago ma non è mai venuto. Peccato.

Oppure, per raccontare un’altra cosa, io mi sono occupato di tradurre i documenti del caso di Amanda Knox, di cui Trump si è interessato personalmente pagando anche parte delle spese della difesa.

Insomma, tutto questo per dire che ho sempre lavorato ai rapporti tra Trump e l’Italia, tra Trump e i leader italiani. Io mi sento molto legato alle mie origini italiane, anche se vivo qui da quarant’anni, però penso che sia importante che questi legami restino stretti.

Le faccio l’ultima domanda, qual è il peso specifico di Elon Musk all’interno dell’amministrazione Trump?

Io direi che è molto, molto importante. È importante soprattutto la relazione personale tra due persone che si sono incontrate e che hanno capito di avere interessi convergenti: libertà di parola e benessere degli americani. Nella costruzione di questo rapporto di amicizia il punto di svolta è stato l’attentato di cui è stato vittima Trump. Oggi Trump, nel corso del National Prayer Breakfast, un evento nel quale una volta all’anno i parlamentari si riuniscono per pregare tutti insieme, a prescindere dalla fede, ha ribadito che l’attentato gli ha cambiato la vita ed è diventato ancora più credente. Musk, dal canto suo, ha davvero apprezzato la prontezza di spirito con cui Donald si è rialzato, sebbene insanguinato, e ha chiesto di continuare a combattere. Quello è stato il momento in cui Elon Musk, da sempre democratico, ha cambiato opinione su Trump e ha deciso di appoggiarlo. Qualche tempo prima Musk aveva acquistato, per 22 miliardi di dollari, Twitter, azienda che versava in condizioni disperate, e l’ha fatto per preservare uno spazio in cui garantire libertà di parola. Musk non agisce solamente per interesse personale. Il collante della relazione tra Musk e Trump è l’altruismo che li accomuna e che fa di questa relazione qualcosa di più di una relazione politica.

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