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Israele

“Da Hamas guerra inumana a Israele”. Colloquio con David Parenzo

“L’evento del 7 ottobre è un fatto unico nella storia del conflitto in Israele. È una guerra militare, terroristica, asimmetrica”.  Conversazione con il giornalista David Parenzo 

Lo scorso 7 ottobre si è aperto un nuovo capitolo nel conflitto tra Israele e Palestina. Un commando Hamas ha divelto le barriere della Striscia di Gaza, oltre 1.400 persone sono morte per quel brutale attacco e circa 200 sono state rapite. Israele, sin dalla sua fondazione, ha conosciuto la conflittualità con paesi vicini tutt’altro che amichevoli. Nel 1948 le Nazioni Unite sancirono l’esistenza di due Stati e due popoli ma quella risoluzione ONU fu contestata e si aprì la drammatica storia del conflitto israelo-palestinese.
Di questa nuova, triste, pagina della conflittualità in Medio Oriente ne abbiamo parlato con David Parenzo, giornalista, conduttore tv e profondo conoscitore del contesto israeliano.

Come si arriva all’attentato del 7 ottobre?

È una lunga storia. Dal ‘67 lo Stato di Israele ha esercitato un controllo più o meno forte sulla Striscia di Gaza fino al 2005 quando il premier di destra Ariel Sharon decide il ritiro unilaterale da Gaza. Quindi, dal 2005 la Striscia di Gaza si è auto regolata e purtroppo nel corso degli anni abbiamo assistito alla crescita incontrollata del movimento terrorista di Hamas che, a differenza dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina, ndr), non ha mai riconosciuto lo Stato di Israele. Anzi, al contrario, nel suo statuto ha la distruzione dello Stato di Israele. Negli ultimi anni da Gaza sono partiti centinaia di missili nei confronti delle città israeliane. Questi missili non hanno mai fatto notizia, perché non ce ne siamo mai occupati, ma era una costante, direi quasi settimanale.

Perché non hanno fatto notizia i missili di Hamas?

Non hanno fatto notizia perché non colpivano case israeliane perché c’era un sistema di difesa che si chiama Iron Dome, uno scudo, tecnologicamente avanzato, che intercettava e intercetta i missili. L’attentato terroristico del 7 ottobre si inserisce in questo contesto, in un contesto in cui la società israeliana era divisa, c’erano proteste di piazza nei confronti del governo Netanyahu.

In cosa questa guerra è diversa dalle altre?

L’evento del 7 ottobre è un fatto unico nella storia del conflitto. È una guerra militare, terroristica, asimmetrica. Una guerra nella quale dei civili vengono presi nelle loro stanze, nelle loro case, in territorio israeliano, e vengono uccisi. Sono stati presi 199 ostaggi civili, non solo militari, civili e portati nella Striscia di Gaza.

E questa è la cronaca di quello che vediamo in queste ultime ore. La differenza è che mentre nel passato noi assistevamo a una guerra nella quale Israele era impegnato in prima linea in un confronto tra eserciti, tra Stati, qui siamo di fronte a una guerra inumana, terribile, che Hamas ha dichiarato a Israele. Nelle guerre “convenzionali” gli eserciti fanno quelle che tecnicamente si chiamano vittime collaterali, purtroppo, però non c’è la volontà di uccidere bambini, donne. Nell’attentato del 7 ottobre l’elemento principale è stato la volontà di uccidere donne, bambini e di portarli via.

Come valuta la risposta del Governo israeliano?

La valuto molto bene. Israele mi pare molto attento alle relazioni internazionali. Per ora sta aspettando di fare l’intervento di terra su Gaza City per recuperare gli ostaggi e distruggere la centrale del terrore di Hamas. Il fatto che tutto il paese, anche la sinistra israeliana, sia unita nel dire che questa è l’unica cosa che si può e si deve fare mi fa capire che, a differenza dei mesi passati in cui abbiamo visto le opposizioni scendere giustamente in piazza, oggi c’è un paese totalmente compatto che ha come unico obiettivo quello di distruggere la centrale del terrore. Israele sta procrastinando l’intervento di terra e questo ci dimostra che sta agevolando lo spostamento dei palestinesi da Gaza City verso il sud. Sono giorni che Israele chiede ai civili di allontanarsi dalla Striscia di Gaza.

Quello che è successo il 7 di ottobre rappresenta un punto di non ritorno per quanto riguarda le relazioni istituzionali fra la Palestina e i paesi occidentali?

Questo non lo so. Io, però, vedo che ci sono Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti che hanno, ormai da anni, inaugurato un disgelo, con Israele e da anni hanno un proficuo e ottimo rapporto. La Giordania sta facendo un ottimo lavoro al confine con Israele nel contenere le manifestazioni di protesta contro Israele.

Ci sono alcuni paesi arabi che hanno paura di ISIS e del fondamentalismo islamico, quindi capiscono, anche se non lo possono dire apertamente, che l’intervento di Israele può far comodo anche a loro. Questo è il quadro. Poi c’è la minaccia dell’Iran, che non è un paese arabo, che ha il solo interesse della distruzione dello Stato d’Israele e, assieme alla Russia, del disegno di un nuovo ordine mondiale. Io credo che sia un progetto folle e criminale, per fortuna la presenza delle due navi americane nel Mediterraneo ha il ruolo di disincentivare le follie iraniane.

In questo quadro qual è il ruolo dei leader palestinesi?

Nella storia del conflitto arabo israeliano, i palestinesi sono stati ostaggio di leadership completamente incapaci di gestire la relazione con Israele. Questa è la storia, perché o c’è il fanatismo di Hamas o ci sono gli eredi dell’OLP, che però hanno dato vita a una struttura corrotta con poche capacità di controllo.

Negli anni i palestinesi sono stati ostaggio delle diverse volontà dei paesi arabi, cioè la causa palestinese è stata ostaggio dei paesi arabi che la usavano in funzione antisraeliana. Poi piano, piano, i paesi hanno cominciato a fare accordi con Israele, è caduto il muro, è finita l’influenza russa e il finanziamento che i russi facevano all’OLP e ai palestinesi. È venuto un po’ meno l’interesse per un popolo che, oggettivamente, ha sempre avuto un problema: quello della propria leadership. Tutto si è fermato con gli accordi di Oslo, quando a un certo punto da quello sì è tornato indietro. 

In questi giorni, nel nostro paese, abbiamo sentito una serie di distinguo, alcune voci che quasi faticavano a prendere una posizione netta contro il terrorismo di Hamas e in sostegno del popolo israeliano.

Da un punto di vista istituzionale il governo italiano ha fatto delle cose ottime, ha preso una posizione subito molto chiara, molto precisa. Da un punto di vista mediatico c’è un’opinione pubblica che quando c’è di mezzo Israele o l’America è sempre antiamericana e antisraeliana. È un po’ nella storia del nostro paese. Quindi la cosa non mi stupisce.

Si fa ancora un racconto nel quale c’è questa idea un po’ romantica di un popolo oppresso che con le pietre, con l’intifada, combatte i cattivi dell’esercito potente. Beh, insomma, quella situazione è in stallo dal 1948, quindi se l’esercito cattivo e potente avesse davvero voluto fare quello che avrebbe potuto fare, diciamo che il problema di Hamas oggi non ci sarebbe.

– Leggi anche: Tutti i numeri delle Forze di difesa israeliane (Idf)

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