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Le borse non credono più alle Big Tech. Intervista al prof. Mingardi (IULM)
Le Big tech non convincono più gli investitori. Il prof. Alberto Mingardi (Università IULM) ci ha spiegato le ragioni del tonfo delle borse e di cosa dobbiamo, o non dobbiamo, preoccuparci
Non c’è nulla che piaccia di meno alle borse e a chi deve decidere come investire il denaro della instabilità. E nei nostri giorni abbondano i fronti di incertezza: dalla guerra in Ucraina, al pericolo di un allargamento del conflitto in Medioriente, alla precarietà dell’America latina.
Inoltre, le ipotesi di una recessione degli Usa, che sta registrando ancora tassi d’interesse molto alti, preoccupano i mercati di tutto il mondo, che temono un contagio anche per le economie europee.
Queste, e molte altre, le ragioni dietro al tonfo dei mercati che, dalla borsa Tokyo, è arrivato a Wall Street e in Europa.
Ne abbiamo parlato con il prof. Alberto Mingardi, tra i fondatori dell’Istituto Bruno Leoni e professore associato in “Storia delle dottrine politiche” all’Università IULM di Milano.
Di che natura sono i fattori che hanno determinato le tensioni sulle borse dei giorni passati? Geopolitica? Oppure attengono ai dati dell’economia reale? O a entrambe?
I mercati azionari vengono da anni di performance straordinariamente positive. Hanno non solo retto ma sono cresciuti, nonostante la guerra in Ucraina, la crisi energetica e la crisi mediorientale.
Ora, i mercati non servono a fare diventare ricchi i possessori di azioni: servono a stimare il valore di determinati beni o, in questo caso di aziende, cioè la prospettiva che queste ultime possano fare profitti. Si basano dunque sulle valutazioni dei diversi attori economici i quali, essendo esseri umani, non sono onniscienti. Per questo debbono esserci dei momenti di correzione. A nessuno piace vedere scendere il valore dei titoli che si hanno in portafoglio ma dal punto di vista, per così dire, logico, il problema è l’esuberanza irrazionale di ieri (che richiede la correzione), più che la correzione di oggi.
Perché le tensioni sono partite dalle borse giapponesi? C’è una relazione con le tensioni nell’area indo-pacifica?
Dopo momenti, per giunta prolungati, di grande entusiasmo, è abbastanza normale che si senta il bisogno di una correzione. Questa può essere stata innescata da fattori diversi. Anche in questo caso non sottovaluterei però il ruolo di speranze e delusioni legati alla tecnologia.
Lo scorso giovedì c’è stato il tonfo a Wall Street dei titoli delle big tech americane. Venerdì i dati non positivi come ci si aspettava sull’occupazione. Questi due fattori hanno avuto un ruolo, e se sì quale, nelle fibrillazioni delle borse di questi giorni?
Credo di si. L’economia americana è in una fase nella quale possiamo rintracciare molti aspetti positivi ma dobbiamo sottolineare che vi è anche una forte inflazione, le cui conseguenze hanno avuto ripercussioni soprattutto sui ceti più umili. L’inflazione condizionerà le prossime elezioni e, come al solito, ci sarà una divaricazione fra i paladini di Main Street, che oggi vogliono mettere la museruola all’inflazione, e quelli di Wall Street, che invece sperano in un taglio dei tassi per ridare ossigeno alla borsa. Le Big Tech sono una delle grandi storie di successo di questi anni ma sono in molti ad avere espresso perplessità su certe valutazioni, anche e soprattutto nel caso di tecnologie (penso a tutto ciò che serve all’intelligenza artificiale) le cui applicazioni pratiche e profittevoli non sono ancora ben chiare.
La contrazione, relativa, della crescita dell’economia cinese ha avuto un ruolo nelle difficoltà delle borse?
Le aspettative di crescita per la Cina sono state riviste al ribasso per quest’anno ma per l’anno prossimo si parla comunque di un valore attorno al 5%. Resta uno dei polmoni del mondo. Certo, l’impressione che i conflitti con gli USA possano diventare sempre più tesi non aiuta e che in qualche modo la relazione economica fra i due Paesi vada a contrarsi (con il governo statunitense che spinge per spostare siti produttivi) non aiuta…
Perché Milano, tra le europee, ha avuto la performance peggiore?
Le ragioni possono essere diverse, non mi pare però ci sia un “caso italiano” in vista.
Nel caos delle borse internazionali si inserisce anche una miccia nazionale: l’ipotesi di introdurre una tassa sugli extraprofitti (o contributo di solidarietà) per banche e assicurazioni. Cosa ne pensa? Questo rumor agostano, reiterato, ha avuto un ruolo nella performance negativa di Milano?
Per carità, è agosto e quindi anche i sussurri fanno più rumore. E ovviamente le banche in Italia hanno un peso diverso che in altri Paesi. Il governo però ha prontamente smentito e non mi pare sia un bluff.
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