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Le cose turche di Erdogan con Von der Leyen

Erdogan Von Der Leyen

I Graffi di Damato. La sorprendente indignazione per il trattamento turco a Ursula

Vi assicuro di non essere né un turco né un musulmano, né un amico di Erdogan, di cui neppure ricordo il nome in questo momento, ma solo un italiano aspirante ad essere davvero un europeo, e non un meticcio cui mi costringono le regole che si sono dati gli Stati dell’Unione nel definire le loro regole di convivenza e gerarchia istituzionale. Che sono le sole, nella loro confusione e ambiguità, ad avere permesso al presidente turco di fare quello che ha fatto, e ha provocato così tanta indignazione. E ciò in piedi o seduta sul sofà che si voglia vedere e ammirare la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a distanza delle due poltrone riservate dal cerimoniale al padrone di casa e al suo omologo, in senso di pari grado, quale è stato considerato il belga Michel, presidente del Consiglio Europeo.

Il pasticcio lo abbiamo fatto noi europei a dare valore più rappresentativo ad un presidente di turno del Consiglio Europeo che ad un presidente o una presidente permanente della Commissione esecutiva. Che, in quanto esecutiva può essere scambiata da chi lo voglia per una persona addetta all’esecuzione, appunto, delle cose decise dal Consiglio Europeo o, più in alto ancora sul piano della rappresentatività politica, dal Parlamento omonimo. È chiaro? A me sembra di sì, per cui non mi associo a tutta l’indignazione espressa a destra, a sinistra e al centro, compresa quella di una donna che stimo come Emma Bonino. La quale per essere stata prima commissaria europea, poi ministra degli Esteri e infine vice presidente del Senato italiano queste cose dovrebbe saperle e capirle meglio di un modesto, anzi modestissimo giornalista.

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Se poi si mette la questione che Massimo Gramellini sul Corriere della Sera ha brillantemente definito “sofagate”, dal sofà riservato alla presidente della Commissione di Bruxelles, sul piano di un problema di galanteria, si finisce per offendere il principio sacrosanto della parità di genere. Che viene violato, offeso, calpestato, come preferite dire, sia dal masochismo sia dal femminismo, cioè sia dal maschio che si sente superiore sia dalla femmina che reclama anch’essa superiorità, precedenza e quant’altro. È chiaro anche questo? A me pare di sì.

Mi stupisce infine lo stupore, a loro volta, di quanti hanno denunciato “la gaffe”, testuale, di Erdogan, che avrebbe perciò fatto una figuraccia. Agli occhi poi di chi? Di noi europei e altri ancora, ai quali sapete benissimo che Erdogan, per quanto sia – ahimè – un nostro alleato militare e politico, nella Nato, non ha nessuna voglia, e forse neppure interesse di risultare gradito, simpatico e simili.

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La gaffe presuppone, fra l’altro, una “inesperienza”, come si legge nei dizionari della lingua italiana appena consultati apposta in questa circostanza, che mi sembra arbitrario attribuire a un presidente turco in carica non da ieri, ma ormai da un bel po’ di tempo. Lui ha solo fatto il suo gioco politico. Siamo noi europei che non abbiamo saputo fare il nostro perché non ne abbiamo alcuno, o ne abbiamo uno ammaccato come una macchina dopo uno scontro con un’autocisterna, per le regole – ripeto – che si ci siamo voluti dare pensando di essere più furbi e bravi degli altri. Siamo noi, non Erdogan, che dovremmo per galanteria – questa volta sì, a proposito – scusarci con la signora Ursula von der Leyen, considerando anche, come parte del popolo europeo, lo sforzo simpatico che ci mette parlando ogni tanto in italiano col suo inconfondibile e naturale accento tedesco.

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