Sébastien Lecornu è il nuovo Premier francese, oggi si terrà il passaggio di consegne formali con l’ex François Bayrou. Intervista al prof. Michele Marchi, docente dell’Università di Bologna
Il Presidente Macron ha scelto Sébastien Lecornu, il suo ministro della difesa e macroniano convinto, come Primo ministro, il quinto della sua seconda presidenza. Lo scoglio più arduo per Lecornu sarà adottare il bilancio nazionale, un capitolo sul quale è caduto Bayrou, il quarto premier della seconda presidenza Macron, dopo Élisabeth Borne, Gabriel Attal e Michel Barnier, che all’Hotel Matignon è durato meno di un anno.
Una instabilità politica specchio di una crisi che affonda le sue motivazioni nelle condizioni economiche della Francia e che non viene risolta da un cambio al vertice del governo. Un debito pubblico fuori controllo, cresciuto prima a causa della pandemia da Covid-19 e poi dell’invasione russa dell’Ucraina. Bayrou ha provato a evitare la recessione con una legge di bilancio “lacrime e sangue” il cui solo annuncio gli è costato il ruolo.
Ne abbiamo parlato con il prof. Michele Marchi, docente dell’Università di Bologna e autore del volume “Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana”, ed. Il Mulino.
Il Presidente Macron ha scelto il suo ministro della difesa Sebastien Lecornu. Una scelta prevedibile?
Allora, Lecornu arriva con nove mesi di ritardo. Secondo alcuni retroscena, Lecornu aveva già ricevuto l’incarico da Macron l’anno scorso, ma poi Bayrou si è messo di traverso, sostenendo che avrebbe tolto il supporto dei centristi al governo. Però non era una scelta attesa, tutte le previsioni davano un primo ministro che guardasse maggiormente a sinistra, più vicino ai socialisti, se non addirittura il segretario dei socialisti.
Invece Lecornu è un fedelissimo di Macron.
Sì, fedelissimo di Macron, è un ex Ump, viene dalla destra gaullista, alle presidenziali del 2017 era il capo della campagna elettorale di François Fillon che non è arrivato al ballottaggio. Lecornu fa parte dell’inner circle del presidente Macron e della coppia presidenziale, è stato ricevuto anche quest’estate dalla coppia.
Giovanissimo primo ministro, ma con una maggiore anzianità rispetto ai ministri al governo, visto che Lecornu è l’unico, dell’attuale compagine dimissionaria, ad essere stato ministro fin dal 2017. Diventa sottosegretario del primo governo Philippe, si dice, senza neanche conoscere personalmente Macron. Lo avrebbe introdotto l’attuale ministro della giustizia Gérald Darmanin, ex Ump, a lungo ministro degli Interni. È ministro della Difesa, ricordiamo che la Difesa è uno degli ambiti riservati della Repubblica; quindi, si occupa di uno dei temi sui quali solitamente il presidente della Repubblica, e in particolare Macron, dedica maggiore attenzione.
Come ha conquistato la fiducia di Macron fino a diventare un suo fedelissimo?
Perché è un uomo di compromesso, l’antitesi del settarismo, ha ottimi rapporti sia all’interno del Rassemblement National sia del mondo socialista. E poi c’è un altro elemento interessante.
Quale?
Lecornu è radicatissimo a livello territoriale, nel 2019 aveva suggerito a Macron di aprire “Le pacte citoyen”. incontri che Macron fece in tutta la Francia per andare incontro alle istanze popolari.
Al premier Lecornu spetta un compito arduo: tenere insieme i due soggetti che hanno in mano la sopravvivenza del governo, il presidente dei repubblicani Bruno Retailleau e il segretario del partito socialista Olivier Faure.
Come ho detto Lecornu è l’antitesi del settarismo, ha un profilo che potrebbe aiutarlo a far passare la legge di bilancio, che sarà lo scoglio di questo nuovo primo ministro. In che modo? Attraverso l’astensione del Rassemblement National. Perché guardando i numeri c’è poco da fare, se la France Insoumise voterà la sfiducia a qualsiasi primo ministro le strade sono due: o riuscire ad ottenere l’appoggio o l’astensione dei socialisti o riuscire ad ottenere l’astensione Rassemblement National. Se c’è un uomo che può provare ad andare in questa direzione sembra Sebastien Lecornu. L’unico problema sul fronte socialista è che una parte consistente dei socialisti teme che Lecornu sia uno strumento senza indipendenza nelle mani di Macron.
Cosa significa la scelta di un fedelissimo di Macron?
Significa che il presidente non arretra nemmeno di un passo. Questo è indubbio, seppure in una situazione di debolezza con un’opinione pubblica non dalla sua parte e con un paese in agitazione sociale.
Facciamo un passo indietro, come si è arrivati alla crisi del governo Bayrou?
È una crisi che affonda le radici lontano. Quando Macron è stato rieletto nel 2022 non ha ottenuto un risultato paragonabile a quello del 2017: si sono registrati circa 13 milioni di astenuti e 3 milioni di schede bianche. Nel frattempo, Marine Le Pen ha guadagnato circa 3 milioni di voti in più al ballottaggio rispetto al 2017. Inoltre, aspetto spesso dimenticato ma decisivo, alle elezioni legislative del giugno 2022 la maggioranza uscita dall’Assemblea nazionale non è stata solida.
Macron non ottenne la maggioranza assoluta.
Esatto. La sua prima ministra, Elisabeth Borne, ha incontrato enormi difficoltà nel costruire una maggioranza parlamentare sui vari provvedimenti: mancavano 43 seggi per raggiungere la maggioranza assoluta. Nei circa 20 mesi della sua durata, il governo Borne ha fatto ricorso per ben 23 volte all’articolo 49.3 della Costituzione, la norma che consente di approvare una legge senza voto palese, lasciando all’opposizione come unica arma la mozione di censura.
Quindi non è iniziato tutto con lo scioglimento della Camera del 2024.
No, però è il secondo tornante a cui prestare attenzione. Dopo le elezioni europee Macron fa una scommessa: torna al voto sebbene abbia perso clamorosamente le europee. Inoltre, il Rassemblement National è il primo partito di Francia mentre il partito del presidente è andato molto male alle europee. La seconda ragione per la quale sceglie di tornare al voto è che il suo partito già non aveva la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale e temeva che il governo Attal non sarebbe stato in grado di far passare la legge di bilancio in autunno.
Insomma, Macron ha provato a chiarire un quadro che è diventato ancora più frammentato.
L’Assemblea nazionale francese risultata delle elezioni è stata ingovernabile, con due ali estreme non coalizzabili e che non possono collaborare con i blocchi centrali per il governo del paese. Tra l’altro, la decisione di Bayrou non ha fatto altro che anticipare a settembre quello che sarebbe successo in autunno. La legge di bilancio che aveva annunciato, con un tentativo di rientro di oltre 40 miliardi, avrebbe sottoposto il governo a un voto di sfiducia organizzato dalle opposizioni.
Questo è il quadro politico. Ma c’è anche un dato economico che non può cambiare con il cambio di governo.
Un debito fuori controllo, qualche anno fa avremmo detto “di proporzioni italiane” e un deficit preoccupante. Situazione alla quale si aggiunge – e questa è una differenza rispetto all’Italia – che una larga parte del debito pubblico francese non è detenuta da francesi ma da istituzioni e/o privati esteri. Il 12 settembre l’agenzia di rating Fitch dovrà valutare se abbassare ulteriormente il rating della Francia. È chiaro che, nella scelta del nuovo primo ministro, il Presidente Macron abbia prestare attenzione a quello che pensano – o possono pensare – gli investitori e le agenzie di rating.
Una parte del Paese avrebbe voluto lo scioglimento dell’Assemblea nazionale.
Anche alcuni personaggi politici. Penso a una lunga intervista dell’ex presidente Nicolas Sarkozy o a Édouard Philippe, il leader centrista che guarda con attenzione a quello che sta accadendo perché pensa a un futuro all’Eliseo.
C’è anche chi ha tirato un sospiro di sollievo.
Sicuramente i socialisti e i post gaullisti che temono di perdere la loro rilevanza parlamentare. I primi con i loro 66 deputati e i repubblicani con 49 possono essere l’ago della bilancia. Una nuova elezione avrebbe posto un grande punto interrogativo.
Negli ultimi anni la Francia ha guidato – o ha provato a guidare – l’esposizione verso l’esterno dell’Unione europea. Le sue difficoltà interne che riflessi hanno sulla politica estera europea?
L’attivismo europeo franco – britannico, in sostegno all’Ucraina e di contrasto agli Usa di Trump, ha il volto di Macron e di Starmer, due tra i leader più in difficoltà del continente europeo. Non è un elemento positivo. Però dobbiamo considerare che se c’è un tema nel quale Macron non è contestato ma ha il sostegno dell’opinione è proprio la politica estera. Le posizioni francesi sull’Ucraina e sulla Palestina sono fortemente sostenute dall’opinione pubblica.