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L’Europa, impreparata, rischia di andare in guerra. Intervista ad Andrea Margelletti, presidente CeSi

Margelletti

L’attentato a Crocus City Hall, il rischio di una guerra in Europa, l’aggressività della Russia, il disimpegno degli Usa e la necessità di costruire una strategia di difesa europea: tutti questi temi nel colloquio con il prof. Andrea Margelletti, Presidente del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali.

Siamo a pochi passi dalla guerra. E questa non è la notizia peggiore. L’Europa rischia di affrontare un conflitto senza avere adeguata preparazione e senza avere una guida politica e militare.

Andrea Margelletti, Presidente del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, non vede molte alternative all’aggressività con la quale la Russia sta affrontando da due anni il conflitto in Ucraina. Inoltre, dall’altro lato dell’Atlantico, l’elezione di Donald Trump potrebbe portare al disimpegno degli USA nei confronti della Nato.

In questa situazione l’Europa, stretta tra le due superpotenze, rischia di finire vittima della sua inazione e della sua fiducia, colpevolmente ingenua, in un destino di pace.

Prof. Margelletti, l’attentato al Crocus City Hall di Mosca ha causato 139 morti. Quale reazione ci possiamo aspettare nel breve e nel lungo termine dalla Russia?

Quando i servizi russi avranno identificato la matrice territoriale di provenienza colpiranno, con tutta la violenza possibile, le realtà all’interno dei territori russi, ovviamente. Questo è l’unica cosa che prevedo possano fare.

L’attentato è stato rivendicato dall’Isis ma l’Fsb accusa anche i servizi ucraini, USA e UK.

Lasci stare, è spazzatura. L’Fsb può dire quello che vuole ma i responsabili sono gli uomini dell’Isis. In una dittatura la valenza delle dichiarazioni degli organismi di sistema vale sempre zero. Perché sono frutto di una politica atta a mantenere in piedi il sistema. L’Fsb ha detto che sono stati gli ucraini. Ecco la cosa non è né immaginabile né realizzabile.

Questo tipo di disinformazione, di propaganda, è funzionale a qualcosa?

Ci sono persone che credono alle scie chimiche, che il Covid non è mai esistito e che Putin è un grande statista. La propaganda di queste realtà cerca di continuare ad alimentare un delirio di questo tipo, per conservare e aumentare la propria forza. Questo è il lavoro della propaganda e i russi la sanno fare, peraltro anche molto bene.

L’anno scorso abbiamo registrato la ribellione guidata da Evgenij Prigožin, qualche giorno fa l’attentato al Crocus City Hall. Questi due eventi ci dicono qualcosa circa il controllo sul paese da parte dell’establishment che fa capo a Putin?

Direi di no, perché sono cose diverse. Prigozin era un contendente al Cremlino, quest’ultimo, come fa per tradizione da molti anni, ha eliminato i propri avversari. In questo momento non c’è neanche all’orizzonte la possibilità di un cambio della classe dirigente russa. La dinamica dell’attentato al Crocus City Hall, invece, è il classico schema di un attentato a matrice jihadista. Una cosa è il controllo della dissidenza, che lascia tracce, lascia messaggi sui social, produce documentazione. La dissidenza ha una sua visibilità che può essere intercettata. Il terrorismo no, perché si muove tra cellule chiuse, segrete tra di loro. Sono cose proprio diverse.

Dobbiamo aspettarci un inasprimento del conflitto in Ucraina?

I russi stanno cercando di distruggere l’Ucraina, peggio di quanto stanno facendo non saprei cosa potrebbero fare.

La Russia potrebbe ricorrere alle armi atomiche.

L’utilizzo dell’arma atomica ha una sua dinamica quando c’è una logica strategica e una logica sul terreno, in questo momento non avrebbe alcun senso.

Lei vede una strada, più o meno a breve termine, per ricomporre il quadro delle relazioni Russia-Occidente?

Assolutamente no. La mia sensazione, da Presidente del Centro Studi Internazionali, è che avremo uno scontro militare in Europa fra qualche tempo. I russi non hanno alcun interesse, alcun desiderio, alcuna voglia, di aprire un dialogo politico con l’Occidente, perché, altrimenti, sarebbe semplicissimo: fermi i combattimenti e ti ritiri. Stante che questa cosa non avviene e che i russi continuano a ripetere, come un mantra, che combattono per la denazificazione, la demilitarizzazione dei territori, non c’è alcuno spazio negoziale.

Da un lato abbiamo il rischio dell’imminenza di un conflitto in Europa, dall’altro, in caso di vittoria di Donald Trump, il possibile disimpegno degli USA nei confronti della NATO. Tutto questo quanto avvicina la fondazione di un esercito europeo?

Credo che l’esercito europeo sia al momento molto lontano. Molto, molto, molto lontano. Credo che l’Europa dovrà fare molto di più per occuparsi della propria difesa. Il che vuol dire apporti bilaterali o multilaterali tra i vari strati. L’esercito europeo, le forze armate europee prevedono che ci sia una governance europea. Ma senza un Presidente europeo, senza un ministro degli esteri europeo, di un ministro della difesa europea, di quale governance parliamo? Inoltre, credo che dovremmo fare una serissima riflessione e riconoscere che sia il momento di istituire, all’interno della Commissione europea, la figura di Commissario alla difesa. In questo modo inizieremmo in maniera reale a sincronizzare gli sforzi nella difesa e nell’industria della difesa perché ne abbiamo bisogno.

Quindi possiamo immaginare una sorta di NATO europea?

Per il momento no, perché la NATO è una struttura estremamente complessa. Penso che, se noi avessimo un Commissario europeo alla difesa potrebbe aiutare l’inizio di una reale governance della difesa. E poi credo che, nel prossimo futuro, la difesa europea sarà tanto più strutturata quanto i singoli Stati vorranno mettere a sistema con altri Stati. Quindi immagino un incremento delle relazioni bilaterali.

In quest’ottica possiamo leggere le esternazioni del presidente francese Macron?

Certo, sapendo i francesi che i rischi di un conflitto sono elevatissimi e che, probabilmente, potremmo non avere da parte degli Stati Uniti lo stesso supporto che abbiamo avuto sinora, i francesi si sono candidati a guidare una coalizione, dal punto di vista politico e militare. Questo è quello che ha fatto Parigi: è stata la prima nazione a parlare di un maggiore impegno nei confronti dell’Ucraina.

Con un intento di deterrenza.

Ovviamente, perché la speranza è che queste affermazioni rallentino la Russia, ma non succederà. Noi andiamo alla guerra, questa è la mia sensazione. E non perché lo vogliamo, ma perché pare che sia inevitabile dagli atteggiamenti dei russi. Mi preoccupa molto, invece, quando io sento dire non è il momento di parlare di guerra. Questo vuol dire che noi non siamo preparati psicologicamente e strutturalmente a un eventuale conflitto. Si ricordi che ieri il ministro della difesa Crosetto ha detto che noi non siamo preparati. Il fatto che noi non siamo preparati vuol dire che noi ci dobbiamo preparare. Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerne l’esistenza.

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