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L’intelligenza artificiale sarà distopica?

IA Distopia

L’IA non sostituirà l’uomo, ma comporterà una cambio di paradigma tale da rendere obsoleti tutti i modelli di partecipazione alla vita lavorativa per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. L’articolo di Paolo Passaro per Una certa idea di difesa, il nuovo quadrimestrale di Start Magazine

Siamo tutti immersi in una bolla nella quale l’improvviso erompere nella quotidianità di soluzioni tecnologiche a portata di mano (ChatGpt-3) per sperimentare di persona cosa sia davvero l’intelligenza artificiale (IA) ha prodotto un profondo impatto emotivo. Questa innovazione (conosciuta dagli addetti ai lavori) messa alla portata di tutti ha creato delle nette divisioni tra gli entusiasti del progresso infinito, i meravigliati, gli scettici, gli spaventati, gli agitatori di distopie da film di fantascienza, i preoccupati del futuro della loro professione e quelli che già preconizzano società umane nelle quali le facoltà intellettive saranno ridotte al minimo. 

Andando per ordine, va compreso prima di tutto cosa sia ChatGpt-3. In inglese chat sta per chiacchiera (ormai il termine lo abbiamo assimilato dai social) mentre Gpt (Generative Pre-trained Transformer)  è un modello di linguaggio di intelligenza artificiale in grado di generare testo in modo autonomo utilizzato per scopi quali la scrittura automatica, la traduzione automatica e la generazione di risposte a domande. Il numero 3 sta a identificare che siamo al terzo rilascio. 

Lo hanno elaborato all’interno della società americana Open IA, fondata nel 2015 da alcuni dei più importanti imprenditori e investitori del settore tecnologico, tra cui Elon Musk, Sam Altman e Ilya Sutskever. L’ambizioso obiettivo è quello di garantire che l’intelligenza artificiale vada a beneficio dell’umanità. Notizie recenti però ci dicono che non vi è perfetta identità di vedute tra gli scienziati. Parecchi di loro hanno scritto un appello perché la ricerca spasmodica di miglioramento degli algoritmi venga rallentata a favore di una più approfondita riflessione sulle conseguenze di tali strumenti per l’umanità. L’autorità garante per la privacy italiana ha addirittura inibito gli utenti italiani ad accedervi fintanto che non siano chiarite questioni che francamente appaiono  poco significative. Si può svuotare il mare con un cucchiaino?

L’Economist ha potuto vedere in anteprima i risultati di uno studio statunitense, in cui Ezra Karger della Federal Reserve di Chicago e Philip Tetlock dell’Università della Pennsylvania hanno messo a confronto le predizioni degli esperti di IA con un gruppo di super previsori, persone addestrate ad evitare pregiudizi cognitivi e forti di uno storico di previsioni azzeccate. In media, l’esperto crede che ci sia un 3,9% di possibilità che l’IA provochi una catastrofe esistenziale entro fine secolo, mentre il super previsore la colloca a 0,38%. Si pongono effettivamente delle questioni enormi che tuttavia vanno affrontate con un metodo analitico di osservazione e non sulla base di paure ancestrali determinate spesso da un fattore rilevante, in Italia: la scarsa o nulla cultura scientifica. 

In primo luogo deve essere sfatata la suggestione della macchina senziente. Ovvero che l’algoritmo di ChatGpt sia davvero in grado di pensare come una persona umana. Nulla di tutto questo. Attualmente ChatGpt è un generatore di testi che vengono redatti mediante l’utilizzo di miliardi di dati, presi principalmente dal web, che sono stati incamerati e che vengono statisticamente ordinati (così come il software è stato addestrato a fare) per elaborare delle risposte alle richieste degli utilizzatori che siano coerenti e appropriate. Così appropriate da apparire prodigiose. In realtà hanno poco di prodigioso se non la velocità con la quale procede il progresso delle conoscenze e la raffinazione degli algoritmi. L’enorme investimento in questo settore con miliardi di dollari da tutto il pianeta comporta un progressivo aumento del ritmo della corsa alla scoperta, ad andare sempre un po’ oltre il livello appena raggiunto. Può la tecnologia sfuggire di mano? L’impressione è che ci sia molta suggestione. Non sarà questa l’intelligenza artificiale che sostituirà l’uomo ma sicuramente comporterà una cambio di paradigma tale da rendere improvvisamente obsoleti tutti i modelli di partecipazione alla vita lavorativa per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. 

Scrive il Financial Times: “Proprio come le macchine hanno aumentato i muscoli nella rivoluzione industriale, così l’intelligenza artificiale può aumentare le capacità intellettuali nella rivoluzione cognitiva”. Il passaggio non sarà privo di incognite e di asperità. La prestigiosa banca di affari Goldman Sachs ha stimato che in una prima fase l’intervento massiccio della rivoluzione cognitiva dell’intelligenza artificiale generativa potrebbe comportare la sostituzione di circa il 18 % della forza lavoro globale pari a 300 milioni di persone. E prevede nello stesso tempo un incremento del Pil mondiale del 7 %, a maggior riprova che il Pil non sia esattamente l’indicatore più appropriato per esprimere il benessere della popolazione. Si tratta comunque di vaticini. Nessuno può veramente sapere l’impatto effettivo della messa a disposizione su larga scala di un simile strumento. Si deve ragionare in che maniera modificare il modello lavorativo per moltiplicare la potenza unica dell’intervento umano sui processi gestiti a livello più basso dall’intelligenza artificiale che, a quel punto, sarebbe davvero un potente trasformatore delle brillanti idee umane in un prodotto intellettuale immediatamente utilizzabile. 

Per governare il processo ci vorrà più intelligenza (umana), più preparazione, più consapevolezza in grado di fare sintesi di stratificazioni culturali profondissime. La prima ragione è quella intuita con anticipo di decine di anni da Pablo Picasso quando disse: “I computer sono inutili. Ti sanno dare solo risposte”. La tecnologia, fosse anche il loquace ChatGpt, rimane muta se non la si interroga, e per interrogarla servono le domande e le domande sono stimolate da una cosa molto precisa: la curiosità verso ciò che non si conosce. Il punto è che la curiosità è una caratteristica molto umana. In questo senso, a fare la differenza nel mondo dell’IA di massa sarà la capacità di fare domande e soprattutto la capacità di fare domande alle quali l’IA non è in grado di rispondere per raggiungerne i limiti. 

La seconda ragione è che a noi esseri umani piacciono le cose fatte da altri esseri umani. La vera discriminante sarà pertanto una formazione improntata a sviluppare cognizioni che adesso non vengono privilegiate. La scuola e l’università dovranno rivoluzionare il metodo di insegnamento che dovrà essere poco o nulla nozionistico (a cosa serve ricordare elenchi di informazioni che potrò avere sottomano in millesimi di secondo?) e tutto improntato a sviluppare le capacità di analisi dei dati, a trarre le conseguenze, la sintesi, della raccolta istantanea dei testi che potrà fare un qualsiasi ChatGpt o come si chiamerà in futuro. L’impatto maggiore nel campo del lavoro sarà nelle professioni intellettuali e nei servizi, all’interno delle aziende come nelle professioni. Nell’interessante libro Competing in the Age of AI (2020) scritto da Marco Iansiti e Karim R. Lakhani, due autorevoli studiosi della Harvard Business School, viene esaminato in profondità l’impatto dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie digitali sull’economia globale, le strategie aziendali e i modelli di business. In primis, gli autori spiegano che l’IA sta rivoluzionando, già oggi,  settori quali la produzione, il servizio clienti e la gestione delle risorse umane. L’IA, infatti, genera e utilizza enormi volumi di dati provenienti da diverse fonti, che devono essere processati e analizzati per estrarre informazioni utili e prendere decisioni informate. Un punto cruciale che gli autori sottolineano è l’importanza della collaborazione per le aziende nell’era dell’intelligenza artificiale. Le organizzazioni devono lavorare insieme ad altre imprese, istituzioni accademiche e organismi di ricerca per condividere conoscenze, risorse e competenze nel campo dell’IA. Questo approccio collaborativo può accelerare lo sviluppo e l’adozione dell’intelligenza artificiale di massa permettendo alle aziende, ai professionisti, di beneficiare di sinergie e di accedere a nuovi mercati e tecnologie. Inoltre, la collaborazione può aiutare gli attori del mercato a mitigare i rischi associati e a garantire una maggiore responsabilità etica nell’uso di tali tecnologie.

 

Paolo Passaro, economista aziendale, esperto di finanza agevolata e di tematiche legate allo sviluppo dei territori e delle imprese.

 

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