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Mateusz Morawiecki, Petr Fiala e Janez Jansa: chi sono i leader europei a Kiev

Mateusz Morawiecki, Petr Fiala E Janez Jansa

Mateusz Morawiecki, Petr Fiala e Janez Jansa andranno a Kiev per incontrare il presidente ucraino, stretto nella morsa dell’assedio russo

Questa nuova giornata di guerra, che si è aperta con altri bombardamenti sulla capitale ucraina, lascia spazio a un segnale di speranza inatteso: i capi di governo polacco, ceco e sloveno si recheranno infatti oggi a Kiev in qualità di rappresentanti del Consiglio europeo per affermare “l’inequivocabile sostegno” dell’Unione europea all’Ucraina. Lo ha reso noto il governo polacco in una nota. Mateusz Morawiecki, Petr Fiala e Janez Jansa “andranno oggi a Kiev come rappresentanti del Consiglio europeo, per incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro Denys Chmygal“.

 

Duplice l’obiettivo: da un lato, come affermano i tre primi ministri nella dichiarazione congiunta, “riaffermare il sostegno inequivocabile dell’intera Unione Europea alla sovranità e all’indipendenza dell’Ucraina e presentare un pacchetto completo di misure a sostegno dello Stato e della società ucraina”, dall’altro fornire un inequivocabile cordone di protezione umanitario e politico a Volodymyr Zelensky, proprio nelle ore in cui l’assedio russo si fa più stringente. La presenza della delegazione dovrebbe infatti comportare lo stop dei bombardamenti russi sulla capitale.-

Chi sono Mateusz Morawiecki, Petr Fiala e Janez Jansa

Il primo ministro della Slovenia, Janez Jansa, è noto soprattutto per le sue posizioni anti – migranti, anti – Soros e anti europeiste. Ha infatti attaccato a più riprese Bruxelles accusandola di esondare dagli argini dei Trattati. Aveva fatto rumore la notizia delle improvvise dimissioni, lo scorso 30 settembre, del direttore dell’agenzia di stampa slovena STA, andato via in aperta polemica col governo Janša, accusato dal giornalista di aver tentato di “condizionare l’agenzia” bloccando i finanziamenti pubblici. Anche quell’occasione si era trasformata in un nuovo fronte tra Lubiana e Bruxelles.

 


Janša pare aver dimenticato quando a chiedere libertà di stampae a scrivere articoli di contestazione era lui , soprattutto contro l’Armata popolare di Jugoslavia. Articoli che gli valsero persino qualche mese di detenzione. Nel 1989 ha co-fondato il partito di opposizione Unione democratica slovena (SDZ), per poi essere eletto ministro della Difesa del nuovo governo democratico (1990). Ha mantenuto l’incarico sino al 1994, quando è stato costretto alle dimissioni perché accusato di aver consentito ai militari di interferire nella sfera civile: è stato poi assolto.

Uomo di destra, eletto presidente del Partito socialdemocratico di Slovenia (poi diventato Partito Democratico Sloveno, SDS) nel 1993, alle elezioni generali del 2004 è stato nominato Primo ministro, rimanendo in carica sino al 2008. Passato all’opposizione, alle elezioni parlamentari del dicembre 2011 l’SDS ha ottenuto il 26,26% delle preferenze (e 26 seggi in Parlamento) contro il 28,53% di Slovenia positiva (partito di centrosinistra guidato da Z. Jankovic). Tuttavia, i 28 seggi in Parlamento conquistati da Slovenia positiva non sono stati sufficienti a garantire la maggioranza al partito. Qui si è verificato un passaggio curioso, che ha visto contrapporsi due istituzioni: in mancanza di una solida coalizione di sinistra, il Parlamento ha infatti affidato nuovamente a Jansa il compito di formare un nuovo esecutivo, nonostante l’opposizione del presidente della Repubblica Türk.

È rimasto Primo ministro per un anno, dal 2012 al febbraio 2013, quando si è dovuto dimettere a seguito delle accuse di corruzione e irregolarità fiscali. Le accuse comunque non ne hanno eroso la popolarità, e infatti Jansa, complice la debolezza storica delle formazioni rivali, ha vinto le elezioni anticipate del giugno successivo ed è tornato a ricoprire la carica di Primo ministro nel marzo 2020, subentrando al dimissionario Šarec. Qui, però, ha avviato la costruzione di quello che pare un regime politico sempre più autoritario in perenne lotta coi media, attenzionato a più riprese dall’Ue. In tutta risposta, lo scorso anno Janša ha accusato su Twitter la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, di fare parte del “network delle fake news”.

Leggi anche: La questione dello Stato di Diritto nell’Unione europea

 


Anche la Polonia di Mateusz Jakub Morawiecki è ostile a Bruxelles e messa sotto la lente della Commissione per il tema dei diritti umani. Recentemente, la Corte di giustizia europea, riunita in seduta plenaria, ha respinto i ricorsi proposti dall’Ungheria di Viktor Orban e dalla Polonia contro il meccanismo di condizionalità che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte degli Stati membri dei principi dello Stato di diritto.

In quell’occasione, il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro aveva tuonato: “Parliamo di potenza bruta e del suo trasferimento a chi, con il pretesto dello stato di diritto, vuole esercitare questo potere a spese degli Stati membri”, aggiungendosi al coro di polemiche degli altri esponenti del governo polacco. “Quello che serve oggi è l’unità di fronte all’attacco alla nostra sovranità – ha scritto sul suo profilo Twitter il vice ministro della Giustizia Sebastian Kaleta – La Polonia deve difendere la sua democrazia contro il ricatto che punta a privarci del nostro diritto all’autodeterminazione”, aveva concluso l’esponente del governo guidato da Mateusz Morawiecki. La Polonia aveva poi minacciato che, in caso di congelamento dei finanziamenti, avrebbe valutato l’interruzione del versamento dei contributi all’Unione europea. “Se i fondi per la Polonia vengono bloccati, potremo sospenderemo i contributi” dovuti come Paese membro dell’Ue, aveva infatti detto Kaleta.

Morawiecki, diventato Primo ministro della Polonia nel dicembre 2017, a seguito delle dimissioni della premier Szydlo, è tra i Ventisette il leader che ha alzato maggiormente la voce contro Vladimir Putin e la sua avanzata in Ucraina, dicendo che “va fermato subito” e lasciandosi pure scappare che il tempo per la diplomazia sarebbe finito. La Polonia, del resto, teme di essere messa nel mirino da Mosca. Economista e manager. figlio d’arte di Kornel Morawiecki, fondatore del ramo radicale di Solidarnosc, dopo la laurea in Storia presso l’Università di Breslavia ha compiuto studi di economia e diritto negli Stati Uniti, in Svizzera e Germania. Banchiere d’affari, presidente della Banca Zachodni WBK del gruppo Santander, Morawiecki è membro del partito di ispirazione conservatrice-clericale Diritto e giustizia; nel 2015 è stato nominato ministro dello Sviluppo e vice premier nel governo Szydlo, per assumere l’anno successivo la carica di ministro delle Finanze. Delfino di Jarosław Aleksander Kaczyński, gli è subentrato nella carica.

 


Di tutt’altro schieramento, invece, Petr Fiala, proclamato premier della Repubblica ceca il 28 novembre 2011. Leader del Partito civico democratico (Ods), Fiala è un europeista convinto, sebbene alterni ogni tanto posizioni più convinte ad altre maggiormente pessimistiche.

Già prima della propria elezione, aveva detto dii volersi opporre ai legami troppo stretti del gruppo Viségrad con russi e cinesi.  Cattolico, battezzato nel 1979 all’età di 22 anni, quando esserlo costituiva un segno di dissenso contro il comunismo, Fiala è nato in una famiglia ebraica e figlio di un sopravvissuto all’Olocausto. Il padre, tornato vivo dai lager nazisti si iscrisse al Partito comunista ma strappò la tessera pochi anni più tardi, dopo l’invasione russa dell’Ungheria.

Accademico, autore di diversi libri – l’ultimo La nostra vita ai tempi del Covid – lo scorso autunno è riuscito a unire tutte le forze democratiche e filooccidentali (Ods, democristiani, Pirati -simili ai nostri M5S e Verdi – e il partito dei sindaci democratici e filo-occidentali) conquistando una solida maggioranza di 108 seggi su 200. Rispetto ai suoi compagni di viaggio verso Kiev, Fiala ha messo la tutela dei diritti umani al vertice della propria agenda politica, ma la comune ostilità a Putin e alla sua invasione dell’Ucraina sta facendo anche questo: creando insolite alleanze e, soprattutto, ricompattando il fronte Est dell’Ue, che andava sfilacciandosi.

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