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Patto di stabilità Ue, ecco come Gentiloni e Giorgetti hanno ‘unito’ tutta la politica italiana
Riforma del Patto di stabilità e crescita: il sì di Strasburgo chiede sacrifici all’Italia. Astensione di FdI, FI, Pd e Lega, voto contrario del M5S. L’opposizione chiede le dimissioni del ministro Giorgetti
Anche Strasburgo mette la firma sulla riforma del Patto di stabilità e crescita. La novità regolatoria passa senza i voti degli europarlamentari italiani della maggioranza e di parte dell’opposizione. Ad astenersi sono stati i rappresentanti europei di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Partito democratico. Per quest’ultimi il Patto votato dall’Eurocamera è “eccessivamente peggiorativo non soltanto rispetto alla proposta originaria del Commissario Gentiloni” ma anche “della posizione del Parlamento Europeo, specialmente se guardiamo agli interessi dell’Italia”. Tutti i partiti italiani non hanno votato il testo al Parlamento europeo (tra astenuti e contrari), tanto da far dire al compiaciuto commissario Gentiloni di avere «unito tutta la politica italiana».
RIFORMA PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA: RIDUZIONE DEL DEBITO DI 1% ANNUO PER I GRANDI DEBITORI
Il testo votato dall’Eurocamera è quello frutto dell’accordo interistituzionale concordato lo scorso febbraio al termine di una riunione fiume durata oltre 12 ore. Il nuovo Patto di stabilità e crescita non cambia l’impianto base e gli standard numerici che i Paesi membri sono tenuti a rispettare. Resta il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL e del 60 per cento nel rapporto debito/PIL. Quello che cambia è il percorso di rientro dal debito che i 27 dovranno rispettare. E riguardano molto da vicino il nostro Paese. Infatti, gli Stati con un rapporto debito/Pil superiore al 90 per cento dovranno impegnarsi a tagliarlo ogni anno dell’1 per cento. Rientrano in questa categoria l’Italia (rapporto debito/Pil al 137,3%), il Belgio, la Francia, la Grecia e il Portogallo.
TAGLI DELLO 0,5% ANNUO PER I PAESI VIRTUOSI
I più virtuosi, invece, con un debito/Pil tra il 60 e il 90 per cento dovranno procedere con tagli dello 0,5 per cento l’anno. Tra questi vi sono la Germania, l’Austria, i Paesi Bassi e l’Irlanda. I paesi chiamati a ridurre la propria posizione debitoria dovranno farlo attraverso piani di rientro della durata di quattro anni, che possono arrivare fino a sette se gli stessi mettono in cantiere riforme in grado di migliorare il potenziale di crescita e la sostenibilità dei conti pubblici. La possibilità di scostamento viene concessa solo per casi eccezionali.
RIFORMA PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA: IL TAGLIO DEL RAPPORTO DEFICIT/PIL
Passa con voto favorevole dell’Eurocamera anche la seconda salvaguardia, che chiede di creare margini di spesa preventivi e, ai Paesi che, come l’Italia, sforano il tetto del 3 per cento del rapporto deficit/PIL di ridurlo. In questo modo riusciranno a creare margine di manovra dell’1,5% per rispondere ad eventuali improvvisi shock, senza stressare eccessivamente i conti pubblici.
PD E M5S CHIEDONO LE DIMISSIONI DEL MINISTRO GIORGETTI
Come anticipato gli europarlamentari della maggioranza di governo italiana si sono astenuti dal voto ma hanno votato contro l’emendamento che proponeva di respingerlo. Il M5S, invece, ha votato contro la riforma del Patto di stabilità. La posizione degli europarlamentari di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia fa chiedere al capo delegazione del Partito democratico Brando Benifei le dimissioni del titolare del Tesoro. “L’astensione di tutte le forze politiche della maggioranza di centrodestra al Parlamento europeo ha del clamoroso – dice Benifei -, e sconfessa ufficialmente l’operato del governo Meloni e del Ministro Giorgetti, che dovrebbe trarne le conseguenze del caso”.
A chiedere le dimissioni di Giorgetti anche il M5S. “La votazione odierna del Parlamento europeo sul Patto di stabilità e crescita sancisce in maniera perentoria l’austerità per i prossimi anni. Su questo c’è una responsabilità del ministro Giorgetti, che di fatto è stato sfiduciato dalla sua maggioranza con l’astensione odierna – dice il deputato del M5s Filippo Scerra. Ma c’è anche una responsabilità della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che cerca di nascondere i suoi fallimenti. Per questo chiediamo che proprio la presidente riferisca alla Camera”.
LE CONSIDERAZIONI DELLA COMMISSIONE EUROPEA SULLA POSIZIONE DEBITORIA DELL’ITALIA
“L’economia italiana è stata a lungo caratterizzata da un debito pubblico elevato e da una debole crescita della produttività, in un contesto di fragilità del mercato del lavoro e di alcune debolezze nel settore finanziario – scrive la Commissione europea Commissione europea nell’ambito della procedura per squilibri macroeconomici -. Il rapporto debito pubblico/PIL dell’Italia è notevolmente diminuito negli ultimi anni sulla scia dell’elevata crescita del PIL reale e dell’inflazione. Tuttavia, nonostante gli elevati deficit di bilancio, è rimasta una delle principali vulnerabilità per l’economia italiana”.
Il debito pubblico del nostro paese è il secondo più pesante, dopo quello greco. “Il rapporto debito pubblico/Pil – continua la Commissione – è diminuito negli ultimi anni partendo da un livello molto elevato, ma si prevede che aumenterà leggermente nel 2024 e nel 2025. Il rapporto debito pubblico/PIL dell’Italia ha raggiunto il picco nel 2020 al 154,9% del PIL, rispetto al 134,2% del PIL. nel 2019. Nei successivi 3 anni, il rapporto debito/PIL è diminuito notevolmente arrivando al 139,8% del PIL nel 2023 (137,3% secondo i dati diffusi dall’Istituto Nazionale di Statistica l’1.3.2024)”.
Nel mirino della Commissione finisce la riforma per l’autonomia differenziata. “La riforma delle autonomie differenziate regionali, attualmente in discussione in Parlamento, rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di tenere sotto controllo la spesa pubblica nazionale”, conclude Bruxelles.