La maturità dell’Ue passa dalla capacità di sviluppare una politica di difesa europea autonoma e indipendente dall’alleato americano. Il presidente Macron si è candidato a guidare questa transizione. Vediamo quanto spende, ad oggi, l’Ue per difendersi
“Dobbiamo essere lucidi sul fatto che la nostra Europa non è immortale. Può morire. E dipende soltanto dalle nostre scelte”. Queste parole, usate dal presidente francese Emmanuel Macron nel corso del suodiscorso all’università La Sorbona di Parigi, gli sono servite a disegnare il contesto per un affondo dirompente. Nel corso di un’intervista il Presidente Macron ha aperto, senza giri di parole, all’impiego della forza difensiva nucleare francese con finalità deterrenti. Il nemico, immediato, è la Russia ma allungando lo sguardo più a est, la traiettoria retorica di Macron incontra anche la Cina.
LA FRANCIA GUIDA LA DIFESA EUROPEA
“Sono favorevole ad aprire questo dibattito, che deve includere la difesa missilistica, le armi a lungo raggio, le armi nucleari per chi le ha o per chi ha armi nucleari americane sul proprio territorio – ha detto il capo di Stato francese -. Mettiamo tutto sul tavolo e guardiamo a ciò che ci protegge davvero in modo credibile. La Francia manterrà la sua specificità ma è pronta a contribuire maggiormente alla difesa del suolo europeo”. Da tempo Macron sta ritagliando per sé, e per il suo paese, il ruolo di leader della nuova, inedita, stagione della difesa comune europea. Del resto, la Brexit ha lasciato sola la Francia nella gestione di un arsenale di deterrenza nucleare.
Ma se gli annunci di Macron sono roboanti lo stesso non si può dire degli impegni economici dei 27 nel capitolo della difesa. Con la Dichiarazione di Versailles, adottata poche settimane dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022, gli Stati membri dell’Unione europea si sono impegnati tra le altre cose ad assumere “maggiori responsabilità per la propria sicurezza”, a partire dal rafforzamento delle capacità difensive.
LA DIFESA EUROPEA VALE L’1,2% DEL PIL
Il bilancio pluriennale dell’Ue per il periodo 2021-2027 ha fissato in circa 13 miliardi di euro le spese in sicurezza e difesa, appena l’1,2 per cento PIL Ue. Un livello di investimenti marginale che trova la sua motivazione nel fatto che la politica di sicurezza e difesa è sostanzialmente a carico degli Stati membri. Tuttavia, dopo l’invasione russa dell’Ucraina gli Stati membri hanno investito maggiori risorse nelle spese militari arrivando a spendere un totale di circa 240 miliardi di euro nel 2022. La spesa media per i dispositivi militari nei Paesi Ue è circa l’1,5 per cento del Pil e il nostro paese è in linea con la media europea. Molto meglio fa la Grecia che destina il 3,9 per cento.
POLITICA DI DIFESA: I PASSI DELL’UE VERSO LA RESPONSABILITÀ
La Nato ha chiesto all’Ue di mettere mano al portafogli e di investire non meno del 2% del Pil in spese militari. Un traguardo ancora lontano ma qualcosa si sta muovendo. Obiettivo primario dell’Ue, ora, è agire in maniera più coordinata e davvero congiunta. Come rileva report dell’Agenzia europea per la difesa (AED), solo il 18% delle risorse impiegate è convogliata verso progetti congiunti di difesa. Il Fondo europeo per la difesa (FED) è uno dei tasselli della nuova strategia di difesa comune europea. Il Fondo finanzia la ricerca e lo sviluppo di tecnologie e attrezzature, integrando gli investimenti degli Stati membri. Nel periodo 2021-2027 il FED ha stanziato 7,9 miliardi di euro da ripartire tra 17 aree d’azione.
Un altro mattoncino è costituito dal regolamento Asap (Act in Support of Ammunition Production). Dallo scorso luglio ha finanziato, con 500 milioni di euro provenienti dal bilancio comunitario, la produzione di missili e munizioni. A questo si aggiunge lo Strategic Compass, il piano d’azione approvato dal Consiglio dell’Ue nel marzo 2022 che prevede la capacità di dispiegare, con rapidità, 5mila soldati (Rapid Deployment Capacity, RDC). Infine, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha annunciato la nomina di un commissario alla difesa se sarà confermata alla guida della Commissione dopo le elezioni di giugno.
LA TASSA EUROPEA PER LA SECONDA GUERRA FREDDA
L’economista Alessandro Penati su Domani chiama questo momento storico “Seconda Guerra Fredda”. In questa fase si inserisce il disimpegno degli USA nei confronti dell’Europa perché “ormai è la Cina, non la Russia, il centro dell’asse”. Per questo il nostro continente per evitare di divenire irrilevante finendo schiacciata tra i due giganti dovrà “decidere per una difesa comune, che potrebbe essere finanziata solo con debito comune”.
Una sfida molto complessa per l’Europa alle prese con l’inverno demografico “che pone sulle spalle dei giovani il costo crescente del welfare di una popolazione che invecchia rapidamente”, la dipendenza energetica da Russia e Medio Oriente a cui si aggiunge “il maggior onere del costo della transizione ambientale” vista come “unica via per l’autonomia energetica”. Insomma, la “tassa per la seconda guerra fredda” che il nostro paese si appresta a pagare potrebbe essere molto, forse troppo, salata per le tasche degli europei che, dal crollo dell’Unione sovietica, avevano dato per scontato il “dividendo della pace”.
GLI USA DOVREBBERO ARRIVARE A SPENDERE IL 7% DEL PIL IN ARMI
Oggi gli USA spendono il 3 per cento del PIL per la difesa e l’economista stima che se “l’«impero americano» non vorrà vedere la sua influenza drasticamente ridotta” dovrà destinare alla difesa almeno il “7 per cento del PIL”. L’economia europea dovrà confrontarsi con un crescente aumento dei dazi per i prodotti cinesi che, negli ultimi decenni, sono diventati concorrenti delle nostre produzioni. I dazi faranno crescere i prezzi “dei prodotti più economici, contribuendo ad aumentare l’inflazione” e penalizzando il commercio internazionale, fattore su cui l’UE aveva scommesso. “La SGF richiederebbe almeno una riflessione critica sul dogma del 2 per cento di inflazione (perché non una banda 1-3 per cento?) e del patto di stabilità (a quando il finanziamento comune dei programmi per difesa, ambiente e innovazione tecnologica?), di cui però c’è solo qualche labile traccia”, conclude Penati.