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Incoronazione di Re Carlo III: “Vi racconto come sarà il suo regno”. Parla Antonio Caprarica

Re Carlo

Conversazione con il giornalista e scrittore Antonio Caprarica, esperto di storia e cultura del Regno Unito, sull’incoronazione di Re Carlo III

Domani Carlo III sarà incoronato Re. Un’investitura formale, poiché l’Inghilterra ha un nuovo sovrano dal giorno della morte della Regina Elisabetta II, che incorona il più anziano erede al trono britannico, e sua moglie Camilla come Regina consorte. Buckingham Palace ha spiegato che nell’Abbazia di Westminster andrà in scena una cerimonia che farà riflettere sul ruolo del sovrano in epoca moderna, Re di un popolo multiculturale e multietnico.

Dell’incoronazione di Re Carlo ne abbiamo parlato con il giornalista e scrittore Antonio Caprarica, in libreria con “Carlo III. Il destino della corona” (ed Sperling & Kupfer).

 Quali saranno, secondo lei, i temi che caratterizzeranno il regno di Re Carlo?

Io penso che i temi fondamentali saranno due: ambiente, o se vuole sostenibilità, da un lato e il secondo sarà l’inclusività. Carlo è un uomo molto colto, molto preparato e anche intelligente, forse uno dei pochi in una dinastia, come quella di Windsor, che non annovera grandi intellettuali. Si può dire che Carlo è il più preparato e forse il più intelligente dei sovrani che si sono succeduti in questi 200 anni. È perfettamente consapevole delle sfide del nostro tempo.

L’ambiente è un tema caro a Re Carlo, anche quando non era “di moda”,

Lui è stato uno degli anticipatori, lo scrivo nel libro (Carlo III. Il destino della corona, ed Sperling & Kupfer), lo prendevano anche in giro, dicevano fosse un profeta di sciagure quando richiamava l’allarme sui guasti, forse irreparabili, che stavamo arrecando all’ambiente in cui viviamo.

In che modo affronterà il tema dell’inclusività?

L’inclusività ha a che fare con i cambiamenti radicali dell’Inghilterra nell’arco degli ultimi settant’anni. Nel 1948 l’Inghilterra ancora negava l’ingresso nel paese ai 450 profughi giamaicani della Windrush, una pagina drammatica della immigrazione in Gran Bretagna. Nell’arco dei settant’anni successivi 18% degli inglesi è di un’altra etnia; quindi, si può dire che in Europa la Gran Bretagna sia il paese a maggiore densità multietnica e dove quasi 1/5 degli abitanti non è inglese di origine, ciononostante si sentono pienamente integrati nella società britannica e sono orgogliosi della loro britannica. È chiaro che la massima istituzione del paese si ponga il problema di come rendere evidente a tutti che la società britannica è aperta, disponibile e inclusiva anche ai livelli più alti e sugli scalini più alti della piramide sociale.

Lo stesso Rishi Sunak, il Premier inglese, è di origine indiana.

Certo, basta citare il Premier inglese o il sindaco di Londra, che è di origine pakistana, il ministro degli Esteri James Cleverly che è afro-inglese per così dire e potremmo andare avanti. Quindi la preoccupazione di Re Carlo, ed è certamente un tratto assolutamente lodevole, è di avere una cerimonia dell’incoronazione che rifletta questa nuova Inghilterra. La differenza non potrebbe essere più abissale e più visibile, sarà sotto i nostri occhi durante la cerimonia dell’incoronazione: al posto degli 8000 invitati, nel 99% bianchi e nobili che affollavano la Westminster Abbey per l’incoronazione di Elisabetta, avremo solamente 2000 invitati e di questi una larga parte apparterranno a minoranze etniche, e una larga parte, anche di coloro chiamati a svolgere un ruolo nella funzione, più o meno sacra dell’incoronazione, sono donne oppure appartengono a minoranze etniche, oppure l’una e l’altra cosa assieme.

Ci fa un esempio?

Sì, per esempio a consegnare al Re lo Scettro della colomba, che è uno dei due scettri che vengono dati al Re al momento dell’incoronazione, sarà per la baronessa Floella Benjamin, che arriva da Trinidad & Tobago. E poi ancora sarà Elizabeth Anionwu, un’ex infermiera di origine nigeriana a consegnare al Re il globo, che uno dei simboli del suo potere, e poi ci saranno anche altri esponenti delle minoranze etniche o religiose a consegnare al Re altri importanti simboli delle insegne regali. Quindi c’è un abisso rispetto all’incoronazione del ‘53 quanto in tutti i ruoli c’erano maschi bianchi e nobili.

Secondo lei in che modo Re Carlo curerà i rapporti con il Commonwealth?

Questo è un punto abbastanza complicato, intanto perché i rapporti tra Carlo e il Commonwealth non sono mai stati idilliaci, nel senso che Carlo è sempre stato piuttosto distratto rispetto a questa entità che rappresentava, invece, un punto fondamentale e focale dell’attenzione della madre. Il suo stesso ruolo di leader del Commonwealth non sarebbe arrivato se non ci fosse stato un intervento diretto e deciso di Elisabetta II. Oggi, però, si trova a ricoprire questo ruolo, ed è chiaro che cercherà di rallentare quello che appare gli osservatori esterni un inevitabile processo di sfaldamento di questa comunità.

Il Commonwealth è una comunità molto lasca, molto vaga, non è una comunità politica, non è una comunità economica tant’è che oggi, dopo la Brexit, la Gran Bretagna sta cercando di stipulare accordi commerciali diretti con ognuna delle entità che costituiscono il Commonwealth; quindi, in realtà è una specie di ircocervo che serve soprattutto alla Gran Bretagna come promemoria della grande potenza imperiale che è stata fino al 1947.

È chiaro che deve esserci un’evoluzione anche nei rapporti con il Commonwealth, dove, peraltro, la spinta, da parte di quella manciata di ex Dominion che ancora riconoscono il Re d’Inghilterra come proprio Capo di Stato, a liberarsene è molto forte, la prossima, con ogni evidenza, sarà la Giamaica. Quindi bisognerà fare uno sforzo di fantasia parte di Carlo per riuscire a collocare la monarchia inglese al centro di questa tela che ha però una forte tendenza a frangiarsi.

In che modo si sposerà l’apertura di Re Carlo III alle diverse fedi religiose con il suo ruolo di capo della chiesa anglicana?

Proprio su questo punto c’è stata qualche frizione, forse anche una qualche tensione, tra il Palazzo Reale e il primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo di Canterbury. Perché è vero che Carlo è il capo della Chiesa d’Inghilterra ma il capo in materia temporale, perché la leadership spirituale è riservata all’arcivescovo di Canterbury. L’incoronazione è una cerimonia interamente cristiana, è qualcosa che ha a che fare con la storia dell’Europa cristiana e medievale, la prima incoronazione inglese di cui abbiamo notizia è quella di Re Edgard del 973 ed è sempre stata una cerimonia fondamentalmente sacra, che viene inserita all’interno del rito cristiano della eucarestia, e quindi del sovrano che entra in comunione con Dio che è il suo sovrano e si impegna con lui a essere un buon pastore delle sue pecore in terra.

Ora questa cerimonia, intimamente cristiana, verrà intrecciata con l’arrivo e la presenza di altre fedi, che formeranno una vera e propria professione delle fedi nel corpo della cerimonia religiosa, in cui ci saranno esponenti dell’ebraismo, dell’islam, dei Sikh, che sono una comunità importante in Gran Bretagna. Ecco che tutto questo accada nel pieno di una cerimonia cristiana, inevitabilmente, suscita qualche perplessità e qualche tensione con la Chiesa anglicana il cui numero di fedeli peraltro va vistosamente declinando di giorno in giorno.

Ormai siamo al punto che gli anglicani che frequentano le funzioni domenicali non sono più di un milione una volta o due volte al mese. D’altro canto, è vero che Carlo ha chiarito, già molto tempo fa, proprio per l’imprinting multietnico e multiculturale della sua formazione, che lui al titolo di defensor fidei, difensore della fede che fu dato da Leone X a Enrico VIII, preferisce il titolo di difensore delle fedi non di una sola fede.

I dissidi familiari tra Re Carlo III e il secondo figlio Henry, e tra l’erede al trono William e il fratello, possono avere ripercussioni di carattere politico?

È inevitabile. Henry può benissimo decidere di andarsene al Polo Sud invece che in California, però se volesse davvero trovare la libertà dovrebbe dire “io rinuncio ai miei diritti di successione lo stesso vale per i miei figli e discendenti”. Finché invece Henry questo non lo fa, segno che in realtà non ha nessuna intenzione di rompere veramente con la famiglia reale, e che trova più conveniente cercare di tenere i piedi in due scarpe, qualunque cosa faccia Harry ha una rilevanza costituzionale, perché lui è quinto in linea di successione e i suoi figli sono sesti e settimi.

Ora, per quanto sia improbabile che possa esserci un’epidemia di peste che spazzi via tutti gli eredi aprendo la strada a Henry e ai suoi discendenti, la realtà è che Henry, per quanto duca americano, ha ancora una rilevanza costituzionale in Gran Bretagna; quindi, qualunque cosa lui faccia ha un impatto sulla vita della famiglia e della monarchia. Questa è la ragione per la quale Carlo sta cercando di svolgere un ruolo di pacificatore che mi pare però molto complicato.

Quanto importante sarà il ruolo della Regina consorte Camilla? Affronta l’argomento nel suo libro?

Lo è già molto importante. Nel libro “Carlo III. Il destino della corona” (ed Sperling & Kupfer) racconto come la vita di Carlo, pagina per pagina, riga per riga, sia intessuta con quella di Camilla. Lei è la presenza permanente nella vita di Carlo. Tutti si concentrano sull’attesa di Carlo per il trono, e tralasciano la circostanza che Carlo ha aspettato qualcosa come 33 anni per portare, finalmente, all’altare la donna che lui voleva e che non aveva potuto avere quando erano giovani. Sono passati trent’anni in cui lui ha aspettato di realizzare i suoi progetti, i suoi sogni con questa donna. Io dico sempre che Carlo è stato fedele tutta la vita a una sola donna, purtroppo non era la moglie. E questo generalmente viene condannato.

Quindi il ruolo di Camilla è sempre stato decisivo. Camilla, a differenza di Carlo, non è un intellettuale però condivide con Carlo l’amore per la campagna, per la natura, per i cavalli, per il polo, hanno lo stesso senso dello humor. La presenza di Camilla è stata decisiva per la stabilizzazione del carattere di Carlo, per dargli finalmente quella sensazione di certezza, di sicurezza, di destino che gli è sfuggita in un’infanzia e un’adolescenza molto tormentata, perché è stata molto introversa, segnata da episodi di bullismo, sia in famiglia che nelle scuole che ha frequentato.

Insomma, Carlo è un uomo che ha faticato a scoprire il proprio sé profondo, e in questa scoperta credo che Camilla abbia avuto un ruolo fondamentale. A parte il fatto che l’unica persona al mondo in grado di sgonfiare la prosopopea di cui ogni tanto Carlo rimane vittima, ed è l’unica in grado di dirgli ‘Ma dai falla finita e portami un gin tonic’. Ecco è questo lui l’accetta solo da lei.

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