Continua la battaglia di Trump a suon di ordini esecutivi contro gli organismi internazionali che…
Tregua a Gaza: c’è il sì. Un percorso a ostacoli in tre fasi

Il lavorio diplomatico multinazionale ha raggiunto, finalmente, il traguardo della tregua a Gaza. Nei negoziati sono stati impegnati il Qatar, l’Egitto e, chiaramente, gli Stati Uniti d’America. Il piano firmato è analogo a quello di maggio presentato dal Presidente Joe Biden ma il presidente eletto Donald Trump si è già intestato il risultato
È arrivato, finalmente, il sì alla tregua alla guerra tra Israele e Hamas dopo 467 giorni di ostilità. L’intesa, curata dalla mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti, consente il cessate il fuoco, dalle ore 12 del prossimo 19 gennaio.
IL PIANO DELLA TREGUA A GAZA IN TRE FASI
“Le ultime 96 ore di negoziato in Qatar sono state infuocate”, scrive Fabio Tonacci su La Repubblica. L’accordo, che ricalca quello già presentato dal presidente Joe Biden a maggio, prevede tre fasi. “Il testo è articolato, molti sono gli snodi di fragilità che possono minare la tenuta del cessate il fuoco – spiega Tonacci -. Del resto, solo la prima delle tre fasi, che durerà 42 giorni e prevede il rilascio graduale di 33 dei 98 ostaggi, è definita nel particolare. Vediamola. Nella lista ci sono donne, sia civili che militari, bambini sotto i dieci anni, adulti over 50, malati e feriti. Secondo alcune fonti, anche i due americani Keith Siegel e Sagui Dekel figurano nell’elenco dei 33”. La prossima settimana, stando al piano, “torneranno liberi altri quattro rapiti, poi tre ogni sette giorni, fino alla sesta settimana quando andrà a casa il resto del primo gruppo. Il “tasso di scambio” coi detenuti palestinesi è variabile: per 9 ostaggi feriti Israele si è impegnato a rilasciare 110 ergastolani, per ogni adulto 30 detenuti, per ogni donna soldato 50 detenuti”. Infine, solo “al 16 esimo giorno le delegazioni di Hamas e Israele cominceranno a negoziare la seconda fase, anch’essa della durata di un mese e mezzo, che dovrà condurre alla riconsegna di tutti i sequestrati e al cessate il fuoco permanente, quindi a una nuova amministrazione a Gaza (terza fase)”.
TREGUA A GAZA: PERCHÈ IL PIANO DI MAGGIO È STATO SIGLATO SOLO A GENNAIO
Come detto, l’accordo è analogo a quello già presentato a maggio. Perché ci sono voluti altri otto mesi? Calcolo politico e necessità di indebolire tutti gli avversari di Israele, non solo Hamas. Ma ce lo spiega Stefano Stefanini su La Stampa. “Con il loro prezzo in vite umane, distruzioni, sofferenze dei civili palestinesi e degli ostaggi, deterioramento sanitario nella Striscia, costi sostenuti anche da Israele. Insomma, perché aspettare così tanto per arrivare allo stesso risultato? Parte della risposta va cercata nella limatura delle condizioni poste sia da Israele che da Hamas e di tutti i dettagli tecnici – scrive Stefanini -. E sicuramente questi otto mesi in più di guerra sono serviti ad Israele a degradare ulteriormente il movimento di Resistenza islamico. Oggi Hamas è più debole di quanto non fosse lo scorso maggio. E Israele non solo più forte, molto più forte avendo nel frattempo eliminato la minaccia di Hezbollah a Nord via Libano e via Siria, nonché ridimensionato l’Iran”.
FRIEDMAN: IL MOMENTO PIÙ CUPO DELLA STORIA DI ISRAELE
Eppure, secondo Matti Friedman, columnist per il NYT, Israele non deve abbassare la guardia. “Hamas è stata drammaticamente ferita da Israele, ma ancora funziona come organizzazione terroristica – dice a Giulio Menotti sul Foglio -. Alcuni israeliani pensano che se non riprendono gli ostaggi Israele crollerà. “Penso che sarebbe un prezzo enorme per una società così piccola e così solidale come la nostra. Questo è il dilemma e chi critica da destra l’accordo ha un punto nel dire che tra cinque anni ci sarà un altro 7 ottobre con la liberazione di centinaia di terroristi palestinesi, come avvenne per Gilad Shalit. Per avere un solo soldato abbiamo liberato anche Yahya Sinwar, la mente del 7 ottobre”. Questo, secondo Friedman è il “momento più cupo della sua storia: il 7 ottobre, l’attacco dall’Iran, Libano, Yemen, Iraq e l’incredibile ostilità dell’occidente, ma abbiamo anche un problema interno con una classe politica incompetente. E poi ci sono tante ragioni di ottimismo, come l’affascinante numero di bambini che nonostante la guerra continuano a nascere, con tassi superiori a tutti i paesi occidentali”. Ma forse il capitolo più assurdo è il pezzo d’occidente che vuole vedere Israele scomparire”.
L’INTESA TRA USA E ISRAELE CHE GUARDA A TEHERAN
Un risultato che il presidente eletto Donald Trump si è già intestato. “Trump si prende il merito della tregua di Gaza. A cinque giorni dall’insediamento presenta l’accordo come un successo della sua politica estera. Biden e Blinken non arrivano a tanto. Però elogiano la cooperazione tra le due Amministrazioni Usa, entrante e uscente”, scrive Federico Rampini sul Corriere della Sera. Il presidente Trump aveva minacciato di scatenare “un inferno” a Gaza se gli ostaggi non fossero stati liberati entro il 20 gennaio. “Non sarebbe la prima volta che gli estremisti islamici sono più malleabili di fronte a un repubblicano: dopo la rivoluzione khomeinista, gli iraniani tennero per 444 giorni i diplomatici americani in ostaggio, rovinando il democratico Carter, per liberarli quando vinse le elezioni il repubblicano Reagan – ricorda Rampini -. Un peso Trump lo ha avuto pure nei confronti di Israele. Un misto di pressioni e promesse. Da una parte, consultato da Netanyahu, gli ha messo fretta. D’altra parte, il premier israeliano sa di avere nel 47esimo presidente degli Stati Uniti un sostenitore a oltranza, ben più amico di quanto lo fosse Biden”. Del resto, ricorda Rampini, fu proprio “sotto la prima amministrazione Trump che l’America spostò l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, gesto gravido di simbolismo e molto apprezzato”. Un’intesa che dovrebbe preoccupare Teheran. “Netanyahu ha promesso che mai lascerà agli ayatollah l’arma atomica – conclude Rampini -. È possibile che Israele abbia un appoggio americano per azioni risolute contro i siti nucleari iraniani”.