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Trump agita il fantasma dei dazi e l’eurozona trema

nomine Trump

I dazi come nel 2016, rischiano di caratterizzare l’amministrazione Trump. Scott Bessent, ministro del Tesoro Usa, definisce i dazi come strumenti di pressione a fini negoziali, mentre Lagarde suggerisce all’Europa la strada per correre ai ripari 

In cima all’agenda politica del neo eletto presidente Donald Trump ci sono i dazi. Un’arma da brandire in termini offensivi e difensivi. Prima di tutto, nel mirino del presidente, ci sono finiti Cina, Messico e Canada. L’obiettivo è punitivo: cercare attraverso i dazi di frenare l’afflusso di medicinali illegali e droga negli Stati Uniti, in particolare di Fentanyl da Pechino e da Ottawa, e di migranti dal Messico. La minaccia è pesante: imporre una tariffa del 25% su tutti i prodotti in arrivo negli Stati Uniti. Scott Bessent, ministro del Tesoro Usa, spiega bene l’approccio di Trump, secondo il qual i dazi sono uno strumento di pressione a fini negoziali: “Escalation per arrivare a una de-escalation”.

TRUMP: DAZI A CINA, MESSICO E CANADA CONTRO IL TRAFFICO DI FENTANYL

“I rappresentanti della Cina mi hanno detto che avrebbero stabilito la loro pena massima, quella della morte, per qualsiasi trafficante sorpreso a farlo – ha scritto Trump sui suoi social -, ma, sfortunatamente, non hanno mai dato seguito alla cosa e la droga sta affluendo nel nostro Paese, principalmente attraverso il Messico, a livelli mai visti prima. Finché non smetteranno, addebiteremo alla Cina un’ulteriore tariffa del 10%, oltre a qualsiasi tariffa aggiuntiva, su tutti i suoi numerosi prodotti che entrano negli Stati Uniti d’America”.

L’oppioide, la “droga degli zombie”, secondo il presidente Trump arriva negli Usa dai confinanti Messico e Canada ma viene prodotta in Cina. “Il 20 gennaio, come uno dei miei primi ordini esecutivi, firmerò tutti i documenti necessari per imporre a Messico e Canada una tariffa del 25% su tutti i prodotti in arrivo negli Stati Uniti attraverso le sue ridicole frontiere aperte – scrive ancora Trump -. Questa tariffa rimarrà in vigore fino a quando la droga, in particolare il Fentanyl, e tutti gli immigrati clandestini fermeranno questa invasione del nostro Paese! Sia il Messico che il Canada hanno il diritto e il potere assoluti di risolvere facilmente questo problema che cova da tempo”.

NON È CON I DAZI CHE SI FERMA IL TRAFFICO DI DROGA

La replica della presidente messicana non si è fatta attendere. “Presidente Trump, non è con le minacce né con i dazi che riuscirete a fermare il fenomeno dell’immigrazione, né il consumo di droghe negli Stati Uniti – ha detto Claudia Sheinbaum, numero uno del Governo messicano, replicando alla minaccia di Trump di imporre dazi del 25% sulle importazioni dal Messico. “Nessuno vincerà una guerra commerciale o una guerra tariffaria – ha scritto in una nota il portavoce dell’ambasciata cinese a Washington Liu Pengyu -. La Cina ritiene che la cooperazione economica e commerciale bilaterale sia reciprocamente vantaggiosa”.

Il rappresentante di Pechino ha sottolineato, inoltre, l’impegno del suo paese per frenare l’afflusso di “precursori del fentanyl negli Stati Uniti”. Il premier canadese Justin Trudeau ha sentito Trump sembra il più tranquillo tra i leader tirati in ballo dal tycoon. “È stata una buona telefonata – ha detto della conversazione telefonica con Trump -. C’è del lavoro da fare, ma sappiamo come farlo”.

AUTO E SIDERURGIA I SETTORI PIÙ A RISCHIO

Ma quali sono i settori che rischiano di più dall’imposizione di dazi e tariffe? Prima di tutto quello dell’auto, non a caso dopo le parole di Trump Stellantis ha chiuso in calo del 4,8%, Pirelli del 4,6% e Volkswagen del 2,3. Un altro settore a rischio è quello della siderurgia, Messico e Canada sono i principali fornitori degli Stati Uniti di alluminio e di acciaio. Dal Canada arriva il 60% dell’alluminio che gli Usa importano dall’estero (circa il 70% del loro fabbisogno). Numeri inferiori per l’acciaio, ne importano il 24% di quanto ne utilizzano, il Canada ne fornisce circa un quarto e il Messico il 15%.

LAGARDE: CONTRO I DAZI DI TRUMP STRATEGIA DEL LIBRETTO DEGLI ASSEGNI

Cosa rischia l’Europa? La risposta a questa domanda non fa dormire sonni tranquilli ai leader dell’eurozona perché l’esordio di una guerra commerciale con Washington rischia di spazzare via la crescita economica globale. A dirlo è Christine Lagarde, presidente della Bce, che, in un’intervista al Financial Times, ha suggerito all’Ue di non “reagire con ritorsioni, ma negoziare” perché una “guerra commerciale su vasta scala” non è “nell’interesse di nessuno” e porterà a “una riduzione globale del Pil”.

La strategia che l’Ue dovrebbe seguire, secondo Lagarde, è quella del “libretto degli assegni”, cioè “acquistare alcuni beni dagli Stati Uniti”, come il gas naturale liquefatto e le attrezzature per la Difesa, per limitare gli interessi statunitensi a inizare una guerra commerciale contro l’Europa. “Questo è uno scenario migliore di una strategia di pura ritorsione, che rischia di innescare un processo di contro-ritorsioni da cui nessuno uscirà realmente vincitore”, ha aggiunto la presidente della Bce.

AUMENTARE LE SPESE DELLA DIFESA PER PROTEGGERCI DAI DAZI: LA RICETTA DELL’ITALIA

Una guerra commerciale toccherebbe molto da vicino anche il nostro paese. L’Italia è il più grande esportatore del pianeta — ha detto Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale nel corso di un convegno organizzato dalla Fondazione Banco di Napoli— e vogliamo un mondo senza dazi, purtroppo esistono stati che fanno dumping, distruggendo l’ambiente e distorcendo la libera concorrenza. Bisogna aprire subito una trattativa con gli Usa per trovare un’intesa senza sminuirci, perché l’Europa è l’area più ricca del mondo e questo conta”.

L’unica strada, quindi, è quella del negoziato “nel quale l’Italia deve barattare l’aumento della spesa per la difesa in cambio di un contenimento dei dazi”, ha detto Bill Emmott, economista dell’Istituto internazionale per gli Studi strategici e già direttore del settimanale The Economist, intervenuto al convegno della Fondazione Banco di Napoli.

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