Continua la battaglia di Trump a suon di ordini esecutivi contro gli organismi internazionali che…
Un paese diviso: l’analisi di La Civiltà Cattolica sugli Usa di Trump

Il periodico Civiltà Cattolica affida al prof. William McCormick, associato al Dipartimento di Scienze Politiche della Saint Louis University, l’analisi dell’elezione di Donald Trump. La cavalcata del Tycoon, le tegole che hanno ostacolato Harris, le preferenze (e le preoccupazioni) del voto cattolico, tanti tasselli che portano a una domanda più che a una risposta: come sarà l’amministrazione Trump?
Il 20 gennaio 2025, Donald J. Trump assumerà la carica di 47° presidente degli Stati Uniti, primo a servire per due mandati non consecutivi dopo Grover Cleveland.
Un risultato forte del voto popolare e giunto al termine di una campagna elettorale travagliata, ricca di colpi di scena che ha consolidato la leadership di Trump all’interno del partito repubblicano e rafforzato la posizione di tutto lo schieramento, capace di mantenere il controllo della Camera e rimettere le mani sul Senato.
Tuttavia, l’avvicendamento alla Casa Bianca ripropone una dinamica di alternanza fra repubblicani e democratici che ha caratterizzato il sistema politico americano nelle ultime tre elezioni e che in qualche misura mina la sua stabilità, come sottolinea in un’interessante analisi apparsa sul Quaderno 4189 di Civiltà Cattolica il prof. William McCormick, associato al Dipartimento di Scienze Politiche della Saint Louis University.
Ma come ha fatto Trump a vincere? E quali politiche adotterà la nuova amministrazione?
COME TRUMP HA VINTO LE ELEZIONI PRESIDENZIALI
Com’è noto, la Costituzione americana in realtà non prevede l’elezione diretta del Presidente. Il mandato a Trump si deve al successo del GOP in 31 Stati, che gli hanno garantito 312 voti nel Collegio elettorale contro i 226 di Kamala Harris. In termini di voto popolare, il presidente in pectore ha ottenuto circa 77 milioni di voti rispetto ai 74,6 milioni di Harris.
Alle elezioni di novembre, Trump ha vinto negli swing states chiave (Pennsylvania, Michigan, Wisconsin) e in tutti gli altri Stati ritenuti «indecisi», confermando i risultati repubblicani nelle recenti elezioni nel Sud e nel Midwest. Ha guadagnato consensi tra giovani, non bianchi e donne, registrato risultati record per un candidato del GOP e riuscendo nell’impresa di apparire ancora come l’outsider antisistema nonostante il passato da presidente.
Rispetto al 2020 l’affluenza è calata di due punti percentuali (il 64% contro il 66%), tendenza ancora più marcata soprattutto al di fuori degli Stati indecisi. Ciò ha giocato a sfavore di Kamala Harris, che probabilmente avrebbe prevalso nel voto popolare nazionale se gli elettori che nel 2020 avevano votato per Biden si fossero presentati a sostenerla.
LA TEORIA DELL’INCUMBENT: UNA TEGOLA PER HARRIS
La candidata democratica ha sofferto per una campagna tardiva e polarizzante, segnata dall’intempestivo ritiro di Biden e dall’attentato a Trump, che le hanno impedito di prendersi davvero la scena. Oltretutto, la sua scommessa sull’aborto, e in generale la sua campagna all’insegna dei diritti e dei temi sociali, hanno finito per posizionarla a sinistra rispetto a molti elettori. Come evidenzia McCormick, il successo ottenuto da Trump in Arizona, Missouri e Montana dimostra la scarsa centralità di questi topic, se è vero che in tutti e tre questi Stati la campagna referendaria pro-aborto ha avuto esito positivo.
Per molti, la battaglia cruciale si è svolta sui temi economici, secondo gli exit poll principale preoccupazione del 39% degli elettori.
La proposta di Harris scontava pertanto l’impossibilità di criticare le politiche del presidente Biden, pur dovendo rappresentare quella insoddisfazione e offrire delle solide alternative agli occhi dell’opinione pubblica. Inoltre, un altro fattore decisivo è stato il cosiddetto fattore anti-incumbent, ossia, la tendenza a punire i governi uscenti, ritenuti inefficienti, tipica degli ultimi anni negli Stati Uniti e nel mondo.
QUALE SARÀ LA LINEA DELLA NUOVA AMMINISTRAZIONE TRUMP
Secondo McCormick, Trump si concentrerà probabilmente su tre pilastri fondamentali della propria agenda politica: il rilancio dell’economia attraverso la rinegoziazione del Tax Cuts and Jobs Act; l’immigrazione, con politiche rigide e le già preannunciate deportazioni; una politica estera basata sull’approccio “America First,” in cui gli USA ridurranno il proprio impegno globale e faranno leva sugli alleati affinché si assumano maggiori responsabilità.
L’attuazione delle politiche dovrebbe essere favorita dal controllo delle due Camere, ma qui entra in gioco un fattore di instabilità non indifferente, ossia la scarsa coesione interna del fronte repubblicano. Trump ha infatti cucito intorno a sé una tela di fedelissimi e ridisegnato l’intero partito e la tenuta della sua amministrazione si misurerà in primo luogo sulla capacità di tenere insieme i suoi.
In ogni caso, è verosimile che la nuova amministrazione faccia largo uso di ordini e atti esecutivi, piuttosto che rischiare azioni legislative approvate dal Congresso, vista la risicata maggioranza alla Camera.
IL VOTO DEI CATTOLICI (ISPANICI) STATUNITENSI PER TRUMP
Trump deve una percentuale della sua elezione ai cattolici ispanici. “La maggioranza dei cattolici ha votato per Trump, in gran parte a causa di uno spostamento dei cattolici ispanici verso di lui – scrive McCormick -. Secondo i dati preliminari, quei cattolici latinoamericani che nel 2020 avevano votato per il 71% contro il 28% per Biden, nel 2024 si sono espressi per il 53% contro il 46% per Trump”. Una forza elettorale che potrà trovare rappresentanza nel vice di Trump, J. D. Vance, che nella storia degli Usa è il secondo vicepresidente cattolico dopo Biden stesso, che lo era stato sotto Barack Obama”.
Tra l’altro Vance è il “probabile candidato presidenziale nel 2028”, eventualità che amplificherebbe il “dibattito sul ruolo del cattolicesimo nella vita pubblica degli Stati Uniti”. Le preoccupazioni dei cattolici sono rivolte, soprattutto, alle politiche migratorie proposte da Trump. “Il vescovo Mark Seitz, pastore di El Paso (Texas) e portavoce dei vescovi per la politica sull’immigrazione, dopo le elezioni ha dichiarato che i vescovi non rimarranno in silenzio se si verificheranno deportazioni di massa”. Un altro tema riguarda il sostegno di Trump e Vance ai finanziamenti federali per la fecondazione in vitro (FIV). “Più in generale, i cambiamenti culturali negli Stati Uniti rappresentano opportunità e sfide per l’evangelizzazione – si legge -. Il fatto stesso che i cattolici statunitensi siano più che mai privi di una chiara collocazione politica dovrebbe indurne alcuni a mettere in discussione la propria adesione a partiti politici e ideologie, nonché i luoghi comuni che fanno da tramite tra la loro fede e la vita politica e sociale”.
STATI UNITI D’AMERICA: UN PAESE DIVISO
Nonostante il risultato netto delle elezioni, insomma, gli Stati Uniti restano fortemente divisi.
Il candidato del GOP ha conquistato il sostegno di una larga parte di afroamericani e ispanici, strappando numeri senza precedenti in questo segmento della popolazione, e accresciuto i consensi tra i cattolici. Si tratta però di un sostegno labile che potrebbe venir meno qualora la nuova amministrazione desse seguito a quanto promesso in campagna elettorale in merito alle politiche sull’immigrazione.
La scommessa trumpiana si gioca tutta sulla tensione quasi impossibile tra liberismo sfrenato e presunto impegno nei confronti dei lavoratori, cementata da una generica opposizione contro lo status quo.
L’assunto è stato che i democratici abbiano abbandonato gli elettori della classe operaia, comprese le minoranze razziali ed etniche, a favore dell’economia globalizzata. Ma le risposte che il fronte repubblicano saprà fornire sono tutte da verificare.
Il ritorno di Trump, conclude McCormick, si dovrebbe pertanto più a un “sentimento anti-incumbent” che a un vero mandato sulle questioni migratorie, economiche e internazionali basato sul programma proposto in campagna elettorale. Ma riusciranno queste componenti a saldarsi in una politica credibile e sostenuta dall’opinione pubblica?