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Una radio pirata per la libertà in Myanmar

Radio Myanmar

Nessun regime autoritario può mettere l’informazione in un angolo, o almeno questa è l’ambizione dei giovani militanti pro-democrazia del Myanmar

A quasi tre mesi dal colpo di Stato dell’esercito militare birmano contro il governo guidato da Aung San Suu Kyi in Myanmar, i militanti pro-democrazia sono ancora mobilitati. Per aggirare i controlli in rete e sui social media, alcuni giovani dissidenti hanno lanciato Federal FM, una radio pirata.

Dal golpe del 1° febbraio, migliaia di partigiani della democrazia si impegnano ogni giorno per evitare che la situazione si trasformi in una vera e propria guerra civile ancora più sanguinosa.

VECCHI MEZZI PER GIOVANI MILITANTI

Mentre la giunta militare controlla i social media e interrompe regolarmente la connessione internet, alcuni giovani militanti in Myanmar, scrive Coconuts Yangon, hanno messo le mani su dei vecchi trasmettitori radio per comunicare, costi quel che costi, le informazioni sul movimento anti-golpe. Questa nuova generazione di oppositori, cresciuta ai tempi del digitale, diffonde emissioni pirata, utilizzando vecchie tecnologie per combattere il regime autoritario.

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NESSUNO PUÒ FERMARE L’INFORMAZIONE

“In caso di guerra civile, le linee telefoniche e i cavi verranno tagliati”, dichiara un militante intervistato dal sito birmano. “Possiamo utilizzare i telefoni satellitari e il wi-fi, ma questi strumenti sono tracciabili. La migliore soluzione è la radio. Le informazioni di diverse stazioni radio si diffonderanno come un fiume”.

Questa riflessione ha portato il movimento pro-democrazia birmano alla nascita di Federal FM, una radio pirata che da qualche settimana copre la principale regione del Myanmar e la capitale economica, Yangon. Gli ideatori, dei ragazzi di vent’anni, hanno l’ambizione di ampliare la diffusione in tutto il Paese e ospitano alcuni programmi digitali che ora si rifugiano sulle onde.

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L’ISPIRAZIONE DELLA RESISTENZA VIETNAMITA

Nonostante la giovane età, i riferimenti dei militanti risalgono alla guerra del Vietnam. Ispirati da una delle più grandi figure della resistenza vietnamita, la conduttrice radiofonica Hanoi Hannah, alcuni hanno dato il suo nome a uno dei loro programmi. Con le registrazioni di genitori che supplicano i figli di disertare l’esercito, intervallate dagli strepitii delle sirene, dai colpi di mitragliatrice o dalle grida di donne e bambini, la trasmissione, elaborata come una guerra psicologica, mira “a persuadere i soldati e la polizia a schierarsi con il popolo”.

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BISOGNA AVERE OCCHI OVUNQUE

“I soldati pensano di proteggere il Paese e la popolazione. Noi gli diciamo il contrario”, spiega un ingegnere del suono. Come molti degli altri oppositori, anche lui ha scelto un nuovo nome preceduto dalla parola bogyoke (‘generale’ in birmano), comunemente usata anche come soprannome per Suu Kyi, che ha combattuto per la fine del dominio britannico in Myanmar. Per sicurezza alcuni non conoscono nemmeno la vera identità dei propri compagni di lotta.

“Ci sono un sacco di paranoie sull’utilizzo di canali come Facebook e Instagram”, racconta un militante. Una paura giustificata, suggerisce Coconuts Yangon, soprattutto per il sostegno della Cina e del massiccio dispiegamento di tecnologie di controllo acquistate per “milioni di dollari” da “fabbricanti israeliani, europei e americani”, nel corso degli ultimi dieci anni.

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