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Usa, l’impero “nascosto” e le sfide dell’amministrazione Trump

Gli Usa sono riusciti a esercitare un’influenza planetaria grazie, anche, a un approccio pragmatico basato sul controllo strategico di nodi geopolitici e risorse, piuttosto che sull’annessione diretta di territori. Oggi gli Usa di Trump sono chiamati a reinventarsi in un contesto multipolare
Gli Stati Uniti d’America hanno sempre avuto un approccio peculiare alla politica estera e al ruolo di protagonista della scena globale. Pur non essendo mai stati una potenza coloniale in senso stretto, è innegabile come, almeno dalla Seconda guerra mondiale in poi, si siano consacrati a una visione imperiale del proprio destino, inteso esplicitamente in termini di missione.
Ma cosa intendiamo oggi per “impero”? In che cosa consiste il predominio statunitense e come viene esercitato sullo scacchiere internazionale? Quali sfide dovrà affrontare e come si porrà la nuova amministrazione Trump di fronte ai dossier caldi dell’attualità globale?
GLI USA: CAMPIONI DEL MONDO DECOLONIZZATO
Come ricorda il prof. Giovanni Sale sul Quaderno 4188 de La civiltà cattolica, se gli USA sono riusciti a esercitare un’influenza planetaria, lo si deve in primo luogo a un approccio pragmatico basato sul controllo strategico di nodi geopolitici e risorse, piuttosto che sull’annessione diretta di territori.
Un’impostazione verificabile già nel 1946, quando le Filippine, unica colonia pura degli Stati Uniti, strappata agli Spagnoli sul finire del del XVIII secolo, ottennero l’indipendenza senza sparare un colpo.
La scelta americana segnava una frattura rispetto ai tradizionali metodi coloniali europei e anticipava un modello di gestione del potere basato non sul dominio territoriale, ma sul controllo di infrastrutture strategiche, basi militari e intelligence.
L’indipendenza delle Filippine fu il primo alito di un vento che soffiava dall’Oriente verso l’Africa e i Caraibi e che avrebbe spazzato via rapidamente quanto rimaneva in piedi dei vecchi imperi, stremati dalla guerra e incapaci di mantenere il controllo sulle colonie. Su chi fu il maggior sponsor di questo processo di decolonizzazione non c’è tuttora accordo tra gli storici, divisi tra l’attribuirne il merito agli USA e all’URSS.
L’IMPERO NASCOSTO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA
In ogni caso, gli Stati Uniti approfittarono di questo vuoto di potere lasciato dai Paesi europei e dal Giappone. Nazioni come l’Indonesia, il Vietnam e la Corea dichiararono la propria indipendenza, ridefinendo il panorama geopolitico dell’Asia. Gli Stati Uniti si inserirono in questo scenario orientandosi verso il controllo marittimo dei cosiddetti “colli di bottiglia” geopolitici: basi militari strategiche, canali marittimi e snodi logistici cruciali. Motivo per cui, ad esempio, l’Italia è stata sempre tenuta in grande considerazione dagli USA per la sua posizione geografica, come presidio imprescindibile sul Mar Mediterraneo.
La definizione di “impero nascosto” coniata dallo storico Daniel Immerwahr ben si attaglia a questa strategia. Pur non mostrandosi a livello cartografico come una potenza imperiale, la sfera d’influenza degli Stati Uniti si allarga a tutto il globo, grazie a un’intesa planetaria che ha i suoi due pilastri nel sistema dei cinque occhi – americano, inglese, canadese, neozelandese e australiano – e nel Patto Atlantico.
A ciò si deve l’immensa rete di basi che garantisce il controllo di rotte commerciali, risorse e infrastrutture chiave: questo modello, iniziato durante la Guerra Fredda, si è rivelato estremamente efficace nel garantire un’influenza duratura senza dover sostenere i costi e i rischi associati all’occupazione di grandi territori.
IL SOFT POWER DEGLI USA (PRIMA DI TRUMP)
Una potenza senza colonie, insomma, ma onnipresente sul piano militare e geograficamente orientata al controllo dei mari, eredità questa dell’antica vocazione inglese, di cui gli USA raccoglievano il testimone sulla scena internazionale.
Sul piano politico, la parola d’ordine è stata soft power: uno sforzo immane di influenzare le società di tutto il mondo attraverso una propaganda economica, culturale e tecnologica onnicomprensiva e senza precedenti.
Tuttavia, come evidenzia il prof. Sale nel suo articolo, “a partire dal 1945 nessun’altra nazione ha bombardato tanti Stati stranieri e rovesciato tanti governi quanto gli Usa; nessun’altra nazione ha più avamposti militari, esporta più armi e possiede una quantità maggiore di armamenti”.
LE SFIDE CONTEMPORANEE DEGLI USA DI TRUMP
Oggi gli Stati Uniti si trovano a fronteggiare una sfida inedita: la competizione in un contesto geopolitico multipolare. L’ascesa della Cina come potenza economica e militare, la rinascita della Russia come attore protagonista sulla scena internazionale e il crescente peso delle economie emergenti, costituitesi in un soggetto potenzialmente alternativo al sistema economico mondiale voluto dagli USA e dai suoi alleati occidentali.
In questo contesto, gli Stati Uniti devono ripensare il proprio ruolo. Non si tratta più di essere l’unica superpotenza, ma di saper giocare un ruolo di leadership in un sistema sempre più interconnesso. Temi globali come il cambiamento climatico, la sicurezza cibernetica e la regolamentazione delle nuove tecnologie richiedono un approccio cooperativo, che vada oltre la tradizionale logica di competizione tra Stati.
Il futuro ruolo degli Stati Uniti si giocherà proprio su questo punto e sulla capacità di rilanciare sulla difesa dei principi democratici e dei diritti umani, non solo attraverso la retorica, ma anche con azioni concrete.
Ma anche sulla scelta della nuova amministrazione di puntare su una rappresentazione degli USA come attore in proprio o come leader di tale “impero nascosto”. Sebbene, conclude l’analisi del prof. Sale, spesso «il peso dell’impero prescinde da chi lo porta, e si impone come realtà di potere nella misura in cui esso è effettivo o è percepito come tale».