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Autonomia differenziata: aumenta il rischio di disgregazione nazionale. A Policy Maker il presidente emerito della Consulta Antonio Baldassarre
Il Ministro Calderoli ha proposto una bozza di riforma sull’autonomia differenziata. Molte le polemiche, soprattuto dei presidenti di regioni del sud Italia. Il parere del costituzionalista, presidente emerito della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre
Il Ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha presentato alla Conferenza delle Regioni una bozza di riforma, di nove articoli, che vuole dare attuazione al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, in materia di autonomia differenziata.
Le reazioni della politica sono state molteplici: estremamente critici il Presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che l’ha definito un “provvedimento inemendabile” e il segretario del Partito democratico Enrico Letta che ha definito la bozza un “pasticcio istituzionale”, più propositivo il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, secondo cui “chi è contro l’autonomia è contro la Costituzione”.
Della bozza di riforma, delle sue lacune e della necessità di intervento rispetto alla riforma del Titolo V del 2001 ne abbiamo parlato con Antonio Baldassarre, costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale.
La riforma sull’autonomia differenziata punta a dare attuazione all’articolo 116 della Costituzione, ponendosi nella scia della riforma costituzionale del Titolo V del 2001. Secondo lei su quali aspetti della riforma del 2001 la nuova riforma dovrebbe intervenire?
Tutti. È stata una riforma sbagliata, io l’ho detto sin dall’inizio, si è dimostrata sbagliata alla prova dei fatti. L’ha detto anche la Corte Costituzionale. È una riforma che va rivista completamente, è una riforma sbagliata in tutti i settori. A parte qualche principio, come questo dell’autonomia differenziata che, se ben inteso può essere utile e importante, in generale è una riforma sbagliata. Sono sbagliate le ripartizioni delle competenze, è una ripartizione totalmente sbagliata che ha messo in serie difficoltà il paese.
Una posizione molto netta.
Si perché va riscritta con principi diversi, totalmente diversi.
Nella bozza presentata dal ministro Calderoli mancano i criteri tecnici minimi, che devono possedere le Regioni, per la richiesta di autonomia differenziata. È un problema?
Sì, perché ci devono essere dei criteri, non basta chiederla, è indispensabile presentare dei criteri tecnici. È una lacuna che deve essere colmata. Non è una libera scelta, deve esserci un bilanciamento tra l’autonomia differenziata e l’unità nazionale. Le competenze date in maniera differenziata alla Regione devono sempre salvaguardare l’unità nazionale. I criteri devono esserci.
La bozza di riforma prevede anche che i Lep (Livelli essenziali di prestazione) debbano essere determinati dal Parlamento e garantiti sull’intero territorio nazionale. Però, se l’intesa tra Governo e regioni dovesse tardare ad arrivare, si procederebbe con un finanziamento basato sulla spesa storica per quella competenza trasferita. In che modo può avere effetti sul mantenimento dell’unità nazionale?
La regola è che li stabilisca il Parlamento, l’altra può essere solo una misura provvisoria, nel senso che se il Parlamento dovesse ritardare a definire i Lep si può basare sulla spesa storica, intanto Governo e Regione possono inizare partendo da quello che è già stato speso in passato però deve essere sempre il Parlamento a stabilirlo.
Secondo lei quali sono gli aspetti sui quali si dovrebbe lavorare affinché questa riforma non attivi un processo disgregativo?
Rafforzare le esigenze di unità nazionale. Deve esserci un coinvolgimento generale delle Regioni, la Conferenza delle Regioni deve essere coinvolta in ogni passaggio. Non solo, ci devono essere anche dei limiti. E poi i criteri e i limiti per la concessione dell’autonomia differenziata. Cioè l’autonomia differenziata deve essere calibrata sulla situazione reale.
Ci fa un esempio?
Non può essere che una regione che possiede il più alto tasso di produzione industriale possa scegliere di andare via da sola. Non è questo che la Costituzione prevede per l’autonomia differenziata.
Stando a quello che prevede la Costituzione chi dovrebbe agevolare l’autonomia differenziata?
L’autonomia differenziata, prima di tutto, deve essere intesa come uno strumento che aiuta alcune regioni a superare le loro difficoltà. La previsione della Costituzione era intesa a favorire le Regioni più in difficoltà. Non un passpartout per le Regioni più ricche per andarsene da sole.
C’è il rischio che, al netto delle buone intenzioni, nei fatti a essere avvantaggiate siano le regioni più economicamente solide?
Il rischio c’è perché c’è una situazione di scarsità di risorse finanziarie. Una crisi che ormai è alle porte, aumenta il rischio che ci siano spinte, da parte delle Regioni più ricche, a dire “si salvi chi può io me ne vado per conto mio”. C’è ed è evidente.
Ed è la ragione per la quale alcuni Presidenti delle Regioni del sud si dicono preoccupati?
È un pericolo oggettivo. Credo che non sia questo il momento per partire con il progetto per l’autonomia differenziata. Davanti a una crisi che sta entrando ora nel vivo, è chiaro che le Regioni che soffriranno di più sono quelle che stanno peggio. Abbiamo i salari che sono tra i più bassi d’Europa, a sud una situazione di disoccupazione e sottooccupazione molto elevata.
Quando si dovrebbe partire?
Quando non c’è necessità di unità fortissima tra tutte le regioni. Quando c’è abbondanza di risorse, non quando c’è scarsità e bisogna dividere i costi.
Il ministro Calderoli ha avanzato la possibilità di reintrodurre le Province come organi elettivi, di mediazione tra Regioni e Comuni. Secondo lei sarebbe utile?
Sulla storia delle Province sono stati fatti tanti pasticci. Per decenni si è detto che le Province erano inutili, almeno a livello di dottrina, ricordo Giannini, nome autorevolissimo che sosteneva questa tesi. Poi finalmente s’è posto mano al problema e s’è fatta una riforma a metà. Nel senso che si è tolto il nome ma sono rimaste le Province. Ora si torna al punto di partenza. Bene mi pare un paese, dal punto di vista delle riforme dei rapporti tra centro e periferia, veramente allo sbando. Si deve scegliere una linea e proseguire per almeno 10 anni su quella linea. Non si può cambiare continuamente a seconda delle maggioranze in carica. Parliamo della Costituzione, non di riformette su aspetti marginali. Parliamo della Costituzione che è la legge di tutti.