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Chi sono i franchi tiratori? Cos’è il transatlantico? Abecedario dell’elezione del Capo dello Stato

Elezione Capo Dello Stato

Insalatiere, catafalchi, Colle, cannoni, bandiere, campane… il rito laico dell’elezione del Capo dello Stato è davvero curioso

Le prossime saranno giornate intense, per la politica e non sono. Tra maratone televisive e dirette in streaming, la platea di persone che seguirà l’elezione del Presidente della Repubblica potrebbe essere più vasta del solito. Anche perché, con l’Omicron che corre indisturbata lungo il Paese, è meglio restare a casa, sintonizzati sulle ultime dal Parlamento. Però tra Grandi elettori, franchi tiratori, catafalchi e insalatiere, ci potrebbe essere più di uno spettatore che rischia di sentirsi escluso dallo ‘show’: la liturgia laica ha, come tutti i riti, il proprio linguaggio, più o meno sacrale. Ecco allora un comodo abecedario da usare come guida all’elezione del nuovo Capo dello Stato. Per dare corpo a molti dei lemmi che seguono abbiamo consultato la sezione storica del Quirinale, vera e propria miniera di informazioni, immagini, documenti e curiosità.

ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO, LE CURIOSITA’ LEGATE AL LINGUAGGIO (E NON SOLO)

Bis – Termine mutuato dal campo dello spettacolo. A chiedere il bis in campo politico non è il pubblico, ma il Parlamento quando, come in questa tornata, vorrebbe che il nuovo settennato fosse nuovamente svolto dal Presidente della Repubblica uscente.

Burloni – Sono coloro che, tra il serio e il faceto (spesso l’intento è infatti mandare un segnale, vedi voce “segnare le schede”), scrivono nomi improbabili.  Nel ’78 qualcuno votò per il costruttore Gaetano Caltagirone. Nell’85 arrivarono quattro voti a Licio Gelli e nell’insalatiera (v. sotto) qualcuno mise pure un biglietto ferroviario. Nel ’92, un voto andò a Sofia Loren, un altro ad Antonio Di Pietro (allora ancora impegnato con il pool Mani Pulite), mentre in due votarono per Guido Quaranta, giornalista dell’Espresso specializzato in ritratti impietosi della classe politica. Ci fu anche chi votò per “l’onorevole Trombetta” di Totò. In tempi di pandemia, però, l’umorismo parlamentare sarebbe davvero fuori luogo…

Cannoni – Chi abita a Roma sa bene che, una volta eletto il Capo dello Stato, nel momento preciso in cui verrà pronunciata la formula del giuramento, dal Gianicolo saranno sparati 21 colpi di cannone a salve.

Catafalco – In pochi sanno che la cabina elettorale usata per garantire lo scrutinio segreto sia soprannominata, in modo evidentemente ironico, con un termine mutuato da tutt’altro tipo di liturgia: quella funebre. In questi giorni se ne sta parlando perché saranno dismessi: troppo poco igienici e chiusi, in tempi di Covid. Nelle cerimonie funebri, leggiamo sulla Treccani, con catafalco si fa riferimento all’impalcatura che serve di sostegno alla bara, in genere costituita da un doppio cavalletto rivestito di drappi; anticamente, soprattutto in epoca barocca, per funerali solenni, ebbe l’aspetto di costruzione architettonica vera e propria, progettata talora da noti artisti. E in effetti la struttura lignea con tendaggi bordeaux posta sotto gli scranni della presidenza della Camera è un po’ lugubre e sicuramente vistosa e barocca.

Colle – Spessissimo, nel linguaggio politico, si usa questo riferimento tipicamente geografico, con la lettera rigorosamente maiuscola, per indicare la residenza del Capo dello Stato, se non il Presidente della Repubblica stesso. Se avete visitato il Quirinale vi sarete accorti che occorre affrontare una salita: vi state inerpicando lungo uno dei sette colli di Roma  (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale). Il Palazzo del Quirinale sorge in un luogo che, per la posizione elevata e la particolare salubrità, ospitò fin dall’antichità nuclei residenziali, edifici pubblici e di culto.

Nell’antichità il Quirinale era il collis per eccellenza e le singole sommità che vi si distinguevano erano anch’esse denominate colles. Il nome Quirinale, dunque, ha finito per indicare l’intero colle che in realtà era distinto in quattro alture: collis Latiaris, collis Mucialis o Sanqualis, collis Salutaris e collis Quirinalis.

Nell’area del colle del Quirinale sorsero nel IV secolo a.C. il tempio del Dio Quirino che impose nome al colle, e il tempio della Dea Salute nel quale si celebravano cerimonie propiziatorie del benessere dello stato; le presenze più imponenti sul colle erano certamente quelle delle terme di Costantino e del tempio di Serapide, edificato da Caracalla nel 217 d.C. Dall’antico tempio romano provengono i due gruppi scultorei dei Dioscuri, la cui costante presenza sul Quirinale portò il colle ad assumere il nome di Monte Cavallo.

Corazzieri – Sono la guardia d’onore del Presidente della Repubblica. Il 13 giugno 1946, nel cortile d’onore del Quirinale, Umberto II sciolse i Corazzieri dal giuramento alla Monarchia: le Guardie del Re furono trasformate nel “3° Squadrone Carabinieri a Cavallo” e dismisero la loro tradizionale uniforme, fino a quando il Presidente Luigi Einaudi (1948-1955) ripristinò lo “Squadrone Carabinieri Guardie” e le divise del 1876. Il reparto divenne, nel 1965, “Comando Carabinieri Guardie del Presidente della Repubblica” e, nel 1990, “Reggimento Carabinieri Guardie della Repubblica”. Il 24 dicembre 1992 il vecchio appellativo divenne ufficiale, restituendo ai maestosi custodi del Capo dello Stato il nome di “Reggimento Corazzieri”.

Franchi tiratori – Illustra la Treccani: Franco tiratore è attestato nell’italiano scritto dal 1870, all’interno di cronache giornalistiche sulla guerra franco-prussiana. Non a caso: franco tiratore ricalca il francese franc-tireur, da cui riprende il significato storico: «Guerrigliero che opera, per lo più isolato o in piccoli gruppi, contro forze regolari, soprattutto nei centri abitati che il nemico cerca di occupare o sta evacuando». Nel linguaggio politico e giornalistico italiano tale termine ha perso però la propria accezione positiva: non è più il cecchino dall’occhio di falco che, da solo, respinge l’avanzata dei nemici, ma il traditore che spara ai propri alleati, responsabile insomma del fuoco amico doloso. È infatti il «rappresentante di un partito o di uno schieramento che, in votazioni segrete di organi collegiali, vota in modo diverso da quello concordato o ufficialmente deciso dal proprio partito o schieramento».

Grande campana – Una volta eletto, i nuovo presidente arriva a Montecitorio accompagnato dal segretario generale della Camera, passa oltre il picchetto d’onore dei Carabinieri. Dal momento in cui lascia la sua abitazione la campana più grande di Montecitorio comincia a suonare: smetterà solo quando il nuovo presidente entrerà nell’atrio della Camera. Si tratta di una campana particolare: nel bronzo, oltre alla stemma papalino (in epoca preunitaria segnalava l’inizio delle udienze dei tribunali pontifici) alle figure di Cristo e di Sant’Antonio c’è il motto “Onorate la giustizia voi che giudicate in terra”. Il presidente della Repubblica è infatti anche presidente del Consiglio superiore della magistratura ed è il primo magistrato d’Italia.

Giuramento  – Prima di assumere le sue funzioni, il capo dello Stato presta giuramento pronunciando dinanzi al Parlamento in seduta comune la formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione»

Grandi elettori – Altro termine ricorrente nelle cronache di questi giorni. Saranno 1009 i Grandi elettori chiamati ad eleggere il Capo dello Stato: 321 senatori, 630 deputati e 58 delegati regionali, tre per ogni Regione, a eccezione della Valle d’Aosta che ne ha uno, designati in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. L’ultima grande elettrice è Cecilia d’Elia, eletta alle suppletive di Roma domenica scorsa. Nei primi tre scrutini per essere eletti occorre il quorum dei due terzi i componenti l’Assemblea, vale a dire 673 voti, dal quarto la maggioranza assoluta, 505. Curiosità: i Grandi elettori sono sempre circa un migliaio, ma dalla prossima legislatura, per effetto del dimagrimento della Camera Alta e di quella Bassa, saranno meno.

Impallinare – È l’atto, vigliacco, compiuto dai Franchi tiratori (vedi v. sopra) quando non si vota il candidato di bandiera.


Inno di Mameli – In pochi sanno che la Liguria ha contribuito in modo fondamentale alla creazione dei simboli risorgimentali. Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell’autunno del 1847 dall’allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l’Austria.

L’immediatezza dei versi e l’impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell’unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani – e non alla Marcia Reale – il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l’Inno di Mameli divenisse l’inno nazionale della Repubblica Italiana.

In epoca recente si deve al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi l’azione di valorizzazione dei simboli patri italiani: l’inno della nazione, il ripristino del giorno festivo per la Festa della Repubblica del 2 giugno e la relativa parata militare in via dei Fori Imperiali a Roma.

Testo integrale

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta;

dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa.

Dov’è la vittoria? Le porga la chioma

ché schiava di Roma Iddio la creò.

Stringiamci a coorte!

Siam pronti alla morte;

Siam pronti alla morte;

Italia chiamò.

Noi siamo da secoli calpesti, derisi

perché non siam popolo, perché siam divisi.

Raccolgaci un’unica bandiera, una speme:

di fonderci insieme già l’ora suonò.

Stringiamci a coorte!

Siam pronti alla morte;

Siam pronti alla morte;

Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci; l’unione e l’amore

rivelano ai popoli le vie del Signore.

Giuriamo far libero il suolo natio

uniti, per Dio, chi vincer ci può?

Stringiamci a coorte!

Siam pronti alla morte;

Siam pronti alla morte;

Italia chiamò

Dall’Alpe a Sicilia dovunque è Legnano;

ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano;

I bimbi d’Italia si chiaman Balilla;

il suon d’ogni squilla i Vespri suonò.

Stringiamoci a coorte!

Siam pronti alla morte;

Siam pronti alla morte;

Italia chiamò.

Son giunchi che piegano le spade vendute;

già l’aquila d’Austria le penne ha perdute.

Il sangue d’Italia e il sangue Polacco

bevè col Cosacco, ma il cor le bruciò.

Stringiamci a coorte!

Siam pronti alla morte;

Siam pronti alla morte;

Italia chiamò.

Ascolta l’audio

Insalatiera – Nel linguaggio giornalistico, si usa questo termine irriverente per indicare l’ampollosa e barocca urna elettorale usata nella liturgia laica dell’elezione del Capo dello Stato.

Montecitorio – L’elezione del Capo dello Stato avviene nel Palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati (L’aula di Palazzo Madama non basterebbe a contenere tutti i Grandi elettori, che sono sempre più di mille). La storia del palazzo è alquanto travagliata. Anche il nome è di origine incerta: c’è chi ritiene che in epoca romana vi si svolgessero le assemblee elettorali (da cui “mons citatorius”); per altri il nome del luogo deriva dal fatto che vi venivano scaricati i materiali di risulta della bonifica del vicino Campo Marzio (“mons acceptorius”). L’attuale palazzo, che prese il posto di un preesistente gruppo di casupole, fu commissionato da papa Innocenzo X al Bernini come futura dimora della famiglia Ludovisi.

Agli stenografi è riservato il tavolino quadrato al centro dell’aula, posizione dalla quale è possibile cogliere meglio anche le interruzioni e le frasi pronunciate senza microfono. Il tavolo semicircolare che fronteggia i banchi del Governo è invece quello a cui siedono il relatore e i deputati che rappresentano la Commissione incaricata di riferire all’Assemblea sulla questione in discussione. Dal seggio del Presidente è possibile abbracciare con un solo sguardo i dieci settori di banchi in cui siedono i deputati.

Per antica tradizione, che risale all’epoca della Rivoluzione francese, i gruppi parlamentari occupano nell’Aula il settore a destra, al centro o a sinistra che, ad avviso di ciascuno, meglio corrisponde alla propria identità politica o tradizione storica.Sul banco del Presidente accanto alla cartella di seduta spiccano la campanella con cui il Presidente richiama l’attenzione dei deputati e un prezioso calamaio d’argento. Sono però presenti anche le sofisticate apparecchiature tecnologiche di cui l’Assemblea dispone, fra le quali in particolare l’impianto di votazione elettronica e l’impianto di amplificazione. Ciascun deputato ha oggi un posto fisso nell’aula dal quale di norma parla (attraverso un microfono adattato al suo timbro vocale) e vota (attraverso un terminale che riconosce la sua tessera personale).

Dissimulati con discrezione fra i banchi e gli elementi decorativi, questi strumenti tecnologicamente assai avanzati convivono con gli antichi, come i due orologi in stile liberty inseriti da Basile ai due lati dell’aula e tuttora funzionanti.

Quorum – È il numero di voti minimo che un candidato deve raggiungere. Ex art. 83 Cost,  L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.


Repubblica – L’Italia è una Repubblica. Dovrebbe essere noto a tutti, inutile ribadirlo, ma il lemma ci dà l’occasione di rivivere le ore di transizione che caratterizzarono l’uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, permettendo al Paese di voltare pagina. Erano trascorsi pochi giorni dal Referendum del 2 giugno 1946 quando le italiane e gli italiani maggiorenni avevano espresso la loro volontà circa il futuro assetto dell’Italia dopo il ventennio fascista e il secondo conflitto mondiale. Ai seggi si erano recati quasi 25 milioni di aventi diritti, attendendo con pazienza il loro turno per via delle lunghe file che si erano formate già dalle prime luci dell’alba.

Il 10 giugno presso la Sala della Lupa di Montecitorio, Giuseppe Pagano, il presidente della Corte di Cassazione, comunicò i risultati delle elezioni: 12.718.019 i voti per la Repubblica, 10.709.423 per la monarchia. Pagano così dichiarava: “La Corte, a norma dell’art.19 del d. lgt. 23 aprile 1946 nr.1219, emetterà in altra adunanza il giudizio definitivo sulle contestazioni, proteste, reclami, presentate agli uffici dalle singole sezioni, a quelle centrali e circoscrizionali e alla Corte stessa concernenti le operazioni relative al referendum: integrerà il risultato con i dati delle sezioni ancora mancanti e indicherà il numero complessivo degli elettori votanti, dei voti nulli e dei voti attribuiti”. Le sezioni mancanti erano ancora 118.

Subito dopo si riunì il Consiglio dei Ministri per attuare il 3° comma dell’art. 2 del Decreto Legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 che si riferiva alla vittoria della Repubblica: “Nella ipotesi prevista dal primo comma, dal giorno della proclamazione dei risultati del referendum e fino alla elezione del Capo provvisorio dello Stato, le relative funzioni saranno esercitate dal Presidente del Consiglio dei Ministri in carica nel giorno delle elezioni”. Il primo ministro Alcide De Gasperi, per opportuni motivi di cortesia istituzionale, si recò in seguito al Quirinale presso Re Umberto II per discutere l’argomento.

Seppure il Consiglio dei ministri aveva preso atto dei dati ancora parziali delle elezioni, De Gasperi presentò al Re un dettagliato documento con il quale si chiedeva formalmente che: “il Presidente del Consiglio dei Ministri, on.le Alcide De Gasperi, eserciti i poteri del Capo dello Stato, di cui all’art. 2, DLL 16 marzo 1946, n. 98, secondo i principi dell’attuale ordinamento costituzionale”. Il monarca manifestò tutto il suo riserbo per via di un risultato elettorale ancora parziale, definendo illegale la proclamazione di un governo repubblicano: “Preferirei, se un trapasso dovesse esserci, nominarla io stesso reggente civile”.

Intanto il direttivo della Cgil, riunitosi a Roma in via straordinaria, si pronunciò a favore del Governo per la difesa della democrazia. E anche i giornali dell’epoca titolavano circa la nascita della Repubblica con toni più o meno sobri. Per L’Unità «È nata la Repubblica italiana» mentre per La Stampa «Il Governo sanziona la vittoria repubblicana».

L’esito definitivo del referendum sarebbe stato proclamato solo qualche giorno dopo, il 18 giugno, ma la strada era già tracciata.

Segnare le schede – Per le prove di forza, o anche per lanciare messaggi, partiti, drappelli e dissidenti sono soliti accordarsi su un nome che può essere quello di un personaggio famoso, dello spettacolo, estraneo al mondo della politica, oppure può essere un politico che non ha chances di essere eletto o, ancora, un candidato, ma riportato in modo particolare (es “Berlusconi S.”). Quando viene effettuato lo spoglio, se ciò che è stato scritto viene letto ad alta voce fedelmente, chi vuole intendere, intende…

Settennato – Durata dell’incarico presidenziale. È tra i più longevi, se si esclude la durata del giudice presso la Consulta, che arriva a nove anni.

Spoglio – L’azione del computo dei voti.

Stendardo Presidenziale – Lo stendardo presidenziale costituisce, nel nostro ordinamento militare e cerimoniale, il segno distintivo della presenza del Capo dello Stato e segue perciò il Presidente della Repubblica in tutti i suoi spostamenti. Viene innalzato sulle automobili, sulle navi e sugli aeroplani che hanno a bordo il Presidente; all’esterno delle Prefetture, quando il Capo dello Stato visita una città; all’interno delle sale dove egli interviene ufficialmente.

Il nuovo stendardo presidenziale, che si ispira alla bandiera della Repubblica Italiana del 1802-1805, vuole legare maggiormente l’insegna del Capo dello Stato al tricolore, sia come preciso richiamo storico del nostro Risorgimento, sia come simbolo dell’unità nazionale. La sua forma quadrata e la bordatura d’azzurro simboleggiano le Forze Armate, di cui il Presidente della Repubblica è Capo. L’esemplare originale dello stendardo, qui riprodotto, è conservato nell’ufficio del Comandante del Reggimento Corazzieri.

Transatlantico – Lungo corridoio davanti all’aula di Montecitorio in cui solitamente si formano i caratteristici capannelli di Grandi elettori per mettersi d’accordo sull’elezione del Capo dello Stato. Negli ultimi due anni, per favorire il distanziamento e diminuire il rischio contagi, il Transatlantico è divenuto estensione dell’Aula.

 

 

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Tredici – Un numero ricorrente. Sono infatti 12 i Presidenti che si sono succeduti dalla nascita della Repubblica a oggi, dunque a giorni verrà eletto il Capo dello Stato numero 13.

12.Mattarella.jpg Sergio Mattarella (1941 – )

XII Presidente della Repubblica Italiana (2015 – in carica)

11.Napolitano.jpg Giorgio Napolitano (1925 – )

XI Presidente della Repubblica Italiana (2006 – 2015)

10.ciampi.jpg Carlo Azeglio Ciampi (1920 – )

X Presidente della Repubblica Italiana (1999 – 2006)

09.SCALFARO.jpg Oscar Luigi Scalfaro (1918 – 2012)

IX Presidente della Repubblica Italiana (1992- 1999)

08.COSSIGA.jpg Francesco Cossiga (1928 – 2010)

VIII Presidente della Repubblica Italiana (1985 – 1992)

07.PERTINI.jpg Alessandro Pertini (detto Sandro) (1896 – 1990)

VII Presidente della Repubblica Italiana (1978 – 1985)

06.LEONE.jpg Giovanni Leone (1908 – 2001)

VI Presidente della Repubblica Italiana (1971 – 1978)

05.SARAGAT.jpg Giuseppe Saragat (1898 – 1988)

V Presidente della Repubblica Italiana (1964 – 1971)

04.SEGNI.jpg Antonio Segni (1891 – 1972)

IV Presidente della Repubblica Italiana (1962 – 1964)

03.GRONCHI.jpg Giovanni Gronchi (1887 – 1978)

III  – Presidente della Repubblica Italiana (1955 – 1962)

02.EINAUDI.jpg Luigi Einaudi (1874 – 1961)

II Presidente della Repubblica Italiana (1948 – 1955)

01.DENICOLA.jpg Enrico De Nicola (1877-1959)

I Presidente della Repubblica Italiana (1948)

 

 

Tricolore  – Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta “che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti”. Ma perché proprio questi tre colori? Nell’Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte, con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790.

Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d’Italia e la sua bandiera continuò ad essere, per consuetudine, quella della prima guerra d’indipendenza. Ma la mancanza di una apposita legge al riguardo – emanata soltanto per gli stendardi militari – portò alla realizzazione di vessilli di foggia diversa dall’originaria, spesso addirittura arbitrarie.

Soltanto nel 1925 si definirono, per legge, i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato. Quest’ultima (da usarsi nelle residenze dei sovrani, nelle sedi parlamentari, negli uffici e nelle rappresentanze diplomatiche) avrebbe aggiunto allo stemma la corona reale.

Dopo la nascita della Repubblica, un decreto legislativo presidenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, confermata dall’Assemblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 e inserita all’articolo 12 della nostra Carta Costituzionale. E perfino dall’arido linguaggio del verbale possiamo cogliere tutta l’emozione di quel momento. PRESIDENTE [Ruini] – Pongo ai voti la nuova formula proposta dalla Commissione: “La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni”. (E’ approvata. L’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi. Vivissimi, generali, prolungati applausi.)

 

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