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Crisi Russia – Ucraina | Quante e dove sono le centrali a carbone in Italia?

Centrali A Carbone In Italia

Nel 2021, il nostro Paese ha consumato 71,34 miliardi di metri cubi di gas: il 37,8% arrivava proprio dalla Russia. Se Mosca chiudesse i rubinetti, dovremo trovare valide alternative: quante e dove sono le centrali a carbone in Italia?

Parlando in Parlamento, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha ammesso che si possa andare verso una economia di guerra. Sappiamo che le sanzioni economiche rischiano, come un’arma a doppia lama, di ferire anche i Paesi occidentali, a iniziare dall’esclusione della Russia dal sistema Swift.  E poi c’è il rischio, tutt’altro che remoto, che Mosca decida di vendicarsi chiudendo i rubinetti del gas. E il nostro Paese è il più dipendente in Europa dalle forniture russe: nel 2021, l’Italia ha consumato 71,34 miliardi di metri cubi di gas: il 37,8% arrivava proprio dalla Russia, mentre il secondo fornitore, con una quota del 28,4%, è l’Algeria.

DOVE SONO LE CENTRALI A CARBONE IN ITALIA?

Per questo, come ha detto Draghi, nell’informativa alla Camera sul conflitto tra Russia e Ucraina, “Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”. Ma quante sono e dove sono localizzate?

Gli impianti italiani s trovano a La Spezia, in Liguria, a Fusina, in Veneto, a Monfalcone, in Friuli Venezia Giulia,  a Torrevaldaliga, nel Lazio, a Fiume Santo e a Portoscuso Sulcis, in Sardegna e a Brindisi, in Puglia;; La centrale ligure “Eugenio Montale” è costituita da tre sezioni termoelettriche: SP1, ciclo combinato da 345 MW alimentato con gas naturale; SP2, ciclo combinato da 337 MW alimentato con gas naturale; SP3, impianto a vapore da 600 MW alimentato prevalentemente a carbone.

I fumi di scarico delle turbine a gas delle sezioni SP1 e SP2, fa sapere Enel che la gestisce, vengono riutilizzati in un Generatore di Vapore a Recupero che alimenta la turbina a vapore, con una potenza di circa 115 MW. Alle turbine sono collegati gli alternatori per la produzione di energia elettrica che viene portata alla tensione di 380 kV e immessa in rete. Dal 2014, a seguito della progressiva contrazione della domanda elettrica, le sezioni 1 e 2 non sono più state chiamate a produrre. Nel 2000 è entrata in servizio la sezione 2 riconvertita a ciclo combinato. Entrata in esercizio progressivamente a partire dal 1962, nel 1997 ha visto modificare il suo assetto con la sostituzione delle unità 1 e 2 a carbone con gruppi di generazione a ciclo combinato alimentati a metano e la realizzazione di un impianto di desolforazione e di denitrificazione.

La centrale termoelettrica Enel “Andrea Palladio” di Fusina (VE) è interessato dalla sostituzione delle esistenti unità alimentate a carbone (1 e 2) e carbone/CSS (unità 3 e 4)  con nuova unità alimentata a gas naturale. «Il progetto presentato per il nuovo impianto a gas ad altissima efficienza – spiegano dall’azienda – prevede una potenza di circa 800 MegaWatt (con uno sviluppo di una prima fase a ciclo aperto di circa 500 MW e di una seconda fase di ulteriori 300 MW, in una configurazione a ciclo chiuso) a fronte di una potenza dell’impianto attuale di circa 1140 MW. Il gas sarà fornito attraverso il collegamento alla rete di trasmissione nazionale».

La Centrale Termoelettrica di Monfalcone è ubicata lungo la sponda orientale del Canale Valentinis e sorge su un’area di superficie di circa 30 ettari. Le sezioni 1 e 2, alimentate sia con carbone, sia con gasolio per la fase di avviamento, hanno una potenza rispettivamente di 165 e 171 MW, e sono entrate in esercizio rispettivamente nel 1965 e nel 1970. Fino al 2012 sono rimaste in servizio anche le sezioni 3 e 4, risalenti al biennio 1983-84. Queste ultime, per ragioni di carattere economico, sono state dichiarate fuori servizio alla fine del 2012. Nelle due sezioni a carbone, nei primi mesi del 2008 sono entrati in servizio gli impianti DeSOx per l’abbattimento delle emissioni di SO2 , mentre dal 1° gennaio 2016 sono in regolare servizio anche i DeNOx per l’abbattimento delle emissioni di NOx. Sono stati recentemente autorizzati dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dal MATTM i lavori di dismissione dei serbatoi ad olio combustibile, ormai non più utilizzato come combustibile. I serbatoi, fa sapere A2A che ne è proprietaria, sono già stati bonificati e certificati gas–free; inoltre, si inizieranno a breve le attività di dismissione di tutti i serbatoi di combustibili liquidi.

La centrale Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia, Lazio) è un impianto termoelettrico alimentato a carbone dall’estensione di 975.000 m². “Torrevaldaliga nord – riporta il dossier di Legambiente, occupandosi del “caso di Civitavecchia” – secondo gli ultimi dati prevenienti da Bruxelles, è al primo posto assoluto tra gli impianti italiani per emissioni, nel 2018 ha prodotto infatti 8,1 milioni di tonnellate di CO2: tra le 30 aziende che emettono più gas serra nel continente, 22 sono impianti termoelettrici e tra questi, la centrale di Torrevaldaliga nord, oltre ad essere prima in assoluto per l’Italia e al 14° posto tra le aziende con maggiori emissioni climalteranti in Europa”.

La centrale termoelettrica di Fiume Santo, è situata nella zona nord-occidentale della Sardegna, nella parte centrale del litorale del golfo dell’Asinara. L’impianto di produzione è costituito da quattro gruppi di generazione. I primi due, ciascuno con potenza nominale di 160 MW, sono entrati in servizio commerciale nel 1983 e nel 1984. Successivamente è stata autorizzata la costruzione e l’esercizio di due ulteriori unità policombustibili da 320 MW, in esercizio commerciale rispettivamente dal 1992 e 1993, che hanno portato la potenza installata della centrale a 960 MW. Ogni gruppo è composto da una caldaia, con relativi ausiliari (ventilatori, soffiatori, bruciatori, precipitatori elettrostatici, ecc..), che produce il vapore ad alta pressione e temperatura, utilizzato per l’azionamento della turbina collegata rigidamente all’alternatore. Il controllo di tutti i parametri di processo e di esercizio degli impianti viene effettuato nella sala manovra, da personale altamente specializzato che si avvale di sistemi di supervisione e complessi comandi automatizzati.

L’altra centrale sarda, a Portoscuso, Sulcis, comprende due sezioni termoelettriche da 160 MW ciascuna, con caldaie alimentate a olio combustibile denso a bassissimo tenore di zolfo. L’impianto era originariamente progettato per funzionare con uno “spillamento” di vapore in grado di fornire calore a un’utenza industriale esterna. Le successive modifiche in corso d’opera, mirate a un completo utilizzo di tutto il vapore prodotto, hanno mantenuto inalterate le capacità intrinseche dell’impianto in cogenerazione.

L’impianto è stato dichiarato da parte di Terna e del Ministero dello Sviluppo Economico non più essenziale per il funzionamento della rete di distribuzione dell’energia in Sardegna, con immediata decadenza dell’AIA che consentiva un funzionamento di massimo 740 ore/anno per ciascuna unità, sempre e comunque subordinatamente al regime di “essenzialità” per la rete. La decadenza dell’AIA ha comportato la necessaria richiesta di formale messa fuori servizio dell’impianto nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico e di Terna.

Nell’ultimo decennio ha vissuto una progressiva riduzione delle attività. L’ultima chiamata in esercizio è del maggio del 2012, in risposta all’emergenza gas causata da una crisi internazionale. Costruita nella zona industriale, è entrata in esercizio nel 1973.

Infine, l’ultima centrale a carbone, ma anche quella dal futuro più incerto, è la Federico II di Brindisi, oggetto del concorso di restyling architettonico di Enel e soprattutto in via, al pari delle altre appena scorse, di decarbonizzazione. Del resto la compagnia ha fatto sapere che “il programma  avviato da Enel in Italia prevede lo sviluppo di energie rinnovabili in tutto il territorio italiano e la chiusura degli impianti a carbone entro il 2025, in coerenza con le tempistiche previste dal Pniec, per sostituirli con nuovi poli energetici costituiti da impianti a fonti rinnovabili, impianti di accumulo e impianti a gas, questi ultimi nella misura strettamente necessaria per mantenere in sicurezza il sistema elettrico italiano”. Per quanto riguarda la centrale di Cerano, ha comunicato Enel poche ore fa, “il recente esito dell’asta di capacità evidenzia che il sistema elettrico nella macro-area non ha attualmente necessità di ulteriore capacità a gas”. “Per lo sviluppo futuro del sito – conclude la nota della società – proseguirà quindi un percorso condiviso con gli stakeholder locali in ottica di sviluppo sostenibile del territorio”.

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