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Imprese e negozi chiusi non producono rifiuti. Eppure la Tari aumenta

Decreto Riaperture Dl Sostegni

Confcommercio: il 60% dei Comuni ha aumentato la tassa rifiuti. Per questo l’Assochiazione chiede di “Esentare dal pagamento della Tari le imprese colpite dalla pandemia”

 

Non si capisce quali rifiuti abbiano da portare via i netturbini in questo periodo: tra barbieri chiusi, cinema sprangati, ristoranti sigillati, è difficile immaginare che la spazzatura sia aumentata. E infatti, con ogni probabilità, se si esclude quella domestica, quella delle attività commerciali sarà diminuita. Non lo è però la Tari, la tassa sui rifiuti. Ciascuno di noi sforzandosi di ricordare quanti sacchetti di rifiuti si ritrovassero al mattino presto o a notte fonda nelle vie dello struscio, quelle col maggior numero di attività, locali e baretti, può fare un rapido confronto con la situazione attuale: vie deserte e pure straordinariamente pulite anche senza il passaggio della nettezza urbana.

tari

Eppure,  il costo totale della relativa tassa, la Tari, non solo non è diminuito come sarebbe lecito aspettarsi ma anzi, secondo Il Rapporto Rifiuti 2020 di Confcommercio realizzato attraverso lo studio dell’Osservatorio Tasse Locali, ha raggiunto un livello record di 9,73 miliardi crescendo dell’80% negli ultimi dieci anni. L’analisi diventa ancora più “chiara” con il confronto tra le tariffe medie riscontrate nelle Regioni per le singole categorie produttive

Dai dati dell’Osservatorio emerge come su 110 capoluoghi di provincia e Città Metropolitane, quasi l’80% dei Comuni non ha ancora recepito il nuovo coefficiente di calcolo “Metodo Tariffario Rifiuti (MTR)” che si basa sul principio “chi più inquina più paga” mentre nel 21% dei Comuni che, invece, lo hanno recepito, in più della metà dei casi (il 58%) il costo della TARI risulta, paradossalmente, in aumento mediamente del 3,8%. I Comuni virtuosi che hanno ridotto le tariffe nei confronti delle utenze non domestiche, hanno utilizzato modalità diverse: c’è chi è intervenuto solo sulla parte variabile, mentre alcuni Comuni si sono spinti a ridurre la TARI complessiva (fissa e variabile), altri hanno invece previsto un dilazionamento dei pagamenti e infine alcune Amministrazioni comunali hanno ridotto la TARI solo sull’ampliamento dell’occupazione di suolo pubblico.

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“Parlando di paradossi – comunicano da Confcommercio -, quello più incomprensibile, o forse no, è che a fronte di costi sempre molto elevati, non corrisponde mediamente un livello di servizio migliore”. Sono ben 9 le Regioni che si posizionano ancora sotto il livello 6 di sufficienza: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Molise, Puglia e Toscana. Le regioni più “virtuose” risultano essere l’Emilia Romagna (7,38), il Piemonte (7,33), il Veneto (7,17) e la Lombardia (7).

Secondo Pierpaolo Masciocchi, responsabile Ambiente e Utilities di Confcommercio, “sarebbe necessaria una riscrittura complessiva della tassa, che deve essere direttamente commisurata alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti. E non tenere in considerazione solo la superficie dell’attività in questione”. Un altro aspetto che secondo Masciocchi rende la Tari una tassa troppo complicata è che “dipende troppo dai piani finanziari del Comune di riferimento: molto spesso le amministrazioni comunali sforano i propri budget e per rientra e applicano aumenti alle tariffe locali compresa quella dei rifiuti”. Per quel che riguarda la parte variabile dei costi, Masciocchi precisa che c’è già una legge (116/2020) che però deve essere recepita dai Comuni: se le aziende utilizzano gestori privati per lo smaltimento dei rifiuti dovrebbero pagare solo quel servizio e quindi bisognerebbe detassare la quota corrispettiva della Tari”. “Confcommercio – sottolinea ancora Masciocchi – auspica che su questi aspetti il Governo possa intraprendere un dialogo costruttivo con gli operatori e le associazioni imprenditoriali”.

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