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Trivelle: qualche mito da sfatare

Trivelle

Qualche mito da sfatare sulle trivelle. Il fact checking di Naturalmentegas

In questi giorni il termine “trivella” è stato usato a più riprese sui media nazionali, complici le polemiche interne alla maggioranza tra favorevoli e contrari all’idea di concedere o meno le autorizzazioni per le coltivazioni di idrocarburi in mare e sulla terraferma. Ma occorrono delle precisazioni.

NON SI DICE TRIVELLA

Il primo dato da analizzare riguarda proprio il termine “trivella”: nato per semplificare l’idea di “perforazione di idrocarburi”, è in realtà scorretto da utilizzare. La trivella, infatti, è uno strumento caratterizzato dalla presenza di una grossa vite “senza fine” e adatto a scavi di pochi metri in terreni molli. Ma sicuramente non per perforare gli strati rocciosi in cui si annidano i depositi di gas o di petrolio. Quando si parla di idrocarburi, innanzitutto bisogna parlare di “coltivazione”, un termine preso in prestito dall’agricoltura, mentre al posto di trivella sarebbe più corretto parlare di “impianto di perforazione”.

COS’È E COME FUNZIONA UN POZZO PETROLIFERO

Sinteticamente, se prendiamo in considerazione un pozzo di petrolio, questo può essere descritto come un lungo foro praticato nel sottosuolo, a diametri decrescenti con la profondità da circa 80 cm a circa 15 cm, perforato fino a una profondità variabile da poche centinaia di metri fino a 6-8 km, la cui funzione è quella di mettere in diretta comunicazione gli strati in cui sono accumulati gli idrocarburi con la superficie. Per la sua realizzazione sia onshore sia offshore, si utilizza un elemento montato su una piattaforma o direttamente sul suolo, chiamato “impianto di perforazione”. Si tratta di una torre a traliccio alta fino a 60 metri che regge una serie di aste d’acciaio in posizione verticale. Alla base della torre vi è un’area di lavoro, chiamata “piano sonda”, dove si trova una tavola rotante con al centro un foro attraverso il quale vengono calati gli strumenti di perforazione. La torre li fa quindi ruotare sul loro asse tramite un motore e le spinge contro il suolo: grazie alla punta – il cosiddetto scalpello di perforazione composto da tre rulli conici con denti in carburo di tungsteno o gli scalpelli a bottoni in diamanti artificiali – la forza di rotazione impressa alle aste permette allo scalpello di frantumare qualunque tipo di roccia.

LA FASE FINALE

Terminata questa fase si procede all’indagine del pozzo mediante sonde il quale viene poi rivestito con delle sezioni di tubi in acciaio sigillate per evitare perdite. Il tutto è completato con il tubing, cioè l’installazione di una serie di condotte di piccolo diametro che hanno il compito di condurre l’idrocarburo all’esterno a volte con apposite pompe, se la pressione non è sufficiente alla risalita.

Articolo pubblicato su Naturalmentegas.com

 

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