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Come e perché Calenda e Berlusconi si battono per la paternità del prossimo Governo

Silvio Berlusconi

Se Berlusconi è chiamato a spingere per l’arrivo della prima donna al vertice dell’esecutivo nella storia d’Italia, Giorgia Meloni, Calenda è impegnato nella riconferma di Mario Draghi a Palazzo Chigi… 

Sembra che sia stato Matteo Renzi in persona, per mettersi alla prova della “generosità” vantata durante la trattativa, a scegliere le dimensioni del nome di Calenda nel simbolo elettorale del terzo polo, come ormai si chiama generalmente quello composto da Azione e Italia Viva, nonostante proteste, lacrime e quant’altro del Fatto Quotidiano per una specie di furto subito da Giuseppe Conte. Che nei sondaggi precede Calenda  sotto il centrodestra ormai condotto da Giorgia Meloni e il Pd di Enrico Letta, o Italia democratica e progressista, come preferite.

Per via delle lettere, del corsivo e della grafica il nome di Calenda, fra i vari simboli in corsa per il voto del 25 settembre, è anche più chiaro, vistoso, leggibile di quel Berlusconi  stampato sotto Forza Italia. Di cui l’anziano Cavaliere è presidente, come ricorda il sottotitolo, senza allusioni ormai ad una candidatura a Palazzo Chigi. Di presidenze politiche, oltre al suo partito, potrebbe esserci a breve nel futuro di Berlusconi solo quella  del Senato, dove  però egli stesso si è candidato  per ora solo ad un seggio uguale a tutti gli altri, e a quello da lui perduto per frode fiscale il 27 novembre 2013.

Oltre che per i caratteri voluti per i loro nomi nei simboli elettorali, Calenda e Berlusconi, o viceversa, si battono per la paternità del prossimo governo, il primo della nuova legislatura. L’ex presidente del Consiglio ormai, volente o nolente, salvo sorprese  clamorose dalle urne, deve spingere per l’arrivo della prima donna al vertice dell’esecutivo nella storia d’Italia: Giorgia Meloni, della quale egli ha appena riconosciuto, indicato, apprezzato “il coraggio” paragonandolo al suo. Calenda invece è dichiaratamente e orgogliosamente impegnato per la conferma di Mario Draghi a Palazzo Chigi, a capo questa volta di un governo non sottoposto alla rovinosa “centralità” del Movimento 5 Stelle, finalmente sciolta con le Camere dal presidente della Repubblica. E improbabile, a dir poco, nelle nuove.

A favore di Draghi, nonostante l’assunzione politica appena annunciata di Carlo Cottarelli, detto anche “il Draghi dei poveri”, dovrebbe e potrebbe essere pure il Pd per averne sostenuto il primo governo più a lungo e forse anche più convintamente di tutti gli altri nella maggioranza specialissima, di quasi unità nazionale, voluta da Mattarella nel 2021 per l’impossibilità, allora, di mandare gli italiani a votare in piena pandemia: il famoso “Conticidio” denunciato dagli amici ed estimatori del professore e avvocato adesso alla guida di ciò che è rimasto del movimento fondato e tuttora “garantito” da Beppe Grillo.

Ma per tornare o rimanere con Draghi a Palazzo Chigi occorre che fallisca la corsa della Meloni: obbiettivo al quale sul piano mediatico dà oggi il proprio contributo la Repubblica sparando, diciamo così, in prima pagina una foto della leader della destra italiana in mascherina antivirale con tanto di fiamma stampata del defunto Movimento Sociale, a sua volta evocativa della tomba di Mussolini. “La vecchia fiamma”, titola il quotidiano, con tanto di editoriale dell’ex direttore Ezio Mauro sulle “ombre del ventennio” fascista che sopravviverebbero all’archiviazione annunciata in più lingue dalla sorella dei fratelli d’Italia.

Su questa archiviazione -“abbiamo consegnato alla storia” quell’esperienza , ha detto testualmente Giorgia Meloni- scherza oggi con una vignetta in prima pagina anche Il Foglio completando così l’allineamento al Pd anticipato con l’annuncio personale di Giuliano Ferrara di votarlo il 25 settembre. E pazienza per l’ormai ex “amor nostro” dei foglianti, cioè Silvio Berlusconi.

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