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Cosa scrivono i giornali di Mario Draghi dopo il Meeting di Cl

Draghi

Tutti i commenti dei giornali alle parole di Mario Draghi  al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione 

Il miracolo di Mario Draghi non è naturalmente quello attribuitogli dal simpatico Stefano Rolli sul Secolo XIX facendolo camminare con un accenno di aureola sulle acque di Rimini, prima o dopo avere parlato al raduno annuale dei ciellini mandandoli in visibilio. Come accadde del resto già due anni fa, quando l’ex capo della Banca Centrale Europea non era ancora presidente del Consiglio ma stava per diventarlo, a dispetto di Giuseppe Conte che lo immaginava sfinito a casa, dopo le fatiche a Francoforte, e per niente interessato a succedergli a Palazzo Chigi.

E’ un entusiasmo, quello dei ciellini, che Marco Travaglio – pur provenendo da quelle parti, se non ricordo male la sua storia professionale cominciata a Torino guadagnandosi l’attenzione del Giornale ancora di Indro Montanelli – ha tradotto in vocazione all’”adulazione”, ma anche alla “fatturazione” per gli affari che la loro comunità farebbe col governo di turno. Per fortuna -ha scritto il direttore del Fatto Quotidiano appendendosi alla stampella di un Flaiano cattivissimo con i giornalisti- i ciellini non hanno la lingua di carta vetrata perché ne rimarrebbero privi a furia di leccare “i culi dei potenti”.

Il miracolo di Draghi, o fra i vari che gli possono essere attribuiti, è di essere riuscito a mettere d’accordo contro di lui -sin dal primo momento, in verità- due giornali che più diversi o opposti non dovrebbero essere all’anagrafe politica come Il Fatto Quotidiano, appunto, e La Verità di Maurizio Belpietro. I cui titoli oggi cantano la stessa musica: “Draghi si loda da solo, ma non la conta giusta”, il primo, e “Draghi si fa il monumento”, il secondo rimproverandogli di avere detto che va “tutto benissimo” e chiedendosi con altrettanta ironia: “Come abbiamo potuto non accorgercene?”.

Una certa sintonia si trova anche tra il giornale di Travaglio e quello della famiglia Berlusconi diretto dal buon Augusto Minzolini, “sorpreso” di scoprire che “Draghi resta in campo” in questa campagna elettorale alla quale in effetti non partecipa, limitandosi a invitare tutti a votare, ma di cui è un po’ il convitato o persino il protagonista di pietra. In campo per che cosa? Ma per il Quirinale naturalmente, spiega Il Fatto Quotidiano temendo forse che la prossima volta, chissà quando, visto che mancano più di sei anni alla scadenza del secondo mandato di Sergio Mattarella, possa farcela. E forse con l’appoggio non del solo leghista Giancarlo Giorgetti, come a gennaio scorso, ma di tutto il centrodestra oggi grato dell’appoggio elettorale che ne avrebbe appena ricevuto.

Non è stato solo il Riformista di Piero Sansonetti a tradurre in “Italia ce la farai anche se vince Giorgia…” l’ottimismo della previsione di Draghi che ce la faremo, appunto, con “chiunque” vincerà le elezioni, quindi anche col centrodestra già favorito nei sondaggi. “Letta, Calenda e soci -ha commentato con sollievo Alessandro Sallusti su Libero– se ne facciano una ragione: Mario Draghi non è cosa loro, non scenderà in campo in questo finale di stagione, comunque non in una metà campo”. “Chi sta provando ad arruolarlo senza chiedergli il permesso rimarrà a bocca asciutta”, ha concluso il direttore di Libero senza paura di smentirsi, avendo appena cercato di arruolare appunto nel centrodestra il presidente del Consiglio forzandone l’ottimismo, diciamo così, patriottico espresso a Rimini, e tanto piaciuto al pubblico.

Dario Di Vico sul Corriere della Sera ha definito “un ossimoro” quello di Rimini, dove hanno raccolto applausi a scena aperta tanto Draghi quanto, prima di lui, l’oppositrice di sempre Giorgia Meloni. E ha chiesto agli “scienziati” di spiegargli perché. Provo a spiegarglielo io, che non sono certamente uno scienziato: per la convergenza sulla politica estera, a tutela della serietà, attendibilità e sicurezza dell’Italia dopo la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina.

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO.

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