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Dibattiti democrat

Il mistero “oscuro” del Pd visto con gli occhiali di Biagio De Giovanni. I Graffi di Damato

Filosofo, professore, più volte parlamentare, incontrovertibilmente di sinistra, passato per tutte le edizioni del Pci successive alla caduta del muro di Berlino risparmiandosi solo  il Pd, Biagio De Giovanni ha dovuto aumentarsi gli anni, sia pure di poco, assegnandosene novanta pur non avendone ancora compiuti 89, per il divertimento di dare a qualche nemico il pretesto di sottrarsi alle sue riflessioni affidate in una intervista al Foglio liquidandole come quelle di uno scimunito. Che naturalmente egli non è.

Prima riflessione, nell’ordine in cui mi hanno impressionato per lucidità e coraggio, con la storia che ha alle spalle: “Il Pd dovrebbe chiudere i battenti e riaprirli dopo una lunga meditazione”. Quanto lunga il professore non lo ha detto, ma temo che pensasse a qualche misura superiore agli anni che gli restano da vivere. E che naturalmente spero saranno tantissimi.

Seconda riflessione: “Il Pd è il vero punto oscuro della politica italiana”, molto più evidentemente del Movimento 5 Stelle, che il partito fondato da Walter Veltroni e ora guidato da Nicola Zingaretti, il fratello del più noto commissario Montalbano, ha deciso di assistere come badante nella crisi identitaria che per convinzione generale sta attraversando, ammesso e non concesso naturalmente che  abbia mai potuto  avere una vera identità politica, essendo derivato dagli spettacoli di un comico di professione.

Terza riflessione: il Pd, sempre lui, non è sciocco ma vuoto”, almeno da quando -mi è parso di capire- si è fatta scappare l’unica occasione avuta di riempirsi di qualcosa di concreto e di attuale, senza scimmiottare il Papa a sinistra e la Lega di Matteo Salvini a destra sul tema che sembrava superato dalla pandemia virale ma sta tornando aggravato proprio dalle complicazioni  sanitarie. Parlo naturalmente del problema dell’immigrazione. E l’occasione perduta è altrettanto naturalmente quella offerta al Pd da Marco Minniti, di provenienza comunista come Biagio De Giovanni, con le azioni svolte e le indicazioni date da ministro dell’Interno nell’unico governo presieduto in Italia dall’attuale commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, fra il 12 dicembre 2016 e il primo giorno di giugno del 2018.

Peccato che l’intervistatore del Foglio non abbia chiesto a De Giovanni un’opinione sull’allora presidente del Pd Matteo Orfini -un altro Matteo dei tanti che affollano la politica italiana- sulla responsabilità che Minniti al Viminale avrebbe avuto invece nella disfatta del partito nelle elezioni generali di due anni fa, a beneficio del centrodestra da una parte e dei grillini dall’altra.

Terza ed ultima riflessione, ma solo per ragioni di spazio perché ne avrei ancora altre da proporvi o girarvi: il Pd, sempre lui, oltre che badante del Movimento 5 Stelle, come  mi è sembrato avvertito da Di Giovanni, si è fatto convincere dall’ineffabile Goffredo Bettini, questa specie di santone della sinistra italiana che si divide fra l’Italia e la Tahilandia, a fare “lo scendiletto” di Giuseppe Conte lasciandolo a Palazzo Chigi pur dopo averne chiesto la sostituzione per ragioni di cosiddetta “discontinuità”, avendo  fatto precedentemente il vice dei due vice presidenti del Consiglio. Che erano il grillino Luigi Di Maio e il “capitano” leghista Salvini. Di Conte, d’altronde, anche Eugenio Scalfari è appena tornato a scrivere su Repubblica che “in queste ultime settimane ha perso molto della sua efficacia” e “va avanti a tentoni”.

 

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