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I licenziamenti di massa sono un pericolo o un bluff?

Usa Licenziamenti Lavoro

Un fenomeno che coinvolge soprattutto le Big Tech ma dai contorni e dagli effetti ancora difficili da decifrare. Negli Usa, i licenziamenti sono al minimo dal 2000 

Un fenomeno reale, gonfiato, temporaneo, duraturo o…un bluff. Sembra ancora difficile decifrare l’attuale fase storica dell’economia del lavoro, tra grandi dimissioni e licenziamenti di massa. Probabilmente alcune esagerazioni catastrofiste sono arrivate dal mondo mediatico e ci sono esempi concreti per non disperare, tutt’altro.

IL QUADRO

Vediamo la situazione attuale. Secondo il portale economico Quartz, “gli statistici del governo americano stimano che siano stati aggiunti all’economia più di mezzo milione di posti di lavoro, quasi il triplo di quanto previsto”. Nei 50 Stati a stelle e strisce, “il tasso di disoccupazione è ai minimi storici, da sapere che i licenziamenti mensili dalla fine della recessione pandemica sono stati più bassi di qualsiasi altro periodo dal 2000, quando questo tipo di dati è stato raccolto per la prima volta”. Non proprio un quadro catastrofico.

Certo, ricorda Quartz, “è sempre bene tenere a mente le dimensioni del mercato del lavoro statunitense, circa 155 milioni di lavoratori a dicembre 2022, quando una grande azienda licenzia migliaia di lavoratori. Non è mai una buona notizia per le persone colpite, ma non è una misura accurata della salute economica nazionale”.

E bisogna proporzionare il tutto alle dimensioni del mercato d’America. A dicembre 2022 erano 155 milioni i lavoratori totali, ma soprattutto occorre considerare che, sempre nell’ultimo mese dell’anno, a fronte di 5mila posti persi nel comparto tecnologico ne sono stati aggiunti 25mila in quello dell’edilizia. Insomma, “la crescita deludente delle aziende tecnologiche non equivale a una crescita deludente dell’intera economia”. Anche se “tutto questo non significa prevedere un’economia robusta per il resto dell’anno”.

LICENZIAMENTI MAXI MA…IRRILEVANTI?

Come analizzato da Federico Rampini in Global, la newsletter del Corriere della Sera del sabato, “in questo quadro quasi idilliaco bisogna spiegare il mistero di Big Tech. Tutti i colossi dell’economia digitale, e anche molte aziende medio-piccole di questo settore, da settimane fanno notizia e catturano l’attenzione per gli annunci di licenziamenti”.

Anche Christopher J. Waller, membro del Board dei governatori della Federal Reserve, sentito da Rampini, ha confermato che “i licenziati di quel settore trovano posto subito altrove. E’ un effetto della “bolla” di Big Tech durante la pandemia”. Quando queste società vissero una fase magica (nel momento più tragico per tutti) e crebbero in termini di attività. Insomma, “i gruppi egemonici come Alphabet-Google Amazon Apple Facebook-Meta Microsoft con le loro assunzioni in massa avevano prosciugato l’America di quasi tutti i talenti tecnologici disponibili”. Sottraendoli dal mercato.

Adesso sta accadendo l’opposto. Le Big Tech licenziano e gli altri settori possono tornare a beneficiare di quel fattore umano.

IL CASO FLORIDA

Questo il quadro. A margine del quale è utile riportare anche un caso particolare. Quello del sorpasso della Florida su New York. La prima, “ha chiuso il 2022 con 9.578.500 posti di lavoro non agricoli, mentre New York ne ha avuti 9.576.100, secondo il Bureau of Labor Statistics” citato da Bloomberg.

“La Florida non è più la sala d’attesa di Dio”, ha dichiarato Craig Studnicky, amministratore delegato di ISG World, una società immobiliare specializzata in sviluppi residenziali di lusso nel sud della Florida. “Stiamo attirando imprese e giovani da tutto il Paese grazie alle nostre tasse basse e al clima caldo”. E così il divario si è ridotto in favore di regioni con tassazione più bassa e maggior attrattività nel comparto finanziario e tech. Il tutto nell’epoca del rimbalzo economico, travisato da molti e scambiato come periodo tragico dei grandi licenziamenti.

 

 

 

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