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La psicopolitica di Conte

Politica Conte

I Graffi di Damato sull’immagine di uomo forte che vuole fornire di sé il premier Giuseppe Conte a dispetto della stagione politica

Neppure scrutandone le foto scattategli nei momenti d’impegno politico più vicino a uno scontro che ad un’affabulazione, parlamentare o di piazza, avrei immaginato francamente un Giuseppe Conte muscolare, e tanto meno palestrato, con o senza tatuaggi. Invece il presidente del Consiglio ha voluto appena fornire di sé, alle prese con i problemi e le polemiche di questa stagione politica forse più calda di quanto gli avesse lasciato prevedere la più larga estensione della sua nuova maggioranza giallorossa, l’immagine di un uomo forte, attrezzato in tutti i sensi.

“Non sono servo di nessuno”, ha assicurato il professore evidentemente contestando, in particolare, la docilità attribuitagli nei rapporti col presidente degli Stati Uniti d’America. Che gli dà pubblicamente del Giuseppe, anzi del Giuseppi, al plurale, elogiandone entrambi i governi, per ringraziarlo forse di avere messo a disposizione del suo ministro della Giustizia, appositamente mandato a Roma, i servizi segreti italiani a dargli una mano nell’affare Russiagate, che lo infastidisce da tempo a Washington. E potrebbe costargli la stessa Casa Bianca.

PIÙ DURO DI CRAXI

“Sono più duro di Bettino Craxi a Sigonella”, ha detto ancora Conte immaginandosi forse con la pistola in pugno nella base siciliana della Nato a ordinare il fuoco contro i marines americani, che invece l’allora presidente socialista del Consiglio italiano si si limitò nel 1985 a fare circondare e neutralizzare dagli avieri italiani perché non assaltassero l’aereo egiziano dirottato e fatto atterrare dai caccia statunitensi su quella pista per impadronirsi e portare via  i sequestratori della nave Achille Lauro. Che Craxi invece trattenne e fece processare in Italia, lasciando fuggire verso la Iugoslavia, tra le proteste e le dimissioni poi rientrate del ministro repubblicano della Difesa Giovanni Spadolini, il referente palestinese protetto dalla diplomazia egiziana, come da accordi presi a livello internazionale per chiudere il sequestro della nave italiana senz’altre vittime, dopo il passeggero americano di religione ebraica di cui era stata nascosta l’uccisione durante il negoziato.

EMULO DI ALDO MORO

Conte non si è trovato, evidentemente, a disagio a confrontare le sue difficoltà di oggi con quegli eventi, né la sua persona con gli uomini di allora. Egli deve avere evidentemente un’alta, molto alta considerazione di se stesso, dimostrata peraltro sin dall’inizio della sua avventura politica, quando si promosse, per le comuni origini pugliesi, a emulo persino di Aldo Moro.  Del quale peraltro, visto che ci sono, mi auguro che egli  si premuri in questi giorni a difendere la memoria reclamando e cercando personalmente la verità sull’ultimo, l’ennesimo mistero emerso su quell’autentica tragedia della Repubblica: l’omesso intervento contro la prigione dove Moro era tenuto prigioniero dalle brigate rosse anche dopo la segnalazione della sua località pervenuta addirittura alla moglie dell’allora capo dello Stato Giovanni Leone, analoga peraltro a quella già pervenuta al vice segretario della Dc Remo Gaspari, anch’essa inutilmente comunicata al Ministero dell’Interno.

Rispetto a quei fatti, e all’inquietudine che provano le circostanze che via via ancora emergono a più di 41 anni di distanza, i problemi di Conte e della sua nuova maggioranza, al di qua e persino al di là dell’Atlantico, tra le discussioni sul nucleo fiscale, sull’Iva e sulle audizioni al Copasir sollecitate dai due Mattei – Salvini dall’opposizione e Renzi dall’interno della maggioranza – che sembra togliere il sonno al presidente del Consiglio, non c’è paragone che tenga, francamente.

Lascia il tempo che trova persino il monito levatosi qualche giorno fa da un articolo del buon Antonio Padellaro sul Fatto Quotidiano, peraltro da lui fondato e diretto con ben altro stile rispetto al successore Marco Travaglio, non foss’altro per ragioni di esperienza, avendone  il primo ben più del secondo. “Conte, Salvini e Renzi: ne resterà vivo uno solo”, ha scritto e vaticinato Padellaro persino nel titolo. Vedremo chi sopravviverà, e con quale alleanza funesta fra gli altri due, naturalmente.

 

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