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Le tensioni a 5 stelle fra i 5 Stelle

Tensioni M5s

I Graffi di Damato sulle crescenti turbolenze nel gruppo più consistente della maggioranza, che è quello delle 5 Stelle

Con la complicità dell’allegria natalizia che ci avvolge sempre di più, a dispetto dei problemi che non smettono neppure loro di assediarci, vi propongo un gioco: la scelta della notizia secondo voi principale, più significativa, fra tutte quelle che ha offerto la cronaca politica delle ultime ventiquattro ore.

Comincio da quella che — non so, francamente, se a torto o a ragione, perché la scelta alla fine spetta a voi che leggete —  ha più colpito sulla prima pagina del Corriere della Sera il vignettista Emilio Giannelli: i banchi parlamentari vuoti davanti ai quali, prima che si riempissero col dibattito e le votazioni, ha dovuto parlare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per chiedere e alla fine ottenere, bene o male, il mandato dalla sua maggioranza gialloverde a trattare al pur interlocutorio vertice europeo il controverso problema del Mes o fondo salva-Stati. Su cui il discorso si farà più stringente e decisivo solo fra qualche mese, salvo altri rinvii.

DALLE AULE VUOTE DAVANTI AL GOVERNO

Le aule vuote davanti ad un governo che riferisce di una questione che lacera il dibattito politico, almeno sui giornali, sono sempre uno spettacolo deludente, per quante buone ragioni si possa avere la voglia o l’occasione di cercare e proporre all’indulgenza del pubblico.

Compiuto il passaggio alla Camera senza tanti problemi, pur sempre coi corridoi più affollati dell’aula, Conte ha dovuto affrontare il passaggio più difficile al Senato: più difficile per l’esiguità direi cronica della maggioranza a Palazzo Madama e per le particolari, crescenti turbolenze nel gruppo più consistente della maggioranza, che è quello delle 5 stelle.

ALLE TENSIONI A 5 STELLE

Proprio cinque sono stati i senatori grillini su cui il presidente del Consiglio ha dovuto puntare gli occhi alla fine della discussione, quando si è passati al voto. Ebbene, di questi cinque, solo uno ha votato il documento faticosamente concordato fra ministri, esperti e quant’altri dei partiti della coalizione giallorossa. Gli altri quattro grillini, nonostante l’intervento personale e telefonico dello stesso Grillo su uno di essi, non hanno votato il documento. Tre hanno preferito votare il documento del centrodestra e almeno due di essi sono stati poi visti a cena con i leghisti, in direzione dei quali sembra che stiano muovendosi almeno un’altra decina di senatori stanchi – a sentirne gli sfoghi- di vivere in una bolgia infernale, d’insofferenti non si sa se più dell’alleanza di governo col Pd o della guida del movimento recentemente confermata, con vista sui Fori Imperiali, dal fondatore, garante, “elevato” e quant’altro a Luigi Di Maio.  Del quale, raggiunto poi dalle proteste di chi si aspettava altro, Grillo secondo retroscena sinora non smentiti avrebbe detto che “per ora” non può cambiarlo.

Come avrete notato, non ho fatto e non intendo fare i nomi dei dissidenti, chiamiamoli così, perché ritengo più importante il fenomeno pentastellato col quale siamo alle prese dalla loro inattesa vittoria elettorale del 4 marzo 2018, e col quale deve ora fare di più i conti, anche senza lamentarsene pubblicamente, il presidente del Consiglio.

Dall’Albania, raggiunta come ministro degli Esteri con una tempistica, diciamo così, singolare dopo la disinvoltura con la quale per fare un giro elettorale in Sicilia non ha voluto recentemente partecipare ad un appuntamento in Giappone con i suoi omologhi del G20, Di Maio ha commentato le vicende romane dei suoi senatori denunciando un “mercato delle vacche”, attribuendone la regia alla Lega del suo ex alleato e amico Matteo Salvini e auspicando, chiedendo e quant’altro un intervento della solita magistratura, sulla falsariga di altre transumanze parlamentari, chiamiamole così, avvenute in anni passati da sinistra a destra, a vantaggio del partito di Silvio Berlusconi.

FINO ALL’INDAGATO SALVINI PER ABUSO DI UFFICIO

Contemporaneamente però, o quasi, le agenzie di stampa hanno battuto la notizia di Salvini indagato dalla Procura di Roma per 25 voli di Stato compiuti quando era ministro dell’Interno per fini o circostanze che la Corte dei Conti non ha ritenuto congrue, diciamo così. E così l’ex vice presidente del Consiglio, ora capo dell’opposizione perché leader del maggiore partito dello schieramento antigovernativo, ha potuto riconquistare col fotomontaggio di un ricercato, o qualcosa del genere, la prima pagina del solito e festoso Fatto Quotidiano. Che così ha potuto anche consolare giornalisticamente i lettori delle delusioni o preoccupazioni — immagino — procurate dalle cronache grilline.

 

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