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Le vere mire di Renzi

Renzi

I Graffi di Damato sulle sviste o dimenticanze del gabbiano Renzi volando sulla sua Italia Viva

Sarà pure viva, e non morta, come l’hanno già liquidata da becchini sul Fatto Quotidiano, l’Italia che Matteo Renzi si è proposto di guidare, e sulla quale vola come un gabbiano nel simbolo che i militanti hanno scelto per il nuovo movimento, ma l’ex segretario del Pd, ex presidente del Consiglio, ex sindaco di Firenze, ex “senatore semplice di Scandicci”, visto che adesso è uno dei soci decisivi dalla nuova maggioranza giallorossa di governo, almeno a Palazzo Madama, dove i numeri sono notoriamente avari per qualsiasi combinazione ministeriale; il tante volte ex, dicevo, ha voluto chiudere il raduno della ormai sua “Leopolda” chiudendo gli occhi.

CONTINUA L’ATTACCO A SALVINI

Pur di tenersi fedele allo schema adottato per spiegare, o giustificare, la repentina rinuncia alla dieta del pop-corn aprendosi ai grillini, e inseguito da un Pd che l’ha persino scavalcato cercando di dare una prospettiva strategica e non solo tattica all’alleanza con i pentastellati, Renzi ha continuato a prendersela col Matteo Salvini esasperatamente sovranista, antieuropeista, l’uomo insomma del Papeete. Così lo chiama Renzi inchiodandolo allo stabilimento balnerare che gli è, tutto sommato, costato il Ministero dell’Interno, e tutto ciò che il Viminale rappresentava per la sua Lega.

Renzi ha voluto ignorare per comodità dialettica e di propaganda — e per meglio proporsi a ciò che resta dell’elettorato e della nomenclatura berlusconiana dopo il salto del Cavaliere sul palco salviniano di sabato nella storica piazza romana di San Giovanni — quello che giustamente sul Foglio l’ex governatore leghista della Lombardia Roberto Maroni ha appena definito “lo spariglio” di Salvini. Il quale usando lo stesso Foglio digerita la crisi d’agosto, ha fatto “professione di fedeltà all’euro”, per usare sempre le parole di Maroni: un euro definito “irreversibile”, anzi gridato come tale perché tutti lo potessero ascoltare, a cominciare — ha avvertito Salvini — dai leghisti ancora tentati di parlarne alla vecchia maniera, utile appunto alla propaganda dei suoi avversari. A capo dei quali Renzi vorrebbe rimanere perché è nel suo interesse farlo, anche se “l’ostilità” fra i mondi dell’Italia Viva e della Coalizione degli italiani, come Salvini ha appena anticipato al Corriere della Sera di voler chiamare la nuova edizione del centrodestra che ha preso corpo davanti alla Basilica capitolina di San Giovanni, più che reale è forse solo “apparente”. Che è l’aggettivo usato proprio da Maroni sul Foglio per descrivere lo scontro fra i due Mattei della politica italiana.

RENZI PUNTA ALL’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Ma quello di ignorare lo spariglio di Salvini sull’euro “irreversibile” e su tutto ciò che ne consegue, Renzi ha fatto al raduno fiorentino del suo popolo l’errore — temo per lui — di scoprire un po’ troppo il tatticismo del suo gioco politico vantandosi di  avere voluto la formazione del nuovo governo, e relativa maggioranza, anche o soprattutto per prenotare — chissà poi per chi, non credo per un bis di Sergio Mattarella, che come capo dello Stato, per quanto da lui voluto, non lo ha molto aiutato quando era presidente del Consiglio — l’elezione del nuovo presidente della Repubblica da parte delle Camere attuali. Dove il centrodestra, o quel che ne resta, è in minoranza e la battaglia presidenziale potrebbe svolgersi con la regìa dello stesso Renzi e di Luigi Di Maio, forse non a caso trovatisi d’accordo proprio in questi giorni in un’azione, diciamo così, di contenimento sul piano economico, finanziario e  politico di Giuseppe Conte. Che, peraltro, con i suoi 55 anni compiuti l’8 agosto scorso, proprio mentre rischiava di perdere Palazzo Chigi, e con tutti gli abiti che indossa celebrando defunti di ogni colore politico, proponendosi ai cattolici come continuatore di Aldo Moro e alla sinistra come promotore di una “rivoluzione culturale” di memoria maoista, potremmo ben trovarcelo sul palcoscenico del 2022, alla scadenza del mandato di Mattarella, come candidato al Quirinale. Renzi  non avrebbe l’età, prima ancora dei voti. Tanto meno Di Maio.

L’esperienza più che settantennale della Repubblica insegna che le corse al Quirinale cominciate con troppo anticipo -in questo caso due anni e mezzo prima del dovuto- non giovano né a chi le promuove né a chi è tentato di parteciparvi, o vi si trova casualmente coinvolto.  Adelante Pedro, fa dire Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi al cocchiere da Antonio Ferrer, il gran cancelliere spagnolo in movimento tra la folla in subbuglio a Milano.

 

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