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Meloni “detta Giorgia”, azzardo o furbata? Cosa pensano i costituzionalisti

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Da Ceccanti ad Azzariti, da Pellegrino a Scola, ecco cosa pensano alcuni costituzionalisti sull’invito agli elettori della premier Meloni a scrivere ‘Giorgia’ sulla scheda elettorale

«Sulla scheda scrivete “Giorgia”. Io sarò sempre una persona a cui dare del tu, senza formalismi». Con queste parole la premier Meloni ha lanciato nei fatti la propria strategia comunicativa, come abbiamo raccontato, che si tradurrà con l’indicazione sulle liste elettorali esposte per legge in tutti i seggi della dicitura «Giorgia Meloni detta Giorgia».

FDI ESCLUDE RISCHI DI CONTESTAZIONE DELLE SCHEDE

“Una strategia già partita giorni fa – ricorda Longroscino sul Corriere -: sui primi manifesti elettorali che campeggiano per strada, il claim è «Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa». Ma dal punto di vista tecnico, si corre il rischio che le schede in cui la preferenza sia espressa con il solo nome di battesimo della premier vengano annullate? In base alle norme, infatti l’elettore per votare il candidato o i candidati (alle Europee si esprimono fino a tre preferenze, purché si alternino i due generi) deve scrivere il cognome o il nome e cognome insieme. Ma dentro FdI escludono qualsiasi rischio: «In ogni tipo di elezione un candidato può semplificare il nome, purché sia chiarito in fase di deposito della candidatura», assicura Francesco Lollobrigida, ministro e plenipotenziario del partito. Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione e vero artefice dell’escamotage, è ancora più esplicito: «Tra i candidati, la premier sarà in cima all’elenco di FdI come “Giorgia Meloni detta Giorgia”. Una eventualità prevista e già utilizzata. Non ci sono rischi di contestazione»”.

COSA PENSANO I COSTITUZIONALISTI. CECCANTI: “E SE NELLE LISTE C’E’ UN’ALTRA ‘GIORGIA’?”

Un’opinione – aggiunge il Corriere della Sera – “condivisa, pur con qualche prudenza, da Stefano Ceccanti, costituzionalista ed esperto di sistemi elettorali, già parlamentare del Pd: «La legge prevede che il voto venga riconosciuto se la preferenza è indicata con un nome diverso, purché quel nome sia lo stesso riportato sul manifesto elettorale affisso nei seggi. Poi certo si può discuterne l’opportunità». Lo spirito della legge è stato chiarito più volte in sentenze relative a schede contestate, è quello della conservazione del voto: se l’indicazione dell’elettore è chiara, la preferenza va attribuita.

E tuttavia un rischio potrebbe essere innescato da una contromossa de[1]gli avversari. Ceccanti ricorda un precedente: nel 1996 i radicali fecero depositare da un tal «Mariano Dini detto Lamberto», un simbolo che copia[1]va in tutto e per tutto quello che Lamberto Dini, presidente del Consiglio uscente, aveva presentato alla stampa ma non ancora depositato. «Che succederebbe — si domanda Ceccanti — se alle Europee di giugno altre liste usassero un analogo stratagemma? Se in un’altra lista, cioè, figurasse un’altra candidata “detta Giorgia” e qualche elettore scrivesse “Giorgia” ma non nel riquadro di FdI?». Nel partito della premier sembrano sicuri di averla «pensata bene».

AZZARITI: “EVIDENTE FORZATURA DELLA LEGGE ELETTORALE”

Anche su Repubblica la giornalista Liana Milella interroga vari costituzionalisti. Condivisa la tesi che non esiste una norma che vieti quanto proposto dalla premier, “ma la mossa di Meloni per diventare “solo” Giorgia nel seggio elettorale si espone a una bocciatura senza sconti da parte dei giuristi. E al rischio di contestazioni”.

Il costituzionalista della Sapienza Gaetano Azzariti si chiede: «Solo Giorgia? E se c’è un’altra Giorgia che fanno? Saranno costretta a eliminarla? Vietate tutte le Giorgia dentro FdI? Già questa è una discriminazione e una lesione di un diritto fondamentale…». Per Azzariti «siamo di fronte a un’evidente forzatura della legge elettorale che parla chiaro, solo il cognome, nome e cognome, se due cognomi anche uno solo dei due, e se c’è confusione tra omonimi ecco la data di nascita. Ormai gli esponenti di questo governo si ritengono legibus soluti, come dimostra il voto annullato e ripetuto sull’autonomia». Azzariti porta l’esempio di Marco Pannella, in cui vero nome era Giacinto, e quindi si candidava come Giacinto detto Marco Pannella. Qui nulla quaestio. Ma se il nome è già Giorgia Meloni, quel “detta Giorgia” è «solo una forzatura». Peggio: «Per demagogia viene piegata la legge elettorale e la lettera stessa della legge per uno scopo populista».

SCOCA: “NON ESISTE UNA NORMA CHE LO VIETA”

Ma la decisione della premier – si chiede la giornalista Milella – è possibile o siamo di fronte all’ennesimo svarione istituzionale? Risponde il professore emerito di diritto amministrativo Franco Gaetano Scoca, il quale la definisce «una scelta molto discutibile e che può far sorgere contestazioni. Non c’è una norma che lo vieta, ma quel nome, Giorgia, in sé non dice che è una donna del popolo e comunque non è affatto detto che una donna del popolo debba essere chiamata per nome. In ogni caso stiamo sempre parlando della presidente del Consiglio».

PELLEGRINO: “UNA GRAN FURBATA, ‘GIORGIA’ NON E’ UN SOPRANNOME”

L’avvocato amministrativista Gian Luigi Pellegrino, come riporta sempre Liana Milella, la definisce «una gran furbata, che però non si può fare, perché il soprannome non può essere lo stesso nome». Ed è convinto che «non si possa usare un sistema fatto per salvaguardare il voto per fare campagna elettorale perfino dentro la cabina». Ma quel “detta Giorgia” può essere bloccato? Secondo Pellegrino «gli uffici elettorali potrebbero non accettare quello che non è un soprannome, ma con questo clima non è probabile che lo facciano».

Parla invece di “frode elettorale” il costituzionalista di Perugia Mauro Volpi. «E vero che a legge legittima l’uso di uno pseudonimo o di un diminutivo o al limite del solo nome se il cognome è complicato o di difficile scrittura. Ma questo non è il caso di Giorgia Meloni. Nella sostanza c’è una frode agli elettori che deriva dal dire che lei è “una di loro”, il che corrisponde a una concezione populista e plebiscitaria che punta ad anticipare gli effetti del premierato», conclude Repubblica.

Leggi anche: Perché Meloni trasforma le Europee in un referendum su Giorgia

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