Cosa si scrive sulla riforma costituzionale approvata dal Consiglio dei ministri. I Graffi di Damato
Si può ben scrivere adesso che il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma costituzionale davvero, e non per scherzo. Come Giorgia Meloni dovrà rassegnarsi a sentirsi dire per un po’, a proposito delle sue iniziative, dopo l’infortunio della telefonata con i due comici russi. Un infortunio che non sarà dimenticato con la rimozione del consigliere diplomatico Francesco Talò, riconosciutosi nella “superficialità” rimproveratagli pubblicamente dalla premier. Che ha così graziato tutti gli altri anelli della catena in cui si sono infilati i finti politici africani che da Mosca sono riusciti a violare la sicurezza di Palazzo Chigi.
Hanno scambiato per scherzo, ad esempio, il vignettista Stefano Rolli, sul Secolo XIX, e la redazione del Foglio, che ha titolato sulla “freddezza del Quirinale”, anche la “interlocuzione” col Colle annunciata dalla Meloni nella conferenza stampa in cui ha riferito sula riforma appena approvata all’unanimità dal governo. Che dal “presidenzialismo” una volta coltivato dalla destra e dintorni, dove si sognava l’elezione diretta del Capo dello Stato, è passata al “premierato”, inteso come elezione diretta del presidente del Consiglio. Diretta davvero e non di soppiatto, com’è avvenuto nella cosiddetta seconda Repubblica mettendo il nome del candidato a Palazzo Chigi nel simbolo delle coalizioni, o “poli”, concorrenti all’elezione invece solo delle Camere. Tanto per finta si è rivelato quello stratagemma che negli ultimi vent’anni si si sono succeduti alla guida del governo dodici persone, alcune delle quali -da Giuseppe Conte a Mario Monti e a Mario Draghi- neppure elette al Parlamento. Monti vi entrò un attimo prima di essere mandato a Palazzo Chigi grazie alla nomina a senatore a vita da parte di Giorgio Napolitano.
Il precedente di Monti non è stato sicuramente estraneo allo spirito, diciamo così, dell’abolizione – nella riforma licenziata dal governo – dei senatori di nomina presidenziale, per cui gli unici senatori a vita saranno gli ex presidenti della Repubblica e quelli già nominati prima, man mano che moriranno. A meno che qualcuno di costoro, per sensibilità, non rinuncerà al mandato se e quando la riforma entrerà in vigore.
LA RIFORMA NON CONVINCE DEL TUTTO MELONI
Di questa riforma va detto, fra l’altro o innanzitutto, come preferite, che la stessa premier non è del tutto convinta. E lo ha detto pubblicamente – guadagnandosi il titolo della Stampa sui suoi “dubbi” – per la parte in cui si contempla una specie di premier di riserva. Che potrebbe subentrare a quello eletto ed eventualmente caduto, o morto, senza passare per un altro passaggio elettorale, se già parlamentare votato dagli stessi elettori dell’altro e provvisto della stessa maggioranza parlamentare, o quasi. Solo la caduta anche di questo premier di riserva, in fondo più forte dell’altro per la deterrenza elettorale di cui disporrebbe, sta un po’ nel gozzo della premier in carica. Che sarebbe felice di vederne la scomparsa nel percorso parlamentare della riforma.