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Vi spiego le vere ragioni del fallimento del Pd. Parla Bertinotti

Bertinotti

Tutti gli errori del PD, dalla costruzione dell’Unione Europea al “governismo”, commentati da Fausto Bertinotti

Nei giorni successivi alle elezioni si sono moltiplicate le analisi in merito alla debacle del Partito Democratico. La prima reazione è stata l’annuncio, da parte del segretario del PD Enrico Letta, che non correrà al prossimo congresso. Ma le ragioni di questo insuccesso elettorale sono molteplici e affondano le radici nell’identità stessa del partito.

Ne abbiamo parlato con l’on. Fausto Bertinotti, ex segretario del Partito della Rifondazione Comunista.

On. Bertinotti dal 2008 a oggi il PD ha lasciato sul campo 7 milioni di voti, passando da 12 a 5 milioni di elettori. Quali sono le ragioni di questa disaffezione?

Essenzialmente sono legate al fatto che in questi anni è avvenuta una metamorfosi che ha investito la sinistra politica. Dico sinistra politica per distinguerla da quella sociale, i cui destini si sono separati.

Come si è trasformata?

La sinistra politica da una forza di cambiamento, e per lungo periodo anche anticapitalista che ha puntato a cambiare il modello economico e sociale del paese, è diventata, sostanzialmente, una forza di cultura politica liberale e imperniata sulla governabilità. La cultura politica dell’ultimo PD è stata la governabilità. La governabilità è antitetica alla difesa dei ceti popolari, le due cose non stanno insieme e così il PD si è collocato sempre di più come partito del Governo e sempre meno come partito dei ceti popolari. Questo si è riflesso nell’andamento elettorale. A questo va aggiunto un elemento più propriamente politico.

Quale?

La fine, o meglio il progressivo logoramento e poi la fine, del centrosinistra di marca prodiana che aveva il suo perno nel PD. Abbiamo assistito all’esaurimento, al fallimento di quella formula.

Ci sono altre ragioni, oltre al “governismo”, che hanno portato al fallimento del centrosinistra prodiano?

Le ragioni sono da ritrovare nella scelta che fu fatta all’avvio della costruzione dell’Unione Europea.

In che senso?

Nel senso che l’Europa che si andava costituendo è stata un bivio per il centrosinistra.

Perché?

Perché l’Europa reale, non quella dei fondatori, dei profeti, è l’Europa di Maastricht. È l’Europa che assume come pilastro della sua formazione i vincoli che riguardano debito e deficit ma non riguardano lavoro e occupazione. È una condizione sbilanciata sul punto di vista delle imprese e del mercato piuttosto che sui lavoratori e sul mondo del lavoro. Il centrosinistra sceglie decisamente di diventare uno dei protagonisti della costruzione dell’Europa reale che ha questo connotato di difesa del mercato e del profitto. Tanto è vero che sarà proprio il centrosinistra a governare quella fase. Vorrei ricordare una cosa.

Prego.

C’è un periodo in cui quasi tutti i governi europei sono governi di centrosinistra. E la terza via di Blair è il suggello di quella scelta di campo. La scelta di stare dalla parte dell’impresa invece che stare dalla parte del popolo.

In questi anni in cui il PD è stato al governo, con alleanze differenti, ci sono stati dei risultati buoni?

Io leggo il prevalente. In ogni governo c’è qualcosa di buono, persino nei governi autoritari. Bisogna leggere la politica dal punto di vista prevalente. Dal punto di vista prevalente questi governi hanno coperto la ristrutturazione di un governo capitalista che andava in direzione opposta agli interessi popolari. Possiamo prendere come paradigma qualsiasi indicatore, dal salario, all’orario, alla distribuzione del reddito. E vedremo che tutti questi parametri indicano chiaramente cos’è successo.

Cos’è successo?

È successo che l’accentuazione delle disuguaglianze non è mai stata così grande. Se non è un fallimento questo per una forza di sinistra quale dovrebbe essere? La smentita più clamorosa, la falsificazione della tesi è nell’aumento delle disuguaglianze.

On. Bertinotti, secondo lei, aver appoggiato con più forza i diritti civili rispetto ai diritti economici può aver danneggiato il risultato elettorale del PD?

I diritti civili vanno sostenuti, hanno fatto bene a farlo. Il deficit è non aver sostenuto quelli sociali. Non si capisce perché dovrebbero essere in contrapposizione. Questa è una polemica davvero fuorviante perché si vorrebbe suggerire, a una formazione progressista, di scegliere tra i diritti della persona e i diritti di classe o viceversa. E questa è un’opzione che ti vede sempre perdente. Non è un aut aut, i diritti sociali vanno insieme ai diritti della persona. La sinistra ha come chiave, l’ha avuta quando è stata grande, il tema della liberazione. La liberazione è insieme libertà e giustizia sociale. Solo una cattiva cultura politica può pensare che i diritti della persona e quelli sociali o di classe possono essere in contraddizione.

Il giorno dopo le elezioni Pietrangelo Buttafuoco ha detto che la Meloni ha vinto con un partito di destra ma la sua è una storia personale di sinistra, popolare.

Le forze di destra non sono incompatibili con la presenza del mondo popolare, questo dobbiamo metterlo in premessa. La Meloni è organicamente un leader della destra, ha tutti i titoli e i meriti, per chi sta in questa storia, di questa collocazione. Non è una figura ambigua, è una figura limpida di destra.

Il PD per rilanciarsi dovrebbe scegliere un leader di estrazione popolare?

La discussione sul leader è fuorviante. La rifondazione della sinistra nasce nel corpo sociale, nei movimenti, nel conflitto, nella ricollocazione del partito rispetto al conflitto. E aggiungo nel rapporto con i movimenti, nella ricostruzione del profilo organizzativo rispetto alla centralità dei movimenti. La discussione sul segretario è una linea di fuga. Anzi ci sono due linee di fuga che il PD dovrebbe precludersi.

Quali sono?

La prima è quella di definirsi attraverso le alleanze invece che attraverso la propria identità. E l’altra è quella di definirsi attraverso la figura del leader invece che attraverso il programma, la cultura dell’organizzazione, insomma la meta e la strategia per arrivarci.

Non c’è nessuno, on. Bertinotti, tra i nomi che sono emersi come possibili leader, da De Micheli, a Schlein, Orfini, Ricci, Nardella che la convince? Nessuno che ha fatto suo il modo di guardare alla politica e al PD che lei ha delineato?

È una discussione che non solo non mi interessa ma che considero fuorviante. Mi contraddirei se glielo dicessi. Perché io penso che questo nuovo leader, nuova leader o organismo collegiale che dirigerà il PD, perché ci sono esperienze di direzioni collegiali, deve nascere dal processo. O nasce dal processo oppure è un’invenzione calata dall’alto e che nasconde l’incapacità di dare vita a un processo innovatore.

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