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A Policy Maker Castellani: “Mattarella e mercati potrebbero far cambiare idea a Draghi”

Governo Draghi

Il docente di Storia e Istituzioni Politiche dell’Università Luiss, ai nostri microfoni: “Dalla crisi ci guadagna solo Meloni. Se si va a elezioni lei avrà il primo partito del centrodestra con buone possibilità di vincere, se non si vota ha sette/otto mesi di opposizione con la dimostrazione che, nonostante Draghi, tenere insieme una maggioranza di unità nazionale è impossibile”. L’intervista a Lorenzo Castellani

A complicare il già difficile quadro economico e sociale del nostro Paese è arrivata la crisi del governo Draghi, frutto di una lotta intestina, una guerra di logoramento messa in atto dal M5S. Gli scenari che si aprono per il nostro Paese sono molteplici, taluni più preoccupanti di altri soprattutto per la tenuta del tessuto sociale già fiaccato da un’ondata inflazionistica che sta erodendo il potere di acquisto degli stipendi. Delle prospettive per il paese ne abbiamo parlato con il professor Lorenzo Castellani, docente di Storia e Istituzioni Politiche all’Università Luiss, convinto che alla base della scelta di Conte ci siano “quattro fattori” scatenanti. Ma andiamo con ordine.

INTERVISTA A LORENZO CASTELLANI

Professor Castellani, chi guadagna e chi perde con la crisi?

Ci guadagna solo la Meloni. Se si va a elezioni lei avrà il primo partito del centrodestra con buone possibilità di vincere, se non si vota ha sette/otto mesi di opposizione con la dimostrazione che, nonostante Draghi, tenere insieme una maggioranza di unità nazionale è impossibile. A questo va aggiunto un quadro economico sociale che si complica e che quindi va a vantaggio delle opposizioni.

Conte perde in ogni caso?

Sì, tranne in quello in cui lui riesce ad andare all’opposizione e il governo Draghi prosegue con un’altra maggioranza. Tutti gli altri partiti sono nel mezzo. Se si andasse al voto il PD sarebbe il primo partito ma avrebbe comunque il problema dell’alleanza con Conte, Forza Italia e Lega la stessa cosa. Per tutte queste forze politiche è difficile parlare di vittoria o sconfitta.

Quanto ha pesato la scissione di Di Maio?

Parecchio. Secondo me sono quattro i fattori che hanno pesato sulla scelta di Conte. Il primo è il regolamento dei conti personale tra Conte e Draghi. L’ex premier ha accettato obtorto collo di entrare nella maggioranza di unità nazionale venendo sostituito da Draghi, cosa che non ha mai digerito. Poi c’è un elemento di politica internazionale. Conte guarda all’ordine mondiale con un occhio più benevolo nei confronti della Cina e delle Russia rispetto a quanto non faccia Draghi che è un convinto atlantista e europeista, è il premier che ha usato più la golden power per frenare lo shopping cinese di aziende italiane. La guerra in Ucraina ha polarizzato ancor di più queste posizioni, la rottura di Conte arriva anche per l’invio di armi in Ucraina. Poi c’è la situazione economica che peggiora unitamente alla perdita di consensi del M5S, cosa che innervosisce ancora di più gli animi e aumenta la pressione su Conte che rischia di ritrovarsi un partito che vale un quarto di quello che valeva nel 2018. Infine arriva la rottura di Di Maio che arriva per tutte le ragioni che abbiamo appena elencato.

Quale può essere l’evoluzione di M5S?

La sua evoluzione mi sembra quella di un partito di sinistra populista che va largamente alla sinistra del PD e che si unisce a quelle forze come Sinistra Italiana, Articolo Uno, Fratoianni, tutto quel mondo lì che potrebbero vedere in Conte un traghettatore più che un leader fisso, per prendere voti è più utile un Di Battista. Lo vedo destinato a diventare un piccolo partito di sinistra, che sposta le posizioni del Fatto Quotidiano in fatto di populismo, giustizialismo, assistenzialismo pubblico e che, a seconda delle necessità, può allearsi con il PD.

L’Ue potrebbe convincere Draghi a restare?

Secondo me Draghi già conosce tutte le posizioni dell’UE. La spinta decisiva su Draghi può arrivare, oltre che da Mattarella, solo dai mercati. Se ci ritroviamo lunedì o martedì con una importante crescita dello spread, in un quadro economico già complicato, e se c’è ancora una maggioranza in Parlamento diciamo che Draghi potrebbe essere incentivato a sufficienza a rimanere almeno fino alla fine dell’anno, per il varo della legge di Bilancio e delle politiche del PNRR. Draghi è arrivato proprio per questo, come uomo di establishment, ombrello internazionale capace di guadagnare tempo nella gestione del debito italiano. Ecco l’unica voce davvero in grado di avere un peso è quella della presidente della BCE Christine Lagarde.

Professor Castellani, se Draghi cadesse, potrebbe esserci un riposizionamento dell’Italia rispetto alla guerra in Ucraina?

Se Draghi non ci sta a un Governo Draghi bis questo dipende dalla maggioranza parlamentare che uscirà dalle urne. Se dovesse vincere il centrodestra non cambierà sostanzialmente nulla, FdI e FI si sono sempre dichiarate favorevoli all’appoggio dell’Ucraina, qualche distinguo dalla Lega ma mi sembra che Salvini sia un leader che ha imboccato una parabola discendente e la Lega avrà un peso ridotto, senza considerare che c’è una parte della Lega, penso ai ministri Giorgetti e Garavaglia, molto allineati alle posizioni atlantiste. A sinistra la situazione è più ambigua, c’è la posizione del M5S e anche quella dei partiti più di sinistra diciamo “pacifista”. Ecco a sinistra c’è una componente ideologica più invadente sulla questione della guerra in Ucraina. Se Draghi resta non ci sono dubbi che le cose rimarranno come sono adesso.

In caso di elezioni, è possibile che il centrodestra si ricompatti?

Il modo per compattarsi lo troveranno, il sostrato di programma delle tre forze politiche non è molto distante: immigrazione controllata, riduzione del carico fiscale su partite iva e imprese, le battaglie storiche del centrodestra sono quelle. Il collante, dal punto di vista ideologico, queste tre forze lo hanno. Se resta questa legge elettorale è ancora più facile perché è una scelta obbligata. Per evitare rotture, una volta vinte le elezioni e andati al governo, è necessario immaginare un percorso per istituzionalizzare la leadership, magari attraverso primarie o attraverso un soggetto comune, come era la Casa delle libertà, che dia, insomma, legittimità a chi sarà il futuro leader del centrodestra. Ad oggi rischiamo di arrivare che il leader sarà scelto dopo le elezioni e da lì partirà il processo di negoziazione. Devono pensare a un modo a cementare l’unità dopo le elezioni. Al momento manca un percorso per tenere stretti i tre partiti ed evitare la rottura una volta andati al Governo.

Professor Castellani, se dovesse fare una previsione, come andrà a finire?

Secondo me tutti gli scenari di cui abbiamo parlato restano aperti. Se c’è una solida maggioranza e se i partiti, al di là di quello che fa il M5S, assicurano a Draghi la loro cooperazione e collaborazione, almeno fino alla legge di bilancio, credo che la crisi possa rientrare. Questo resta lo scenario principale, le elezioni anche sono uno scenario possibile ma io scommetterei sulla continuità del governo Draghi fino a fine anno.

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